Eritrea: il regime vieta le attività sociali cristiane

By 14 Gennaio 2018Libertà Religiosa

Gravi disagi per le popolazioni a causa della chiusura di cliniche e scuole. E le proteste vengono represse nel sangue.

Situazione sempre più difficile per i cristiani eritrei. Infatti proprio in questi giorni, i funzionari pubblici hanno decretato la chiusura di cinque cliniche cattoliche presenti in varie città. Ad Asmara è stato chiuso il seminario minore ed anche diverse scuole della Chiesa ortodossa e di organizzazioni musulmane. La chiusura di un istituto islamico, alla fine dell’ottobre scorso, aveva già scatenato le dure proteste degli studenti, represse poi nel sangue. A lanciare l’allarme, in un colloquio con l’Agenzia Fides, è don Mussie Zerai, sacerdote dell’eparchia di Asmara, da anni cappellano degli eritrei in Europa e attivo nel salvataggio dei migranti in pericolo nel Mediterraneo.

Tutto in mano al regime
“In Eritrea, – spiega il religioso a Fides – il regime ha iniziato a perseguitare le confessioni religiose e, in particolare, la Chiesa cattolica. L’obiettivo è chiaro: cercare di impedirne l’influenza sulla società: non vietando il culto, ma le attività sociali”. Infatti dal 1995 nel Paese è in vigore una legge in base alla quale tutte le attività devono essere svolte solo dallo Stato. “Finora – continua a spiegare il sacerdote – la norma è stata applicata in modo blando e non ha intaccato seriamente la rete di servizi offerti da cristiani e musulmani. Negli ultimi mesi c’è però stata un’accelerazione”.
A subire i danni più forti è purtroppo la popolazione
“A Xorona, – continua don Mussie – per esempio, hanno chiuso l’unico dispensario in funzione che era gestito da cattolici. A Dekemhare e a Mendefera, le autorità hanno proibito l’attività dei presidi medici cattolici affermando che erano un doppione di quelli statali. In realtà, le strutture pubbliche non funzionano: non hanno medicine, non possono operare perché non hanno attrezzature adatte e, spesso, neppure l’energia elettrica”.

Punizioni molto dure per i giovani di leva
Grave inoltre, è la situazione per i settemila giovani che stanno facendo la leva militare, che hanno subito gravissime punizioni dopo aver chiesto e ottenuto un incontro con il presidente Isayas Afeworki per denunciare le vessazioni dei loro ufficiali. “Molti di loro – racconta il religioso – sono deperiti e si sono ammalati. Dopo le proteste dei genitori, il regime ha detto che li spedirà nelle caserme a finire la naja. Ma in quali condizioni?”.

Marina Tomarro
Vatican News, 14 gennaio 2018