EUGENETICA in Giappone. Così furono sterilizzate 25.000 persone

In seguito a una causa, sono venute alla luce le sterilizzazioni forzate di centinaia di malati mentali. Il caso di una legge che era nata sul modello nazista.

Una donna la cui età dovrebbe aggirarsi intorno ai 60 anni, e residente nella prefettura di Miyagi, ha presentato la prima causa contro le sterilizzazioni forzate avvenute in Giappone nel secolo scorso, affermando tramite l’avvocato che lo stato non ha mai approvato le «misure specifiche volte a fornire a tutte le vittime delle sterilizzazioni forzate assistenza per l’accesso a rimedi legali e fornire loro servizi di compensazione e riabilitazione». Tra l’altro appena due anni fa era stato proprio il Comitato delle Nazioni Unite sull’eliminazione della discriminazione contro le donne ad aver raccomandato al Giappone di adottare al più presto quelle misure.
La donna sempre tramite l’avvocato ha sostenuto inoltre che la legge eugenetica negava l’uguaglianza umana e il diritto di perseguire la propria felicità ed era quindi del tutto incostituzionale.
Nei documenti presentati risulta anche che lo stesso giorno in cui la donna ha subito l’operazione chirurgica — che prevede la chiusura delle tube di Falloppio — altri pazienti giovanissimi, di 9 e 10 anni appena avevano subito la stessa sorte.
Nei documenti depositati presso il tribunale si è scoperto che nel periodo dal 1963 al 1986, ci sono i nomi, gli indirizzi e le età dei soggetti sterilizzati nel territorio della sola prefettura di Sendai, nonché le diagnosi utilizzate per giustificare le operazioni. Degli 859 individui, 320 erano maschi, 535 erano femmine, mentre l’età e i sessi di quattro individui non erano stati divulgati per impedirne l’identificazione.
Lo stato giapponese non ha avanzato scuse né ha fornito alcun tipo di risarcimento alle circa 25.000 persone sterilizzate a causa di malattie mentali o di altra natura adducendo la motivazione che fino al 1996 la legge nei fatti lo permetteva. Del numero totale di persone sottoposte alla sterilizzazione si ritiene che circa 16.500 persone siano state costrette senza il loro consenso (anche se è lecito dubitare se ci sia stato alcun consenso realmente informato).
Il ministro della salute Katsunobu Kato ha rifiutato di commentare il caso, in quanto non ha avuto modo di visionare ancora i documenti ufficiali.
Nei documenti presentati in tribunale dagli avvocati della donna emerge che la vittima era stata sottoposta a un’operazione chirurgica al palato e nel 1972 gli era stata diagnosticata una disabilità di apprendimento, quando aveva appena 15 anni. È stato poi un comitato locale nel paese di residenza della ragazza a prendere la decisione di procedere alla sterilizzazione. Inoltre dopo l’operazione la donna ha sofferto di forti dolori allo stomaco e ha dovuto rinunciare al matrimonio visto che ogni pretendente al momento di venire a conoscenza dell’impossibilità di avere dei figli rinunciava ancor prima del fidanzamento.
La causa è stata avviata dopo che la cognata della donna, con la quale aveva vissuto negli ultimi 40 anni, si era recata presso la prefettura locale per avere informazioni ed è lì che è avvenuta la scoperta della sterilizzazione subita in giovane età in base a una diagnosi di «deficienza ereditaria» fatta dall’ospedale locale.
La legge dai fini eugenetici autorizzava la sterilizzazione di persone con disabilità mentali e malattie o disturbi ereditari per prevenire nascite di figli «inferiori», inoltre rendeva legale gli aborti forzati.
La legislazione era stata modellata su una legge simile della Germania nazista, ma altri paesi, considerati anche allora civili e democratici, conducevano politiche eugenetiche su larga scala. Il caso più eclatante è quello della socialdemocratica Svezia, la cui legge per selezionare la razza è rimasta in vigore per ben 41 anni, dal 1935 al 1976, e dove le vittime della sterilizzazione forzata sono state circa 60.000.
La Società Svedese per l’Igiene Razziale nasce a Stoccolma nel lontano 1909, con un obiettivo da perseguire, quello di preservare «il ceppo popolare svedese dall’incrocio con elementi razziali stranieri, di qualità inferiore, e di ostacolare l’accesso in Svezia di elementi estranei indesiderati». Tra l’altro è proprio a questa istituzione che si ispirarono i nazisti quando fondarono a Berlino nel 1927 l’Istituto Kaiser Wilhelm di Antropologia, finanziato tra l’altro anche dalla Fondazione Rockfeller, la cui missione ufficiale era quella di «promuovere il benessere umano nel mondo».

Christian Martini Grimaldi
L’Osservatore Romano, 31 gennaio 2018