Camillo Ruini: “Nell’Italia arrabiata i cattolici rischiano l’irrilevanza”

By 19 Febbraio 2018Attualità

Il cardinale, ex presidente della Cei ammette che l’Italia è meno cattolica di un tempo. Vede nel calo demografico il problema più grave, «perché distrugge le speranze». Archivia come «una triste deviazione» la legge sul fine vita e le unioni civili. Si dice «contento che la Costituzione non abbia subito le modifiche al referendum istituzionale». E in politica vede una «fase nuova in cui i cattolici rischiano l’irrilevanza».

Quanto resta di cattolico nell’Italia del 2018, eminenza?
«Difficile fare valutazioni: solo Dio conosce i cuori. Umanamente parlando, di cattolico sembra ci sia meno che una decina di anni fa: in convinzione e in pratica della fede. Ma ci sono anche molti cristiani autentici, che chiamerei santi. Quindi, non è il caso di disperare».

Pochi figli, disoccupazione giovanile sul 40 per cento, e valori morali non proprio di moda. La Chiesa non ha una parte di responsabilità?
«Il calo demografico riguarda l’Italia da tempo. Lo ritengo il problema più grave, perché distrugge la speranza di futuro. Ma non mi sento di attribuire responsabilità alla Chiesa. Siamo stati i primi a lanciare l’allarme, inascoltati. Adesso se ne accorgono in tanti, sebbene non veda ancora decisioni adeguate. Forse, sulla disoccupazione la Chiesa dovrebbe avere idee più chiare e coraggiose. E dire che la certezza del lavoro è essenziale ma che è finita l’epoca del posto fisso».

E i valori morali? Non arrivano sempre buoni esempi anche da uomini di Chiesa.
«I valori morali appartengono alla sostanza della nostra fede. Ogni volta che un uomo di Chiesa dà scandalo, si rende responsabile di una inaccettabile contro-testimonianza. La Chiesa però, nel suo complesso, si impegna, e molto, per affermarli. Ma la sua opera è spesso soverchiata da forze che spingono in senso contrario».

Il sì alle unioni civili e al fine vita ha archiviato l’idea di un’Italia «eccezione» in un’Europa secolarizzata. È opinione generale che sia un passo avanti. Per lei no?
«Come posso ritenerlo un passo avanti? È una triste deviazione. La sacralità della vita e il matrimonio sono alle fondamenta della nostra civiltà: non per nulla sono stati a lungo un patrimonio condiviso. Ha poco senso lamentarsi del decadimento morale dell’Italia e poi approvare leggi del genere».

Sul fine vita, i sostenitori citano le parole del Papa contro l’accanimento terapeutico. Non hanno qualche ragione?
«Direi proprio di no. Il Papa ha ripetutamente escluso l’eutanasia. E invece la legge le apre le porte, pur senza nominarla».
Quale Chiesa sta prevalendo? Quella che resiste alla modernità o quella che la asseconda?
«Fatico a riconoscermi in questa alternativa anche se la comprendo. Secondo me non basta né resistere alla modernità, né assecondarla. Il primo atteggiamento porta il cristianesimo fuori dalla storia, il secondo lo svuota della sua sostanza. Non è facile, ma occorre stare dentro alla modernità per orientarla in senso cristiano, senza subirla passivamente. È la lezione del Concilio Vaticano II».
Le leggi che critica sono passate con un governo che aveva esponenti cattolici in prima fila. Non deve farvi riflettere?
«Sicuramente. E la principale conclusione da ricavare è che la fede stenta a tradursi in cultura, in capacità di valutazione e di giudizio. Questo è probabilmente uno dei limiti maggiori della formazione che diamo nelle parrocchie e nelle associazioni».

Anche lei come il Papa vede un’Europa nonna sterile?
«Almeno per un aspetto è difficile contestare questa affermazione: quasi tutta l’Europa è in crisi demografica, abitata da persone anziane. E noi anziani raramente siamo intraprendenti e creativi. L’unità europea è un bene essenziale, particolarmente per l’Italia. Ma deve concentrarsi sui grandi temi dell’economia, della politica estera, della difesa, non pretendere di livellare stili di vita diversi, altrimenti l’Europa diventa invisa ai popoli».

Il modo in cui la Chiesa tratta l’immigrazione è compreso e condiviso, secondo lei? Non teme che per paradosso possa alimentare la xenofobia?
«Mi rendo conto che il comportamento della Chiesa incontra critiche e opposizioni. Purtroppo si interpretano come pericoloso buonismo le esigenze della carità cristiana. Così diventa possibile perfino il paradosso che la Chiesa alimenti la xenofobia, alla quale invece la Chiesa è forse il maggior freno. Questo non esclude che uomini di Chiesa sottovalutino i gravami che un’immigrazione troppo massiccia e poco regolata impone alle fasce più umili della popolazione».

Che cosa la colpisce in questa campagna elettorale?
«L’Italia sta emergendo da un periodo difficile, con poche certezze. Perciò molti italiani sono, comprensibilmente, arrabbiati. I partiti colgono questo stato d’animo e cercano di volgerlo a proprio vantaggio. Vedo polemiche più che proposte, ma dopo le elezioni le acque dovrebbero calmarsi. Il vero pericolo è che gli eccessi polemici alimentino l’astensionismo: confidiamo nella maturità degli italiani».

Finito il collateralismo con la Dc e poi, negli Anni Novanta, col centrodestra, quale può essere il rapporto tra la politica e il mondo cattolico?
«Ho vissuto le due fasi che lei chiama collateralismo. Con la Dc parlerei di sostegno critico, un sostegno che nel primo dopoguerra è stato decisivo per il bene dell’Italia. Col centrodestra il rapporto è stato diverso: finita l’unità politica dei cattolici, la Chiesa non ha più indicato partiti da sostenere, ma ha sottolineato contenuti e valori. Con essi i diversi schieramenti hanno rivendicato la propria consonanza, della quale però restavano giudici gli elettori. In questo, il centrodestra ha avuto probabilmente più successo del centrosinistra».

E oggi?
«C’è una fase nuova, nella quale i cattolici rischiano di essere sempre meno rilevanti, nonostante il loro grande contributo alla vita sociale. Per evitare questo esito, è indispensabile potenziare le capacità di tradurre la fede in cultura e in azione politica».

È contento che la Costituzione sia uscita indenne dal referendum del 4 dicembre 2016?
«Farei meglio a non rispondere: la domanda ha un taglio troppo politico. Ma voglio essere sincero, sperando di non essere equivocato. Sono contento che la Costituzione non abbia subito le modifiche sottoposte a referendum, anche per il contesto nel quale venivano a collocarsi. Ciò non significa che la Costituzione non necessiti di aggiornamenti».

Come si spiega la vittoria dei «no»?
«Forse il fattore più rilevante è stato il rifiuto della prospettiva di un uomo solo al comando».

Massimo Franco
Roma.Corriete.it,7 febbraio 2018 | 21:52