Che cos’è il diritto all’oblio e come è normato nel GDPR

Con l’entrata in vigore del regolamento europeo per la protezione dei dati si specifica quando è possibile applicare il diritto all’oblio e quando, invece, non va applicato.

Che il diritto all’oblio sia uno dei maggiori terreni di scontro sul quale si combatte la battaglia per la protezione della privacy e dei dati personali è un fatto noto. In un modo o nell’altro, tutti i big del mondo del web hanno dovuto fare i conti con richieste di cancellazione dati dalla Rete: Google, tanto per fare un esempio, ha già cancellato centinaia di migliaia di risultati dalle sue ricerche, mentre Wikipedia (che pare non apprezzare troppo la normativa europea) ha avuto a che fare con le richieste del Governo russo.
Una situazione che cambia dal 25 maggio 2018, data di entrata in vigore del GDPR, nuovo regolamento europeo per la protezione dei dati (GDPR è l’acronimo di General Data Protection Regulation). Dopo tanta attesa, infatti, il diritto all’oblio viene dotato di un regolamento “attuativo” che ne stabilisce portata e limiti. Una novità sostanziale rispetto allo scenario precedente, nel quale il diritto all’oblio era riconosciuto solo a livello giurisprudenziale, giudicato caso per caso, senza che fossero ancora presenti precise prescrizioni su campo e modalità di attuazione.

Diritto all’oblio, cos’è e come funziona
Prima di passare all’analisi di come si applica il diritto all’oblio con il GDPR, è necessario comprendere cosa si intende per diritto all’oblio in ambito giurisprudenziale. In ambito tecnico, la Corte di Cassazione definisce il diritto all’oblio come il “giusto interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata”.
Tradotto in termini più comprensibili, il diritto all’oblio consente a un individuo, autore di un reato in passato, di richiedere che il fatto non sia più pubblicizzato o divulgato dalla stampa e da altri mezzi di informazione (Internet incluso). Questo, però, a patto che dall’evento sia trascorso molto tempo e non sia tornato a essere di pubblico interesse e di pubblico dominio. Insomma, grazie al diritto all’oblio chiunque può chiedere la non divulgazione (o la rimozione) di notizie ritenute lesive della propria reputazione dopo un congruo lasso di tempo.
Ed è proprio questo quello che accade online. Nel caso in cui una persona abbia compiuto un reato tempo addietro (diciamo, qualche anno fa) può chiedere a operatori della Rete – come Google, Wikipedia, Facebook e le varie testate giornalistiche, tanto per fare alcuni esempi – di rimuovere articoli, approfondimenti, video dell’epoca, ivi compresi i risultati di ricerca a essi correlati, ritenuti lesivi della sua reputazione.

Cosa succede al diritto all’oblio con il Regolamento Generale per la protezione dei dati
Pur essendo stato concepito per proteggere privacy e reputazione delle persone, il diritto all’oblio deve avere (e ha) campi e modalità di applicazione ben definiti. In particolare, tanto la Corte Europea quanto la Corte di Cassazione hanno stabilito (con diverse sentenze) che il diritto di cronaca e all’informazione prevalga sul diritto all’oblio. Un principio giuridico che trova ora anche una sua regolamentazione nel GDPR.
Qui il diritto all’oblio è rinominato più genericamente diritto alla cancellazione ed è normato in tre diversi articoli del regolamento (articoli 17, 18 e 19). In particolare, l’articolo 17 esplicita quale siano le condizioni che consentono all’interessato di richiedere la cancellazione di dati e informazioni presenti online. I dati devono essere cancellati se non sono più necessari ai fini del trattamento per i quali sono stati raccolti; se l’interessato revoca l’autorizzazione; se c’è opposizione dell’interessato al trattamento dei dati; se un tribunale ne ordina la cancellazione; e se sono stati trattati illegalmente.

Quando non si applica il diritto all’oblio
Nello stesso articolo 17, il regolamento europeo specifica anche quando non si applica il diritto all’oblio (o alla cancellazione che dir si voglia). Prima di tutto, il diritto di cronaca prevale in ogni caso sul diritto all’oblio: se gli eventi sono ancora di interesse pubblico e sono ritenuti una “notizia”, non si ha alcun diritto di richiederne la cancellazione. I dati non vanno cancellati anche nel caso in cui ci sia un obbligo legale a cui adempiere (una sentenza di qualche tribunale, ad esempio) o motivi di interesse nel settore della sanità pubblica. Il diritto all’oblio non ha ragione d’essere anche nel caso in cui i dati siano archiviati ai fini di ricerca scientifica, storica o statistica.

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