ABORTO. Più punti per abortire che per nascere; ecco il “paradosso umbro”

Parlare di aborto di questi tempi, si sa, è diventata un’ardua impresa. Il rischio di venire censurati o tacciati di conservatorismo retrogrado (o epiteti del genere) è praticamente all’ordine del giorno, con buona pace della libertà di espressione. E’ successo a Roma con il manifesto di Pro Vita affisso in occasione del 40esimo anniversario della legge 194 e prontamente oscurato dal tandem Cirinnà-Raggi. E in Umbria non sono stati da meno.

“Le misure legate all’interruzione volontaria di gravidanza hanno comportato spese nel triennio 2015-2018 per oltre 5 milioni di euro. Questo ci deve far riflettere. Dal ’78 ad oggi abbiamo praticamente ucciso 100mila umbri e stiamo sostituendo la popolazione con 100mila immigrati. E’ un paradosso”. La dichiarazione è di quelle forti. Una provocazione, evidentemente. A parlare è Sergio De Vincenzi, consigliere regionale di Umbria Next, partito federato con Idea, che ha presentato un question time indirizzato alla Giunta regionale proprio su “Denatalità, interruzione volontaria di gravidanza e piena applicazione della legge 194”.
Com’era prevedibile la provocazione non è passata inosservata. Tant’è che Vanda Scarpelli e Barbara Mischianti, segretarie della Cgil di Perugia e dell’Umbria, hanno definito le dichiarazioni di De Vincenzi “odiose e irrispettose verso le donne e di chiaro stampo razzista”. In più hanno sottolineato come “negli anni questa norma di civiltà è stata messa a repentaglio da continui tagli e dall’ormai dilagante fenomeno dell’obiezione di coscienza”.
Peccato che le cose non stanno proprio così. Tralasciando il fatto che dal testo dell’interrogazione del consigliere di Umbria Next si evince che il suo intento fosse quello di discutere sulla piena attuazione della legge 194, se si tiene conto che in Regione ci sono maggiori strutture per l’I.V.G. e minori punti nascita (i dati indicano la cifra di 6,3 strutture umbre dove è possibile interrompere volontariamente la gravidanza su 100mila donne, a fronte dei 5,3 punti nascita per 100mila donne) e se si considera che nel triennio 2015-2018 la spesa per le interruzioni di gravidanza supera i 4 milioni di euro, allora più che quello all’aborto, il vero diritto “a rischio” sembra essere proprio quello alla vita. Un paradosso, è evidente. “Se i rappresentanti dei sindacati fossero stati meno superficiali nel sentenziare sulla pratica dell’interruzione di gravidanza, avrebbero riconosciuto che solo nella nostra regione più del 20 per cento delle gravidanze annue totali vengono interrotte volontariamente, e che questo genera costi gestionali ingenti sulle casse del Servizio Sanitario Regionale, che avrebbero potuto dirottarsi su una “politica della vita”, garantendo procedure più agevoli per il parto in anonimato e la successiva adozione” commenta il consigliere di Umbria Next.
Eppure questo “paradosso umbro” sembra non esserci anche per l’assessore regionale alla sanità Barberini. Rispondendo all’interrogazione, per l’assessore della giunta piddina gli aborti nell’ultimo triennio sarebbero in calo. Della serie: il trend è positivo e quindi va tutto bene. Tuttavia se è vero che gli aborti chirurgici si sono ridotti, non sono certo diminuiti quelli chimici legati all’uso di pillole varie, che anzi sono in netto aumento. Ma di questo l’assessore non fa il minimo accenno. Così come non fa riferimento al fatto che in Regione i fondi per finanziare i 12 punti per l’interruzione volontaria di gravidanza ci sono, mentre, al contempo, si restringono i punti nascita. A maggior ragione se, come ricorda lo stesso De Vincenzi, “la Giunta Regionale ripete come un mantra che i problemi sociali e della sanità sono legati all’invecchiamento e alla denatalità”. E, giustamente, la Regione Umbria per invertire la tendenza restringe i punti nascita. Insomma, il “paradosso umbro” continua…

Bernardino Ferrero
www.l’occidentale.it, 9 aprile 2018