Paolo VI l’aveva detto: la contraccezione ha distrutto la società

L’enciclica Humanae Vitae non riguarda solo la sfera privata della sessualità, ma anche la dimensione sociale e pubblica della vita. La rottura tra atto coniugale e procreazione ha avuto conseguenze drammatiche nelle relazioni sociali, tra cui la crisi demografica che viviamo. E chi è a favore della contraccezione non ha argomenti per opporsi ai rapporti omosessuali.

«Humanae Vitae: la verità che risplende» è il titolo del convegno svoltosi sabato 9 giugno a Brescia, organizzato dal ‘Comitato Amici di Paolo VI’. a 50 anni dalla sua pubblicazione, le diverse relazioni hanno posto in risalto il valore profetico e sempre attuale dell’enciclica.

Pubblichiamo l’intervento di monsignor Livio Melina, docente di teologia morale al Pontificio istituto teologico Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia, che nel settembre scorso ha sostituito il Pontificio istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia.

Le date e i luoghi non sono casuali: talvolta ci svelano qualcosa del misterioso disegno della Provvidenza. Non è casuale che ci troviamo a Brescia e non è casuale che oggi teniamo il nostro Congresso proprio nel giorno in cui la Chiesa fa memoria del Cuore Immacolato di Maria. Vorrei ricordare qui anch’io il compianto card. Carlo Caffarra, mio Maestro e predecessore come primo Preside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II. Egli ci testimoniava le misteriose parole profetiche scrittegli da suor Lucia di Fatima quando, su suggerimento di San Giovanni Paolo II, le rivolse una richiesta di preghiera per il nuovo Istituto per Studi su Matrimonio e Famiglia. Ecco come il Cardinale le riporta: «Esse dicevano: “verrà un tempo in cui lo scontro decisivo tra Satana e il Regno di Cristo accadrà nel matrimonio e nella famiglia; chi difenderà il matrimonio e la famiglia avrà grandi persecuzioni; ma non abbia paura: Nostra Signora gli ha già schiacciato la testa: Il Cuore Immacolato di Maria vincerà”. Queste parole oggi sono per me e per noi tutti, parole di grande consolazione». E così anche il Beato Paolo VI, mentre iniziava a redigere l’enciclica Humanae vitae, il 13 maggio 1967 si recò pellegrino a Fatima, affidando alla Beata Vergine Maria quell’importante documento.

La tesi che vorrei illustrare è la seguente: l’enciclica del Beato Paolo VI non riguarda solo la sfera privata della sessualità, ma anche la dimensione sociale e pubblica della vita. E’ cioè questione di morale sociale e non solo di etica individuale.

Per la verità, il contesto in cui Humanae vitae fu pubblicata, cinquant’anni fa, il 25 luglio del fatidico 1968, era segnato dall’allarme ossessivo per una crescita incontrollata della popolazione mondiale, una vera “bomba demografica”, lanciato dal “Club di Roma” di Aurelio Peccei.

Fin dall’inizio l’orizzonte della discussione sulla limitazione delle nascite era dunque determinato da preoccupazioni di ordine politico. Se ne sente l’eco per tutta l’enciclica, che però ha il coraggio di andare controcorrente, anzi di richiamare le gravi conseguenze dell’introduzione della contraccezione nel costume sociale: abbassamento generale della moralità, incremento dell’infedeltà coniugale, perdita del rispetto dovuto alla donna, esposizione all’arbitrio dell’autorità pubblica, a scapito dei popoli più poveri (HV, 17).

Paolo VI fu un profeta. Non uno di quei falsi profeti, di cui parla Gesù, che blandisce la gente per guadagnarne l’applauso, anche a costo di tacere la verità, sminuendo i precetti della legge di Dio. Come ogni vero profeta biblico, amando il popolo non ha avuto timore di dirgli la verità e di ammonirlo, anche a rischio di apparire un fastidioso “profeta di sventure” e quindi purtroppo di restare inascoltato. E noi oggi possiamo constatare che non solo queste, ma anche altre e persino più radicali furono le conseguenze: l’introduzione della contraccezione ha provocato una vera e propria mutazione genetica delle relazioni sociali fondamentali, con grave insidia al bene comune. Di ciò vorrei parlare.

SESSUALITA’ NELLA LOGICA DEL DONO: MAGISTERO DI HUMANAE VITAE

Partiamo dal cuore dottrinale del documento che si trova al n. 11: «Qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita», in forza della «connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo» (HV 12). Non si tratta dell’affermazione generica di un ideale, che dovrebbe poi venire applicato alla situazione concreta secondo il discernimento della coscienza di ciascuno, come si sente di frequente dire oggi con deliberata contraffazione della lettera e dello spirito del magistero. In realtà l’enciclica montiniana formula una norma morale concreta valida per qualsiasi atto coniugale: «è altresì esclusa ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di rendere impossibile la procreazione» (HV 14). E precisa che la contraccezione è un atto “intrinsecamente disonesto”, che non può essere giustificato mai né in forza del principio di totalità, né del minor male. La coscienza dei coniugi, per essere fedele interprete dell’ordine morale oggettivo stabilito da Dio, non può procedere arbitrariamente e decidere autonomamente quali siano le vie oneste da seguire (cfr. HV 10).

La norma morale appena ricordata non è però la prescrizione legalistica di una volontà dispotica, che, come ha emanato la norma, così potrebbe mutarla. Essa è invece espressione di una verità sul bene, iscritta nella natura umana dalla Sapienza creatrice. Vi sono dunque ragioni intellegibili della norma morale. Ed è proprio queste ragioni antropologiche, etiche e teologiche che San Giovanni Paolo II volle esplorare e insegnare nelle sue Catechesi sulla “teologia del corpo”. Il corpo, testimone dell’amore originario del Creatore, è il luogo dove i rapporti rompono l’isolamento dell’individuo per generare la persona. Nell’incontro con la donna, l’uomo scopre la vocazione sponsale del proprio corpo al dono di sé. Ed è solo rispettando tale logica del dono che si custodisce la dignità personalistica dell’amore, nell’apertura ad una nuova vita, che può nascere allora non come mero effetto fisiologico, ma come dono da dono.

Potremmo dire in sintesi che Humanae vitae formula normativamente le condizioni per cui un atto sessuale è espressione adeguata dell’amore coniugale. Solo quando rimane per se stesso aperto alla trasmissione della vita, l’atto sessuale tra i coniugi è gesto di unione dei due, nel quale si realizza il dono autentico di sé nel corpo. Il nesso tra i due significati non va collocato a livello biologico, ma piuttosto a livello intenzionale: vi può essere un atto intenzionalmente contraccettivo, che pur risultando fisiologicamente fecondo, contraddice la verità del donarsi (ad esempio l’atto in cui fallisce la tecnica contraccettiva); così come può esserci un atto per sé aperto alla vita, anche se fisiologicamente sterile e conosciuto come tale (come accade nella regolazione naturale della fertilità).

Un atto reso intenzionalmente sterile nega nello stesso tempo l’apertura sincera al dono di sé e l’accoglienza piena dell’altro: è un atto che si ripiega su se stesso. Benché realizzato col consenso e la collaborazione del partner, l’atto contraccettivo intenzionalmente chiuso alla procreazione, è un atto volto alla ricerca del piacere individuale, che non differisce dalla masturbazione. Per questo, in esso la differenza sessuale non gioca un ruolo qualificante ed è dunque analogo ad atti di tipo omosessuale.

La filosofa inglese G.E.M. Anscombe cinquant’anni fa affermò che chi è a favore della contraccezione non avrà argomenti per opporsi ai rapporti omosessuali[5]. Il filosofo italiano Augusto Del Noce arrivò a dire che «il nichilismo oggi corrente (che lui chiama nichilismo gaio) intende sempre l’amore ‘omosessualmente’, anche quando mantiene il rapporto uomo-donna»[6]. E’ stato giustamente osservato che la relazione uomo-donna è originalmente pubblica con la sua apertura alla generazione di figli, e per questo è sancita dal matrimonio, mentre la relazione omossessuale è per sé privata e non può essere riconosciuta come matrimonio[7]. La contraccezione privatizza l’atto coniugale, proprio in quanto lo priva dell’apertura alla vita.

SESSUALITA’, RELAZIONI E BENE COMUNE

All’alba della rivoluzione sessuale in Occidente, il gran maestro della massoneria francese, Pierre Simon, pubblicò un libro inquietante, nel quale illustrò un progetto globale di trasformazione della società francese, che doveva essere emancipata dalla sua tradizione giudeo-cristiana attraverso una ridefinizione della famiglia e delle sue relazioni costitutive[8]. La medicina era indicata come lo strumento che permetteva questa operazione di intervento sul corpo sociale, attraverso la contraccezione, innanzitutto e poi mediante l’aborto e l’eutanasia. Come avviene questa trasformazione?

La sessualità ha a che fare con le relazioni determinanti l’identità del soggetto e la sua posizione sociale: le relazioni di origine e quelle di orientamento al futuro: il nostro essere figli e figlie, sposi e spose, padri e madri. La separazione della procreazione dalla sessualità implica necessariamente una trasformazione radicale di queste relazioni. Il figlio, voluto e procreato al di fuori della sessualità, è ridotto al “prodotto” di un progetto tecnicamente controllato e valutato. La sessualità che è chiusa alla riproduzione non apre più all’altro e perde il significato sociale: viene “privatizzata”, perché privata del respiro generativo che la permea intrinsecamente.

La dimensione sociale presente nella coppia uomo-donna consiste nella procreazione. In quanto ordinato alla procreazione il sesso è, nell’ordine della natura, l’unica attività compiuta nel corpo che ci connette anche col bene comune della società. Ed è un’attività compiuta esteriormente dal corpo, che per la comunione personale e per la cooperazione procreativa che realizza, ci rende più simili a Dio, ci fa essere un riflesso della Trinità. La privatizzazione è restringimento dell’esperienza sessuale ad un ambito individualistico, con un depauperamento dell’orizzonte semantico e delle relazioni. Chiusa alla generazione, l’attività sessuale è anche priva di futuro, ristretta all’istante. L’enfasi sulla prestazione ha condotto ad un’agonia dell’eros[10]. Una seria riflessione sulle statistiche del “caso Italia”, dimostra che la cosiddetta “rivoluzione sessuale” ha portato, contrariamente a quanto si pensa, a una drastica diminuzione dei rapporti sessuali: il sesso “libero” è diventato anche più banale e insoddisfacente.

L’introduzione della tecnica, che separa sessualità e procreazione, deforma la relazione sessuale e comporta alla fine una inversione nel rapporto tra le generazioni. Scompaiono dall’esperienza sessuale la gratitudine e il dono, riconosciuto, accolto e comunicato, sostituiti dalla ricerca dell’erotismo autosufficiente e dall’ansia di prestazione. I padri e le madri non vivono più per i figli, ma piuttosto vogliono i figli solo e quando essi rientrano in un loro progetto di soddisfazione. Si capovolge l’ordine naturale: i figli sono chiamati a vivere per i loro genitori.

Il deserto demografico, di fronte al quale ci troviamo ormai da decenni, è solo la conseguenza di una perdita della logica generativa e generosa del dono, di una privatizzazione della sessualità, esclusa dal bene comune della società, di una perversione del rapporto tra generazioni. La contraccezione corrode il bene comune della società perché introduce un fattore “im-politico” (S. Fontana), anzi e forse meglio “anti-politico” nelle relazioni sociali: il principio dell’individualismo di singoli esseri accostati tra loro e nello stesso tempo sottomessi ad un potere dispotico che li domina.

Privatizzata all’estremo, la sessualità è anche paradossalmente e per altro verso pubblicizzata, concessa ad una invasione del potere pubblico, politico e giuridico. La logica puramente contrattuale della democrazia post-moderna invade la vita privata e trasforma l’intimità, così che in forza di un’utopica autonomia assoluta dell’individuo formula modelli di “relazioni pure”, scardinate da qualsiasi riferimento alla natura e alla tradizione[16]. Come afferma giustamente Stefano Fontana, la relazione sessuale non è né privata, né pubblica: è personale e comunitaria. Solo se la si imposta non in termini di contraccezione, ma di sponsalità aperta alla vita, la si libera dalla morsa della privatizzazione e della pubblicizzazione.

SIMBOLO E TRASCENDENZA

E siamo così ad una ancor più profonda manipolazione: all’eliminazione della dimensione simbolica e della trascendenza dalla relazione sessuale. Paolo VI aveva evocato in Humanae vitae la presenza di Dio Creatore, come garante dell’unità tra i significati unitivo e procreativo dell’atto coniugale. Se Dio non c’entra, la procreazione diventa semplice riproduzione di un esemplare della specie. Se Dio non c’entra, l’unione sessuale perde il significato simbolico di alleanza e diventa luogo diabolico di confusione e di sfruttamento. Separato dal riferimento a Dio, il corpo diventa un semplice oggetto manipolabile, di cui disporre come si vuole. Quando scompare dall’orizzonte dell’esistenza il riferimento alla Provvidenza divina, la vita diventa un calcolo di vantaggi e svantaggi, una programmazione utilitaristica, che si chiude impaurita alle sorprese di un futuro, che pretendiamo di governare, ma che alla fine noi non decidiamo. L’uomo privato delle relazioni familiari e del legame con Dio è debole e fragile e quindi vittima predestinata dei poteri manipolatori

«Questo mistero è grande, lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa» (Ef 5, 32). Il mistero della sessualità, vissuto nel matrimonio, è una grande luce per la vita del mondo. L’eliminazione della dimensione del “mistero” dalla sessualità accompagna la rivoluzione sessuale e la sua presunta emancipazione fin dagli inizi. Il marchese De Sade nel suo tentativo di rieducazione coatta ad una pratica puramente edonistica del sesso, ripete ossessivamente la formula: «non si tratta di nient’altro che», formula nello stesso tempo riduttiva e violenta, che vuole censurare la domanda ineliminabile di senso.

In uno dei suoi ultimi luminosi interventi, in occasione degli auguri natalizi alla Curia Romana, il 21 dicembre 2012, papa Benedetto XVI aveva lanciato un grido di allarme proprio sul tema della famiglia, che proprio a partire dall’introduzione della contraccezione è stata messa radicalmente in discussione nella sua fisionomia naturale, di relazione fondata sul matrimonio come legame stabile tra un uomo e una donna, finalizzato alla procreazione e all’educazione dei figli. Egli ha ribadito che su questo punto non è in gioco solo una determinata forma sociale, ma l’uomo stesso nella sua dignità fondamentale: se infatti si rifiuta questo legame «scompaiono le figure fondamentali dell’esistenza umana: il padre, la madre, il figlio».

Dal momento che Dio, fin dall’Antica Alleanza e poi anche nella Nuova, ha scelto il linguaggio simbolico della famiglia per rivelarsi, se si perdono le esperienze dell’essere figlio, fratello e sorella, sposo e sposa, padre e madre, sarà distrutta anche la base naturale del linguaggio per parlare in maniera comprensibile di Dio. Che parole ci rimarrebbero infatti per parlare di Dio, se diabolicamente la famiglia fosse distrutta e non riuscissimo più a semantizzare queste esperienze originarie che ci danno identità all’interno delle relazioni familiari, in una società di individui che non si sanno più figli, che vivono nella confusione dei generi sessuali, che non hanno fratelli, perché sono figli unici, che non vogliono essere più padri e madri?

Un’autentica ecologia umana, come ha accennato anche papa Francesco in Laudato si’ (n. 155), dovrebbe occuparsi non solo dell’inquinamento dell’ambiente naturale, ma anche di quello dell’ambiente umano, delle relazioni sociali, che permettono all’uomo di essere se stesso, trovando la sua identità e respirando a pieni polmoni la verità dell’amore.

Posso dunque concludere affermando che l’enciclica Humanae vitae del Beato Paolo VI, proprio perché protegge la verità dell’amore coniugale da una logica di dominio del corpo e dall’inquinamento della mentalità edonistica e individualistica, è anche un essenziale contributo al bene comune di una società umana.

Mons. Livio Melina

La Nuova Bussola, 11 Giugno 2018