“Sana radicalità”. Gli insegnamenti di Romano Guardini per l’Europa postmoderna di M. Cacciari

By 28 Giugno 2018Cultura

Pubblichiamo ampi stralci dell’articolo «L’aut-aut sull’Europa di Romano Guardini», uscito sul numero 2/2018 del bimestrale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore «Vita e Pensiero». Alla luce degli insegnamenti del teologo italo-tedesco, il contributo riflette sui modi di salvaguardare l’anima del vecchio continente rifacendosi al cristianesimo, senza vane nostalgie.

Ha un senso oggi riflettere sul “compito e destino” che Romano Guardini credeva essere la stessa Europa, se si è in grado di coglierne e rappresentarne tutta la radicale inattualità. Che questa Europa non possa più concepirsi come un insieme di nazioni ciascuna in sé rinserrata (gli staterelli di cui già parlava Nietzsche) Guardini lo comprende già nell’epoca immediatamente successiva alla grande guerra, e ne è testimonianza la sua attiva partecipazione ai movimenti giovanili, alla Jugendbewegung di allora (si veda, tra gli altri, il suo intervento a Gruessau in Slesia nella Pentecoste del 1923). Nessun internazionalismo socialista, ma l’esatta intuizione che perseverare nel sogno egemonico che ha dominato la storia dei grandi Stati europei non potrà condurre che ad altre catastrofi e infine al suicidio della stessa Europa.

L’Europa è un’entelechia vivente, dice Guardini. Non deve essere intesa artificialmente come una forma-Stato; non ha natura pattizia, convenzionale; né può nascere dal “contratto” tra diversi interessi. L’Europa reca in sé, organicamente, un Fine da attuare. L’Europa ha una missione da compiere — una missione che trascende ogni singola, statuale volontà di potenza. Anzi, in qualche modo si potrebbe dire che proprio quella grande creazione dello spirito europeo che è lo Stato, per l’innata e insuperabile volontà di egemonia che ne rappresenta l’anima, contraddice nella sua storia l’entelechia europea — o che essa è concepibile soltanto in contraddizione con quella volontà. L’Europa è Kultur, è Bildung, è paideia, avevano detto in tanti, e soprattutto in Germania, negli anni di formazione di Guardini. È organismo culturale destinato a porre in atto ciò che possiede in potenza fin dalle origini. Ma quali origini? L’origine è sempre potissima pars di un ente, più che sua causa, archè nella complessità e integrità del termine: fonte e principio, principio che ordina e comanda, e non cessa di informare di sé l’intero processo. Non si tratta di andare alla ricerca di questa o quella “radice”. Nessuna storiografia è sufficiente a indicare l’archè che costituisce l’idea di Europa, ne orienta il destino, ne esprime la missione. È forse un dato storicamente accertabile tale principio? O non è piuttosto un fatto, il prodotto del nostro rammemorare, del nostro cercare nel destino d’Europa ciò che può ordinare e guidare il nostro presente? L’impostazione che Guardini dà alla sua interrogazione impone il problema: la missione d’Europa, come egli la concepisce, rimanda necessariamente a una decisione. Il compito che l’Europa deve affrontare, per salvare la propria anima, non ci viene incontro come l’esito inevitabile di una considerazione storica, ma come la scelta drammatica di un senso della sua storia tra altri, contra e versus altri. Tutti possibili, tutti aventi il “diritto” di rivendicare le proprie radici. Tra questi Guardini pone distinzioni precise e autentici aut-aut. Nessun sincretismo, nessuna irenistica conciliazione, come d’abitudine negli ultimi decenni.

Contra, anzitutto. Potremmo leggere le riflessioni storico-politiche di Guardini come una Auseinandersetzung con la Krisis husserliana. La crisi d’Europa è il frutto, per Husserl, della dimenticanza del significato greco della episteme, del primato che la Grecia afferma dell’atteggiamento (Haltung) puramente teoretico e del telos che ne costituisce l’essenza e ne informa la prassi: pervenire a una sola obbedienza, quella che ci impone di seguire nel pensare e in tutte le forme del fare l’evidenza razionale come unica guida. A una vita tutta liberata in tale stessa obbedienza tende l’anima europea — liberata da ogni relativismo psicologistico e storicistico attraverso il più rigoroso esercizio, askesis, di critica interna dei linguaggi della doxa. Ecco l’universale missione d’Europa, la cui archè è quintessenzialmente filosofica, la cui patria è l’Ellade. La religione vi coopera? Sì, ma solo in quanto Religion der Vernunft, secondo il monoteismo dei profeti d’Israele, il loro ideale messianico, come interpretati, ad esempio, nella grande opera postuma di Hermann Cohen.

La krisis, per Husserl, deriva dall’oscurarsi fino alla dimenticanza di tale compito, dalla riduzione obbiettivistico-naturalistica della soggettività trascendentale. La scienza dimentica l’Erlebnis che la produce — in termini più aulici, ma niente affatto estranei a Husserl: la scienza finisce col trattare l’anima come un dispositivo psico-fisico e pretende di negarne la autonomia.

In una pagina drammatica di Krisis Husserl si chiede: non sarà una follia questa missione? Non sarà mania, forse non come dono divino, questo assumere il valore della Haltung filosofico-scientifica nata in Grecia, come quello umanamente supremo? Di più: è davvero scientificamente corretto assumere i fondamenti dell’askesis scientifica come Valore? Per comprendere queste pagine husserliane si imporrebbe il confronto con Weber e col dibattito suscitato dalle sue famose conferenze sul lavoro intellettuale.

Grande tema, al quale qui possiamo solo accennare. I dubbi sul discorso husserliano formulabili a partire da Weber possiamo dire vengano radicalizzati da Guardini. Non certo perché quest’ultimo propenda a psicologismi o storicismi, o non ritenga sia valore indiscutibile la professione, Beruf, della scienza (rimanendo però sostanzialmente estraneo alla discussione sul concetto weberiano di Wertfreiheit), bensì perché egli è convinto che l’atteggiamento puramente teoretico (quell’“inizio” husserliano, in povertà assoluta, dall’Ego come unico essere apoditticamente certo) non possa costituire l’architrave su cui fondare l’idea europea, rappresentare la risposta alla catastrofe che la minaccia. Per certi versi all’opposto di Husserl, Guardini ritiene che solo riconoscendosi in una tradizione, assumendola come presupposto vitale del proprio presente, l’Europa potrà avere futuro.

Tuttavia, se ci limitassimo a queste considerazioni, non coglieremmo la ragione essenziale dell’aut-aut pronunciato da Guardini. Altri autori dell’epoca lo avevano posto con altrettanta forza (da Louis Gonzague de Reynold a T.S. Eliot): se lo spirito cristiano scompare, scompare l’Europa; nessun soggetto politico, nessuna forma istituzionale potrebbero supplire a tale perdita. Ma Guardini è forse il solo a porre la questione confrontandosi con l’autentica potenza scaturita dallo spirito europeo, con la sua ultima “rivelazione”: il sistema tecnico-scientifico, e non per ricordarne, semplicemente quanto impotentemente, le origini. «L’Europa diverrà cristiana o non esisterà più» (Europa und Jesus Christus, 1946). Che vuol dire? Non basta dire che l’Europa ha radici cristiane — occorre che essa le riscopra ancora. E riscoprendole le rinnovi di fronte a nuovi impedimenti, scandali, sfide. Quali? Quelli che la stessa missione razionalizzatrice non può che produrre. Nessuno spirito reazionario o conservatore in Guardini. Il processo di razionalizzazione è irreversibile — e per nulla in sé contraddittorio con la cristianità, come si è visto. Ma esso non può limitarsi alla dimensione del Beruf scientifico; la scienza contemporanea non è affatto semplicemente l’erede dell’atteggiamento teoretico classico, di cui la fenomenologia husserliana vorrebbe rappresentare la vivente memoria. Essa è intrinsecamente collegata alla Tecnica e perciò al mondo produttivo-economico. L’uomo faustiano ne governa i processi, non il filosofo, la volontà di potenza del primo piuttosto che quella di sapere del secondo. E tuttavia entrambe inseparabili, come una visione disincantata del loro procedere facilmente dimostra, almeno a partire dalla metà del xix secolo, secondo la periodizzazione proposta dallo stesso Guardini.

Fin qui il discorso di Guardini sembra seguire da vicino il topos sulla contrapposizione tra Kultur e Zivilisation. Ma in realtà il suo fine è tutt’altro. Nessuna Kultur, nessun Humanismus che riattinga al Classico, nessun “ideale umano” forgiato sul suo exemplum, nessuna nostalgia della Goethe-zeit, e così anche nessun idealismo-razionalismo che si pretenda rigorosamente scientifico, à la Husserl, potranno salvare l’Europa.

La cristianità è la sola forza capace di contenere il prepotente “accordo” tra scienza, tecnica, economia, “accordo” capace ormai di dominare il processo stesso della decisione politica. Ecco nella sua cruda chiarezza la provocazione di Guardini. La Tecnica potrà sempre finire col porsi al servizio di ogni Salvatore — quando addirittura non finisca per presentare se stessa come la Salvezza, trasformandosi in una religione —, se a essa non risponderà quell’idea di redenzione che la cristianità dovrebbe testimoniare. Il politeismo dei valori proprio delle società secolarizzate potrebbe rappresentare il prologo di un paganesimo ben più pericoloso, un paganesimo che si esprime nel culto di una sola Potenza salvifica — e quando in essa si sposino Tecnica e Potere politico, allora è “semplicemente” l’avvento dell’Anti-Cristo.

Come lo Spirito è stato capace di formare il molteplice della natura — il caos, dice Guardini —, come il processo di razionalizzazione è riuscito a legiferare su di essa, così ora siamo chiamati a ordinare e governare la neo-natura del mondo della Tecnica.

Da dove, tuttavia, potrà venire la forza che ispira una tale volontà formatrice? Forse dall’interno dello stesso processo di razionalizzazione? Forse che potrebbe essere una potenza a esso immanente? Così può pensare un Walther Rathenau. Così possono pensare coloro che concepiscono come unica forma della vita contemporanea quella del Beruf, e cioè l’ascesi intramondana dedita con disincantata fermezza allo svolgimento della propria professione. Illusione, per Guardini. Egli può certo anche ammirare tali forme di “umanesimo”, e però esse gli appaiono alla fine forme di resistenza e basta al mondo della mobilitazione universale, dell’infinito progredire senza Fine, del «fabbricare e consumare presto».

Un nuovo cosmo sarà possibile soltanto sul fondamento della fede in Cristo — e cioè sul fondamento della fede che una divino-umanità sia avvenuta e per ciò stesso sia storicamente realizzabile.

Soltanto la Cristianità, nella sua stessa forma politica, operante nel mondo, può insomma rappresentare non soltanto la sola potenza catecontica in grado di affrontare e resistere allo scatenamento delle potenze anti-cristiche immanenti nel mondo della Tecnica, ma anche indicare la possibilità reale — e reale poiché fondata sulla figura del Cristo — di un «nuovo tipo umano, dotato di una più profonda spiritualità».

L’inevitabilità del richiamo alla radice cristiana per “salvare” l’Europa è presente nell’intellighentsia “grande borghese” fino a Croce. Si tratta di compromessi o accomodamenti che non potrebbero mai soddisfare Guardini. Bisogna comprenderne e apprezzarne proprio la radicalità: l’Europa è cristiana o non è. Gli ideali “grande borghesi” sono esauriti per sempre. Mezze misure, vie di mezzo, più o meno auree mediocrità non servono che a frenare occasionalmente lo scatenarsi dell’energia pagana e anti-cristica che il mondo della Tecnica contiene in sé. Tuttavia, non è destino che essa trionfi; la Tecnica può essere formata. Ma occorre per questo che si affermi l’idea cristiana di persona e di potere politico. E che il Beruf scientifico vi si ispiri. Improbabile prospettiva? E quale altra opporle? Impossibile, forse? E non è proprio soltanto Dio a potere l’impossibile? Per tentare l’impossibile a che cosa appoggiarsi, per «renderci padroni del caos» in chi credere? Potremmo ancora dopo l’epoca tragica che Guardini ha vissuto dall’interno, credere in noi stessi? A queste domande ultime ci costringe Guardini — egli ci invita ancora a esserne responsabili. Ma forse al suo interrogare non risponde oggi che una sovrana indifferenza, o il riso che “commentava” al mercato le parole del folle alla ricerca di Dio.

Massimo Cacciari

L’Osservatore Romano, 13 giugno 2018