Non tutti in Belgio vogliono morire

By 21 Settembre 2018Articoli Bioetica 2018

Negli ultimi anni sono state stralciate 382 dichiarazioni anticipate di eutanasia. «Le persone le redigono da sani, ma quando poi si ammalano cambiano».

Sempre più persone in Belgio tornano dalle amministrazioni comunali dove hanno deposito la dichiarazione anticipata di eutanasia per ritirarla e stralciarla. Da quando questo tipo di testamento biologico è disponibile in Belgio, permettendo di ricevere un’iniezione letale nel caso si venga colpiti da malattie che implicano la perdita di coscienza o che causano la caduta in coma, sono state firmate 170.942 domande. Se 128.291 sono ancora valide, 42.651 sono scadute e non sono state rinnovate, ma solo in alcuni casi si tratta di persone nel frattempo decedute o che si sono dimenticati di rinnovare la firma (scade dopo cinque anni).

382 CASI. Secondo i dati diffusi da De Standaard, 382 persone in tutto hanno stralciato il testamento biologico, 98 solo negli ultimi due anni. Secondo Gert Huysmans, presidente della Federazione fiamminga delle cure palliative, il dato è interessante perché dimostra che «le persone si affrettano a riempire questi moduli quando sono ancora perfettamente sani. Quando però si trovano davanti alla realtà della malattia, cambiano come persone e guardano la propria condizione in modo diverso da come la consideravano prima».

«VALE LA PENA VIVERE». È esattamente questo il motivo per cui una legge come il testamento biologico, in Belgio o in Italia, non risolve affatto i problemi, semmai li moltiplica perché chiede alle persone di esprimere un’opinione e una preferenza su qualcosa che non conosce ancora e di cui ha solo paura. Come spiegava a Tempi Angelo Mainini, direttore sanitario alla fondazione Maddalena Grassi, nata nel 1991 e che nel 2016 è arrivata a prendersi cura a domicilio di 1.800 malati in condizioni gravi, «la stragrande maggioranza dei nostri pazienti, malati cronici neurodegenerativi, all’inizio ha un’idea, poi però con il progredire della malattia cambia. Se si chiede a una persona in salute cosa vorrebbe fare se diventasse tetraplegica, la risposta è scontata. Ma nella realtà avviene un’altra cosa. Persone che dicono: “Il tubo della peg non me lo metterò mai”, quando arriva il momento in cui non riescono più a deglutire, lo richiedono. Perché magari c’è un nipote che deve nascere o un figlio che deve sposarsi. Con il tempo si trovano nuove motivazioni per cui vivere, più profonde, più radicali. In tanti poi dicono: “La tracheostomia non la farò mai”. Ma quando rischiano di soffocare la accettano, perché anche se una persona è paralizzata, con l’aiuto di farmaci adeguati che tolgano il dolore, se è voluta bene scopre che vale ancora la pena vivere».

Leone Grotti

Tempi.it, 4 settembre 2018