Il taxi di zia Caterina ora è un camper: entrare nel dolore dell’altro è un miracolo

By 3 Ottobre 2018Testimoni

Caterina Bellandi ha trasformato un mezzo di trasporto in una casa di abbracci per portare in ospedale i bambini malati di tumore ed essere con loro dentro il mistero quel viaggio.

Qualche settimana fa abbiamo raccontato una piccola storia di stra-ordinaria solidarietà: Marianna Amatore ha pensato al taxi del sorriso, per accompagnare a scuola i bambini rimasti colpiti dalla tragedia del crollo del Ponte Morandi a Genova.

Il viaggio CON la speranza

A Firenze un’altra signora, Caterina Bellandi, da anni ha un taxi molto speciale chiamato Milano 25 ed è tutto colorato e pieno di disegni. Lei stessa ha l’aspetto di una Mary Poppins bionda e allegra: con quel taxi accompagna gratuitamente all’ospedale i piccoli pazienti oncologici che devono essere visitati o sottoposti alle cure. Quel taxi è diventato un posto così pieno di bene da essere diventato pochi giorni fa anche un camper:

Da oggi (il 13 settembre Ndr), con la benedizione di padre Bernardo alla basilica di San Miniato in Monte, inizia anche l’avventura del ‘Camper dei supereroi’ Milano 25 Taxi Home. L’iniziativa è stata resa possibile grazie all’impegno di Caterina e a tutti i sostenitori di Milano 25 onlus che hanno fatto donazione fino a raggiungere i 63mila euro necessari. La Regione l’ha riconosciuta come progetto per l’inclusione e il contrasto del disagio sociale e ha stanziato la cifra mancante necessaria a far concretizzare l’iniziativa (circa 13mila euro). (da Firenze Today)

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Ho sempre storto il naso di fronte a chi parla del bello di viaggiare per viaggiare, senza pensare alla meta. La meta è ciò che dà senso – in tutti i modo possibili – al viaggio. Però ci sono casi in cui effettivamente condividere un tragitto è più importante dell’esito a cui porterà: per un bambino andare all’ospedale significa fare i conti con la paura terribile del dolore e forse con qualcosa di peggiore; il rischio è quello di percepirsi identificato con la malattia e in fin dei conti con la sua mortalità.

Ospedale, certo, significa anche cura e guarigione, ma proprio per mettere a fuoco questo e non gli spettri crudeli, occorre un viaggio in compagnia. E Caterina Bellandi lo sa bene.

Milano 25 sei tu, d’ora in poi

Era l’ormai lontano 2001 quando il mondo di Caterina andò sottosopra: suo marito Stefano morì di cancro ai polmoni, era lui il tassista di casa; lei era una semplice impiegata di Prato.

Da quel lutto tutto lo scialbo grigiore dell’impiegata si è trasformato in un’apoteosi di colori, cappellini a fiori, campanelle, palloncini, vestiti alla Mary Poppins e peluche. Un colpo di follia? Tutt’altro. Lo spiega con queste parole lei, che dal quel tremendo agosto del 2001 è diventata zia Caterina:

Prima ero «all’incirca», ero «all’incirca» un essere umano. La maggior parte delle cose noi le facciamo «all’incirca»; le fanno tutti, è ordinario che tu lo faccia così. (…) Questo «all’incirca» mi innervosisce da morire, perché è essere vicino, ma non dentro. Ora io ci sto dentro alla vita, mi mette in difficoltà non avere un equilibrio solido perché avverti il motivo per cui tutti noi siamo qui: abbiamo il nostro dolore che ci porta a camminare verso il dolore dell’altro. (da YouTube)

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Il suo aspetto esteriore lascerebbe intendere altro, ma queste parole spazzano via ogni superficiale giudizio. La lotta per il bene dentro la battaglia della vita esige strumenti tutt’altro che tiepidi. Un aspetto bizzarro ed esuberante può essere, è senz’altro, la corazza di un soldato coraggioso. Fu Stefano, poco prima di morire, ad affidare il taxi alla moglie Caterina: e Milano 25 è diventato una casa, per essere dentro la vita in un modo che tanti giudicano intollerabile.

Abitare la malattia, quella che spesso non dà scampo, è un’ipotesi che ci farebbe scappare a gambe levate. Mandando tutti gli all’incirca a quel paese,  zia Caterina ha cominciato ad abitare il viaggio dei piccoli pazienti oncologici verso l’ospedale. Cominciò per caso nel 2002 – si sa, la Provvidenza arriva come un vento e non come un progetto studiato a tavolino: una bimba salì sul Milano 25 perché sul cruscotto c’era disegnato un grande fiore e raccontò alla tassista del suo fratellino volato in cielo a causa di un tumore cerebrale,

La storia coinvolge Caterina al punto che da quel giorno iniziò ad effettuare corse gratuite per l’ospedale pediatrico Meyer, a favore dei familiari e dei bambini malati di tumore. Quelli che Caterina chiama i “super eroi” e fa dipingere sul suo taxi. (da Milano 25 onlus)

Se oggi quel taxi è diventato un camper, vuol dire che – come intuì Dante – l’amore muove e si muove; e quando è carità non può che diventare sempre più grande. Non perché la malattia colpisce di più, ma perché l’ospitalità abbraccia sempre di più.

Camminare verso il dolore dell’altro

A volte la meta è solo una scusa per togliersi dalla fatica dei passi. Su questo mi ha fatto rimuginare la zia Caterina.

Se Maria si scelse il posto migliore vicino a Gesù, la signora Bellandi si è scelta il posto più difficile vicino alla croce dei piccoli. Vorresti vederli guariti, vorresti magari stare fuori dalle sale operatorie, o nelle sale d’attesa. Ma quel viaggio no, mai: andare verso l’ospedale con tutto il peso dell’incertezza e dolore, senza conoscere ancora il punto d’arrivo di un percorso tanto sofferto.

Eppure c’è posto migliore per la compagnia? C’è posto migliore in cui anche sotto mille vestiti colorati e palloncini il cuore si fa nudo e trasparente? C’è posto migliore per essere ed essere insieme?

Si diventa squilibrati, ma non pazzi: si perde l’equilibrio di essere padroni degli eventi, e ci si protende ad incontrare la fragilità dell’altro in cui si specchia tutta la nostra fragilità.

E allora c’è proprio bisogno, lì, di un tripudio di esuberanza, esattamente come sul campo di battaglia si sventolano le bandiere. Per segnalare che un’umanità è in subbuglio. Ma anche per dire che il tiepido, l’insipido, il neutro, il grigio è bandito dove si due o tre fanno incontrare i propri dolori, ne fanno una casa in cammino verso ciò che sarà; sapendo solo che un taxi – o un camper – è come la conchiglia, protegge la perla preziosa che non può essere schiacciata.

(… e al collo Caterina porta la conchiglia di Santiago, il cammino per eccellenza di chi si fa pellegrino).

Annalisa Teggi

Aleteia, 18 settembre 2018

Il taxi di zia Caterina ora è un camper: entrare nel dolore dell’altro è un miracolo