Body shaming, quando i bulli uccidono con le parole

By 16 Gennaio 2019Web e Comunicazione

Alla scoperta di una nuova, pericolosa, forma di cyber-bullismo.

“Ti vedo un po’ ingrassata”. Una frase buttata lì a una ragazza incontrata per caso dopo diversi mesi. Una dimostrazione di noncuranza (talvolta non senza una buona dose di malizia), che non tiene conto degli effetti potenzialmente distruttivi di quanto affermato. E, soprattutto, non considera il periodo storico che viviamo. Quello di Instagram, Facebook, Twitter e Whatsapp. Dei media su cui l’equazione dominante sembra essere bellezza-uguale-successo. La conseguenza sono le centinaia di giovani (e non solo) ossessionati dal proprio aspetto fisico, che da semplice “talento” da spendere nelle relazioni interpersonali diventa ragione di vita.

Il fenomeno

Non è un caso, allora, se il body shaming (“disprezzo del corpo”) venga inquadrato nell’ambito del più vasto fenomeno del bullismo e del cyberbullismo. Gli elementi di contatto fra le due categorie non mancano, a partire dall’aspetto denigratorio e persecutorio, che non si manifesta attraverso minacce e condotte violente, ma con un linguaggio offensivo, foriero di effetti psicologici devastanti. Così la pensano psicologi e psichiatri, che suddividono il body shaming in “fat shaming” e “thin shaming”. Il primo prende di mira le persone in sovrappeso o affette da obesità (che, ricordiamolo, è una vera e propria malattia), il secondo quelle molto magre (magari con problemi di anoressia). In generale, però, vi rientrano tutti i casi in cui un difetto fisico diventa occasione di dileggio gratuito.

L’odio corre online

Il territorio di caccia degli “hater” è soprattutto quello dei social newtork, su cui si moltiplicano i commenti sprezzanti a fronte di una foto postata, magari con l’intento di ricevere una qualche forma di apprezzamento. “Sei brutta”, “hai la cellulite”, “non ti si può guardare”. Parole che diventano proiettili per chi, magari, aveva deciso di condividere un autoscatto nel quale si illudeva di risultare piacente. Invece no.

Vittime

A essere prese di mira sono in particolare le adolescenti, che si confrontano quotidianamente con un modello standardizzato (e disumano) di bellezza: altezza, corporatura magra ma non scheletrica, forme al punto giusto e così via. I danni provocati dalle offese sono molteplici: senso di inadeguatezza, insicurezza, frustrazione, depressione, che aprono le porte a disturbi alimentari come anoressia e bulimia e, in casi estremi, a tentare la strada del suicidio. Immaginate cosa può provocare, ad esempio, il “ti vedo un po’ ingrassata” di cui si diceva prima in una giovane che sempre più spesso si auto-induce il vomito per non assimilare quanto appena mangiato. Il fenomeno non risparmia le celebrità, molto presenti sui social network. E’ successo, fra i tanti, all’attore americano Wentworth Miller, che ha rivelato di aver cercato di togliersi la vita dopo essere stato vittima di alcuni episodi di “body shaming” online. Secondo un’indagine promossa da Nutrimente Onlus – associazione per la prevenzione, la cura e la conoscenza dei disturbi del comportamento alimentare – su circa 4000 italiani ambosessi di età compresa tra i 18 e i 55 anni, una donna su due sostiene di essere stata giudicata per la forma del proprio corpo.

Lotta al fenomeno

Diversi i rimedi per contrastare il fenomeno. Alcuni, caldeggiati dagli esperti, puntano su un codice di autegolamentazione: dare meno importanza al giudizio altrui e ai social network, focalizzare l’attenzione sulla salute piuttosto che sulla bellezza, praticare sport per sentirsi meglio con se stessi, non specchiarsi in situazioni in cui l’umore non è al massimo e così via. E’ poi importante interrompere i canali di comunicazione con gli hater, attraverso lo strumento del ban (blocco), messo a disposizione da tutti i social network. Va ricordato, poi, che il bullismo è un reato. Pertanto le condotte persecutorie subite possono essere denunciate alle forze dell’ordine, che perseguiranno i responsabili. Un ruolo importante spetta ai genitori, chiamati a notare le forme di disagio, a confrontarsi con i propri figli ed, eventualmente, a valutare un percorso terapeutico per superare insicurezze e traumi subiti.

Francesco Volpi

5 gennaio 2018

https://www.interris.it/sociale/body-shaming–quandoi-bulli-uccidono-con-le-parole