Utero in affitto: un’ostetrica scrive in lettera aperta a Roberto Saviano

Gentile dottor Saviano, mi permetto di scriverLe poiché ho letto il Suo ultimo articolo sull’utero in affitto, per cui mi sento chiamata in causa professionalmente, oltre che personalmente. Sa com’è, noi ostetriche abbiamo le nostre fissazioni, tra le quali ci sono la fisiologia e i bisogni del bambino. Lei dovrà perdonare il mio linguaggio semplice e di sicuro non all’altezza delle Sue modalità linguistiche: sono abituata a tenere corsi di accompagnamento alla genitorialità – nei quali bisogna essere chiari ed estremamente esplicativi per consentire ai genitori di compiere le scelte che più si confanno alle personali opinioni e inclinazioni – e mi confronto spesso con bambini e adolescenti – la semplicità, come credo Lei immaginerà, è d’obbligo – .

Non vorrei compiere errori, poiché mi rifarò al Suo articolo per tentare di fornirLe, spero, degli strumenti in più per farsi qualche idea in più su cosa sono i figli. Non per altro, Lei non ce n’ha – da quello che so – perciò mi prendo la libertà di essere quella che, in questa sede, è un pochettino più “informata sui fatti”, come si direbbe in gergo tribunalizio.

Innanzi tutto una piccola introduzione: quando si parla di diritti degli adulti è necessarissimo contrapporli ai doveri. Al contrario, se c’è qualcuno che di diritti ne possiede senza avere dei doveri (a parte riordinare la stanza quando l’età lo consente), quelli sono i bambini. I bambini possiedono tutta una serie di diritti tra i quali annoveriamo, per stare terra terra, quello di crescere nella pancia della propria mamma: sentirne il battito cardiaco che poi sarà riconosciuto nella lunghissima fase dell’esogestazione (i primi dodici mesi dopo la nascita), riconoscerne la voce (che sarà quella che ascolterà dopo e, “purtroppo”, per tutta la vita, direbbero i miei figli adolescenti con un velo di sarcasmo), assaporarne la cucina (nessuna domanda, La prego, sul fatto che ai miei figli, al momento dell’ introduzione all’alimentazione complementare, piacciano le acciughe marinate e la pizza ai quattro formaggi), riconoscerne le emozioni e percepirne le sensazioni (durante la gravidanza si dice che la donna “Debba vedere solo cose belle” per tale motivo). Quando il bambino è lì, nel suo liquido amniotico bevendolo e trasformandolo in pipì, è in paradiso. C’è un momento, però, in cui tutto cambia: il travaglio e il parto. Si è mai chiesto perché noi ostetriche siamo molto a sfavore dei tagli cesarei? Perché il bimbo è costretto a nascere quando non è pronto. Un bimbo che nasce tramite un cesareo non sarà mai al 100% perché in tutti i casi, anche quando il cesareo serve effettivamente per salvargli la vita (evviva la chirurgia d’emergenza!), il bimbo è un po’ sofferente. Non è il massimo, se ci pensiamo un secondo, stare lì nel proprio nido caldo e poi essere tirati fuori al freddo con un sacco di mani che toccano, tirano, mettono, infilano… ecco perché si tenta sempre di restituire la mamma al bambino. Certo: non si da il bambino alla sua mamma, ma si da la mamma al suo bambino. È lui che ha il diritto, in quel momento. Lui e basta. È lui che deve ritrovare l’omeostasi, il benessere. È lui che ha bisogno del contatto della sua mamma. Se ci fa caso (se non è mai stato in una sala operatoria glielo spiego in parole semplicissime), tutti i protocolli e le linee guida più moderne e attente, promuovono il contatto tra bambino e mamma. La mamma non è in primo piano quasi mai rispetto al bambino (a parte i rarissimi cesarei o parti indotti per patologie materne, ma ci arriviamo dopo): è il neonato che è soggetto di attenzione e disposizioni mediche in virtù della salute materna. Il fumo in gravidanza fa male, perche fa male al bambino, giusto per esempio. È per il bambino che è stata inventata la KMC (Kangaroo Mother Care, ovvero Terapia del Canguro). È per lui che centinaia di migliaia di medici, infermieri, ostetriche, si confrontano, nel corso di migliaia di convegni all’anno, per raggiungere i famosi “gold standard” e consentire alla medicina di salvare la vita a quanti più bambini si riesce. Certo: si deve salvare anche la mamma, ci mancherebbe altro! Ma la salute infantile è davvero oggetto di tantissima attenzione.

Quando poi il bambino nasce, è suo massimo diritto stare con la sua mamma. Sì, lo so: ci sono stati decenni nei quali il latte materno era velenoso (alcuni pediatri affermavano questa atroce eresia), nei quali il bambino che piangeva era solo un viziato che pretendeva attenzione (anche questa cosa la odo, talvolta, nelle donne anzianotte), nei quali la qualità del tempo che un bambino passa con mamma è più importante rispetto alla quantità (anche questo è un leit motiv di alcuni vecchi psichiatri e attempati lattai – quando nasce un bambino anche il lattaio ha sempre qualche suggerimento da dare), nei quali il bambino doveva imparare ad addormentarsi da solo nel suo letto, isolato dal resto del mondo (vetusta disposizione anche questa). Grazie a Dio – scusi, è un vizio: io Dio lo ringrazio spesso, abbia pazienza – e a tantissime e valorosissime mamme (sostenute da qualche coraggiosa ostetrica) che si sono stufate di ascoltare quelle “baggianate”, è circa dai primi anni ’90 del secolo scorso, che si conosce con più attenzione quale sia la fisiologia del bambino. Si sa che è fisiologia poiché tutti i bambini di tutto il mondo hanno i medesimi comportamenti e bisogni: che il bimbo sia orientale, nero, bianco, nordico… non importa: tutti i bambini hanno bisogno di stare attaccati alla loro mamma, hanno bisogno di poppare al suo seno (il latte materno contiene “oro liquido”, ovvero il preziosissimo colostro, pari a un vaccino naturale, per il neonato), di dormire con lei, di assaggiare ciò che c’è nel suo piatto, di relazionarsi con lei per imparare a gattonare, camminare, correre, parlare… Insomma la mamma è un po’ un guscio protettivo che culla il bambino prima (endogestazione: ne parla tantissimo Michel Odent, ideatore del concetto di Salute Primale) e dopo la sua nascita (la già citata esogestazione). Certo, il bambino ha tanto bisogno del suo papà: colui che si prende cura della mamma “in cova” (perdoni il termine molto semplice, ma tante mamme si descrivono così, durante l’attesa), della sua famiglia: procura nutrimento e protegge (anche da suocere un tantino invadenti). Quando poi il bimbo è tranquillo, ci sono papà che amano molto portare in fascia il bambino (li rende molto fieri saper destreggiarsi con le legature), papà molto coccoloni e giocherelloni (il rapporto educativo si instaura e progredisce tantissimo col gioco)… insomma i papà sono tanto importanti anche quando il bambino è piccolo. Anche fiancheggiando, con amore, le mamme.

Lei dichiara che ci sono diritti che ci mettono più tempo a diventare consuetudine, a essere percepiti come normali, per cui “naturali”. Ecco, vorrei tentare di essere inequivocabile: solo i diritti dei bambini sono quelli che Lei definisce “naturali”. Coincidono coi bisogni fisiologici e non sono discutibili. Non ci sono bambini che non hanno bisogno di poppare, di contatto e di accudimento. Facciamo un altro esempio semplice: i bambini adottati. I bambini adottati anche appena nati subiscono una ferita primale mostruosa: ecco perché i genitori adottivi sono – ai miei occhi – degli eroi. E non si diventa genitori adottivi perché si possiede il diritto di essere genitore (nessuno mai è in queste condizioni), ma perché tutti i bambini hanno il diritto di essere amati da genitori in grado di educarli. Ha notato la sottigliezza? Il bambino ha diritto ad essere amato, ma il genitore ha il dovere di educarlo. Educazione ed amore sono estremamente collegati: se io ti amo, ti educo. Ti educo perché viviamo nella società, perché tu sei un cittadino, perché tu sarai anche un genitore, perché avrai delle responsabilità. In realtà – ma cosa glielo dico a fare? Si tratta di un’ovvietà – i genitori, a volte, non sono molto apprezzati dai figli. Anzi, quando il genitore interviene educando con amore il figlio (l’amore è solo il presupposto, mai il fine) e riceve qualche “ti odio”, “non ti sopporto”, “voglio un’altra mamma”, sa di aver creato una persona diversa da sé. Sa di aver creato un individuo capace di vedersi staccato dal genitore. E matura, cresce. Se un genitore ha potuto educare il proprio bambino seguendolo nei suoi bisogni fin da quando era piccolo, non avrà timore di “fargli male” poichè il figlio non metterà mai in dubbio l’amore che il genitore ha per lui (l’ascolto dei bisogni che ha il figlio di qualsiasi età è fondamentale perché il genitore possa porgli dei limiti educativi, senza che il figlio perda fiducia in se stesso). Certo, le prime volte che un figlio ti affronta (dai due ai diciassette anni, con alti e bassi) il genitore ci soffre. Poi ragiona e sa di fare il bene del figlio. Questi non è mai il mezzo tramite il quale il genitore si sente amato. Un figlio non deve far sentire amato il genitore: non gli compete. Un genitore ha il proprio partner, casomai, per sentirsi amato. Al contrario il genitore deve volere il bene del figlio (non solo volergli bene). E il bene del figlio non è realizzare il genitore. È diventare autonomo. E l’autonomia, al contrario di come si pensava negli anni ’60 e ’70, la conquista piano piano: prima attraverso l’ascolto dei suoi bisogni, poi venendo educato, come dicevo prima. Tutto avviene con calma. Il presupposto del genitore è l’amore. Il presupposto del figlio è diventare individuo autonomo.

Lei critica la contrapposizione che c’è tra naturale e artificiale, poiché ciò che è artificiale è “male” e ciò che è naturale “è bene”. Lei afferma che se l’uomo è naturale, ciò che crea è naturale. Aggiunge inoltre che c’è qualcuno che percepisce innaturali (e quindi artificiali e negative) la fecondazione assistita (eterologa e l’utero in affitto), ma non le cure necessarie per portare a termine una gravidanza difficile. Ora, mi limito a qualche spiegazione tecnica. Cominciamo dall’informazione più basilare: la fisiologia si contrappone alla patologia poiché la fisiologia non necessita di aiuto esterno per svolgersi. E la fisiologia è, inesorabilmente segno di salute. Mi spiego: una donna che rimane gravida spontaneamente (senza ausilio di interferenze esterne) di un solo bambino, ha una buonissima possibilità di portare a termine una gravidanza di 9 mesi e di partorire il proprio bambino senza (troppi) interventi esterni, ma abbisognando di una (gentile) assistenza esterna. E infatti, se andiamo a vedere un paio di statistiche, sappiamo che il 94% delle gravidanze fisiologiche termina tra la 37° e la 42° settimana di gestazione (ovvero quando il bambino è “pronto” per venire alla luce e adattarsi alla vita fuori dall’utero materno), e che ben il 77,3% delle gravidanze patologiche (ovvero che presentano patologie croniche o acute) termina tra la 37° e la 42° settimana di gestazione: quindi similmente a quelle fisiologiche (quindi il bambino nasce quando è giusto che nasca). Questo significa che le gravidanze che abbisognano di cure sono davvero poche: infatti esistono le linee guida per la gravidanza fisiologica, non quelle della gravidanza patologica. Inoltre quando c’è la patologia (perché è ovvio che sussistano tante situazioni delicate) c’è quasi sempre una situazione pregressa alla gravidanza, delle predisposizioni al di fuori della gravidanza. Talvolta esistono situazioni che sorgono in gravidanza, ma che la medicina è pronta ad affrontare spesso facendo nascere il bambino (che viene messo accanto alla mamma nel più breve tempo possibile), ma sono rare. Ci sono situazioni emergenziali intrapartum (cioè che sorgono nel momento della nascita), ma anche in questo caso si chiamano “emergenze” perché se fossero “ordinarietà” le ostetriche non servirebbero, ma bisognerebbe solo avere a disposizione un chirurgo, quando nasce un bambino! Un dato interessante riguarda i cesarei che sono purtroppo il 34% delle nascite, in Italia: la colpa, lo dico senza imbarazzo, sta spessissimo nelle cliniche private che risolvono la loro assistenza con semplici cesarei programmati e che, se fosse per me, andrebbero visitate più spesso dal Ministero della Salute (è tutto leggibile sui Certificati di Assistenza al Parto nazionali). Oramai non si programma più il cesareo neanche se il bambino è podalico: prima si prova la manovra esterna di rivolgimento, poi, casomai, si interviene. Quindi cominciamo col dire che il fatto di vedere negative le cure “artificiali” nelle gravidanze difficili, è sbagliato: la maggior parte delle gravidanze è fisiologica, quindi (grazie a Dio) ci sono uomini che hanno il potere di salvare la vita a mamma e bambino, quando la loro salute è in pericolo! Ciò che è “artificiale” è creato dall’uomo e non è cosa brutta, al contrario! La conseguenza è che ciò che crea l’uomo non è sempre naturale: naturale non è sempre buono, tra l’altro: il diabete è naturale (non è causato dall’uomo), ma è patologico. Grazie alla bravura dell’uomo c’è l’insulina artificiale che permette ai diabetici di vivere una vita quasi normale!

La gravidanza che insorge artificialmente non è naturale: ci vogliono accortezze particolari, trattamenti particolari, cure particolari. E non sempre nasce un bambino. Non sempre nasce un bambino sano. Non sempre nasce nel momento giusto (dopo 9 mesi). Non sempre nasce un bambino che rimarrà sano per tutta la vita. Ma in questo caso il procedimento è artificiale dall’inizio. Spesso fino alla fine (si assiste col cesareo anche se non serve poiché la gravidanza è definita “preziosa”: ci sono forse gravidanze che non lo sono?), quindi non è paragonabile alle cure che può ricevere una gravidanza che può necessitare di controlli o di interventi esterni, ma che è iniziata normalmente. Per ciò che attiene l’utero in affitto, la patologia è dall’inizio alla fine. E coinvolge in modo pesantissimo il bambino. Che non solo potrebbe maturare patologie fisiche per il solo fatto di essere stato creato in laboratorio, ma potrebbe avere patologie psichiatriche pesantissime indotte in modo artificiale solo a causa di un diritto che alcuni adulti si sono riservati. Allora ribaltiamo la questione: se degli adulti hanno il diritto ad avere un figlio (figlio che poi dirà loro “ti odio!” non scordiamocelo), qual è il loro dovere rispetto al figlio medesimo? No, non è mantenerlo. Non è dargli amore (che non è un fine, ma un semplice mezzo). Non è dargli abiti. Non è semplice, vero? Ecco perché è molto più semplice, naturale e fisiologico elencare i diritti del bambino. A cominciare dalla fisiologia. La Salute Primale ci ha insegnato che un individuo vivrà la propria vita anche a seconda di come è stato concepito, di come è stata la sua gestazione, da com’è nato, da com’è stato il rapporto con la madre nei primi anni di vita, da com’è stato quello anche col padre in seguito. Non credo bisogna disturbare psicologi perinatali, per capirlo (basta solo leggere Alice Miller, per farsi un’idea). Per esempio potrei solo citare un famoso medico del peso di Fédéric Laboyer: quello del parto naturale e del famoso massaggio infantile (cerchi Shantala su youtube e si commuova: quel bambino massaggiato non è tranquillo perché è massaggiato, ma perché lo massaggia la sua mamma cantandogli la canzone che lui ha sentito durante la sua vita prenatale). Se vogliamo un bambino ferito nella sua profondità, creiamolo in laboratorio e strappiamolo dalle sensazioni ed emozioni che sente 9 mesi. Togliamogli le mammelle alle quali attaccarsi e rigustare i sapori assaggiati nel liquido amniotico. Sradichiamolo dai suoni, dai rumori, dalle voci che ha percepito nella sua gestazione.

Avere un figlio – Lei dice – diviene un diritto solo in presenza di un divieto espresso, di una oggettiva difficoltà che può sperimentare chiunque. Ma un diritto diviene tale in caso di divieto, solo se il divieto nega diritti civili: se una persona non ha diritto di voto perché appartiene a un’etnia, ciò che glielo vieta è sbagliato. Ma se una persona possiede un diritto che si esercita su un’altra persona, è un altro paio di maniche. Nessuno essere umano ha diritto su un essere umano. Indipendentemente dal presupposto, dal mezzo e dal fine. Altrimenti è schiavismo. E noi lo condanniamo. Anche se la persona oggetto del diritto verrà amata, quella persona è degna di diritti quanto l’altra. Inoltre, come dicevo prima, il bambino non ha doveri. È l’adulto che li possiede. Sulla difficoltà io sono in grado di capirLa: è terribile, per un uomo e una donna che non possono avere figli, non poterli avere biologicamente attraverso il loro amore fisico. Ma la medicina non può risolvere tutto senza conseguenze. E se a loro preme convogliare il loro amore verso qualcuno che ne ha bisogno, mi inchino con rispetto verso chi usa l’adozione per farlo.

Lei scrive che avere un figlio è un piacere (che nessuno può vedersi negato), non un dovere. Se lo ricorda cosa ho scritto prima? A ogni diritto, corrisponde un dovere. Un diritto su un figlio non può esistere. Mi permetta di aggiungere, dottor Saviano, ma il figlio non è di sicuro un piacere. Può dare gioia essere genitore, ma è la condizione di genitore che da gioia, non quella dell’avere un figlio. Un figlio è una persona che non viene messa al mondo per dare gioia. Un figlio è una persona che ha diritto di venire alla luce e di essere cresciuta ed educata con amore e responsabilità (tramite uno e l’altro). E ha diritto di esserlo comunque. Sano, malato, desiderato (ossia progettato e concepito con cognizione) o “indesiderato” (ossia concepito per caso). È il figlio ad avere diritto. Non il genitore. Questi ha il dovere di prendersene cura è responsabilità. E spesso farlo non è descrivibile propriamente con la parola “felicità”. Una persona non da la felicità: è la relazione, la situazione, a suscitare felicità. Spesso però diventare genitore di un figlio malato può essere complicato, suscitare angustie e preoccupazioni. Ma il bello del fatto che tali sensazioni siano date dall’essere genitori di quel figlio, è che, grazie all’amore, noi prendiamo le angustie e le preoccupazioni e le tramutiamo in enorme Bellezza. Un figlio malato è una situazione terribile, ma l’amore per quel figlio ci sostiene nella prova e ci fa combattere per la sua salute. Se un figlio è un piacere, andiamo poco lontano, dottor Saviano. Anche in situazioni di normalità, posso garantirLe che un figlio è complicato, frustrante, agghiacciante, doloroso e stancante. Ma se un genitore vuole il bene per il proprio figlio, lo ama, allora prenderà tutte quelle note negative e le vedrà tramutarsi in bellezza, felicità, dolcezza, solo perché quello è il proprio figlio. L’amore crea queste belle “alchimie” che fanno della relazione genitore-figlio la parte più importante della vita della persona umana. Allora è lì che la malattia di uno dei due è terribile ma si può vivere nella serenità anche quando è infausta. Quante madri, solo per farLe un esempio di peso, rinunciano alla loro vita per i figli anche se questi sono microscopici nel loro ventre? E per una persona, curarsi per vivere è fondamentale. Ma per un figlio, grazie all’amore per lui, una madre può diventare coraggiosissima. E rifiutare le cure che la farebbero vivere… Questo è l’amore, dottor Saviano: non è quello di chi, per suggellare una relazione tra due persone, deve farlo attraverso un bambino. Un bambino non è un timbro di ceralacca che certifica una relazione d’amore tra due persone: è una persona per la quale farsi da parte e morire. Un figlio non è né un fine, né un mezzo. Vede, a me non interessa, dottor Saviano, se due persone che si amano siano di sesso uguale o differente. Non mi interessa se una donna, come dice Lei, “offre un riparo temporaneo al figlio di chi non può ‘naturalmente’ averne”. A me non interessa di “struggenti atti d’amore” perché l’unico gesto d’amore che un genitore può fare per un figlio, è dargli la vita. La propria. Il che non è struggente, è santificante.

Rachele Sagramoso

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