Aborto, la grande doglia americana

Da New York all’Ohio, dal North Dakota alla Virginia. Ecco dove, come e quando è possibile terminare bambini (o pesciolini?) in grembo.

«Esternazioni incendiarie», nei giorni scorsi il New York Times, in disprezzo e biasimo della complessità della questione “aborto”, ha cercato di spegnere una serie di dichiarazioni di Donald Trump: dal tweet con cui ha definito i democratici «il partito dell’aborto tardivo», al discorso sullo Stato dell’Unione, in cui ha affermato che la nuova legge di New York consentirebbe di strappare un bambino dal grembo materno «pochi istanti prima della nascita», a quello tenuto in Winsconsin, dove ha parlato di medici che «danno l’esecuzione ai bambini» nati vivi da un tentativo di aborto, il quotidiano ha ancora una volta liquidato il tutto come una fisima repubblicana. Concludendo che gli aborti a breve termine, cioè oltre la 20esima settimana di gravidanza, sono «eventi rari», e che «raramente» nascono bambini vivi dopo le procedure d’aborto.

IL NERVO SCOPERTO DEGLI STATES

Peccato che a dimostrare come la discussione intorno all’aborto non possa più essere confinata all’interno della cortina della “libertà di scelta delle donne” presidiata dai liberal e rappresenti di fatto il nervo scoperto dell’America e delle sue sorti magnifiche e progressive, non servano i tweet di Trump, né le operazioni di fantafactchecking sul suo linguaggio bifolco. L’approvazione del Reproductive Health Act di New York ha avuto eco in tutto il mondo. L’aborto è diventato un major theme della politica, i giornali il tempio delle sottigliezze filosofiche a servizio della più grande rimozione collettiva, i tribunali le rocche del diritto a far fuori un bambino non nato.

A NEW YORK L’ABORTO È “SALUTE RIPRODUTTIVA”

La legge voluta e magnificata dal governatore Cuomo e dal Nyt, autorizza l’aborto fino al nono mese se la salute della madre (fisica e mentale, di cui è arbitro il medico) rischia di venire compromessa, o se il feto è ammalato. Prima della sua approvazione, nel 46° anniversario della sentenza Roe vs Wade con la quale la Corte Suprema aprì alla depenalizzazione dell’aborto, a New York si poteva abortire “solo” fino alla 24esima settimana e “solo” in assenza di vitalità del feto o in caso la vita della madre fosse a grave rischio. Oggi non solo non è più indispensabile che a compiere l’interruzione di gravidanza sia un medico (bastano un assistente, un’ostetrica o un’infermiera specializzata), ma ogni riferimento all’aborto è stato espunto dal codice penale (che in 38 Stati sanziona la morte procurata di un infante in utero: New York ha così tolto protezione alle donne in caso di violenza o aggressione in gravidanza). In altre parole, usando il paravento dei termini cari a democratici e quotidiani liberal, procurare la morte di un bambino non è più un crimine ma “salute riproduttiva”, e per eseguire la procedura non serve nemmeno un dottore.

COME SI ABORTISCE DOPO LA 20ESIMA SETTIMANA

Non è una novità: prima di New York l’aborto tardivo era già stato legalizzato in sette stati – Alaska, Colorado, New Hampshire, New Jersey, New Mexico, Oregon, Vermont – e nella capitale Washington. E in venti stati americani è possibile interrompere una gravidanza dopo la 21esima settimana anche se non è a rischio la vita della donna e il feto è vitale. Solo 17 Stati infatti in America vietano l’aborto dopo 22 settimane di gestazione (il crinale è la capacità del feto di provare dolore), 9 richiedono il parere di un secondo medico a certificazione che l’aborto tardivo sia necessario. «Più la gravidanza è avanzata, infatti, più è complicato mettervi fine – ha spiegato bene Avvenire –. Gli aborti dopo la 20esima settimana richiedono che il feto venga smembrato all’interno dell’utero in modo che possa essere rimosso senza danneggiare il collo dell’utero della donna».

Per ovviare al rischio di lacerazione dell’utero che potrebbe pregiudicare la capacità della donna di avere altri figli due medici abortisti (uno in Ohio e uno in California) avevano sviluppato il metodo di “nascita parziale”: dilatazione del collo dell’utero, quindi l’estrazione del feto per i piedi fino alla testa e infine la perforazione del cranio del bambino. Una «procedura inumana» respinta da buona parte della comunità medica americana, proibita nel 2003 con una legge che la Corte Suprema americana ha definito costituzionale nel 2007 ancora in vigore: per questo «molti esecutori di aborti hanno adottato la pratica di indurre la morte fetale prima di iniziare l’estrazione, di solito iniettando una soluzione di cloruro di potassio direttamente nel cuore del bambino». Ma questa dovrebbe essere una non-notizia. “Di cosa parliamo quando parliamo di aborto” dovrebbe ascriversi a quella grande rimozione collettiva che ha reso ciò che è in utero un tema indigesto alla coscienza moderna dopo quattro abbondanti decenni di conquiste e diritti civili.

DALL’OHIO ALLA GEORGIA, 21 LEGGI RESTRITTIVE

Eppure, nei primi sei mesi del 2019, seguite al caso di New York, negli Stati Uniti sono state promulgate 21 leggi restrittive in tema di aborto. Lo denuncia a Fortune il Guttmacher Institute per bocca di una delle sue massime autorità, Elizabeth Nash: «Stiamo assistendo a un attacco frontale al diritto di aborto». L’11 aprile l’Ohio ha approvato una legge che vieta l’aborto dal momento in cui è possibile riscontrare il battito cardiaco del feto (heartbeat bill), a meno che la donna non sia in pericolo di vita o ci sia rischio di compromissione sostanziale e irreversibile di una importante funzione corporea. Se non verrà bloccata entro 90 giorni da un giudice federale – come accaduto in Kentucky, Iowa e North Dakota dove norme speculari sono state giudicate incostituzionali – l’Ohio diventerà lo stato con una delle leggi più restrittive in materia d’aborto: «Proteggere i più vulnerabili tra noi, quelli che non hanno voce», ha detto il governatore Mike DeWine firmando il disegno di legge, «il ruolo del governo dovrebbe essere questo, proteggere la vita dall’inizio alla fine».

Heartbeat bill che vietano l’aborto dopo le sei settimane sono stati introdotti in Georgia, Illinois, Florida, Kentucky, Louisiana, Maryland, Minnesota, Missouri, New York, Carolina del Sud, Tennessee, Texas, West Virginia. Solo Missisippi e, appunto, Ohio li hanno tramutati in legge (in entrambi gli stati è stata annunciata battaglia legale), ma questa settimana anche il governatore della Georgia Brian Kemp ha annunciato che firmerà un atto legislativo per vietare tutti gli aborti dopo il rilevamento di un battito cardiaco fetale.

«QUELLO NON È UN BAMBINO, È SIMILE A UN PESCE»

Secondo il Guttmacher Institute l’obiettivo dei repubblicani è scardinare la Roe v. Wade e utilizzare il “battito cardiaco”, un termine a detta loro pretestuoso, impreciso e ingannevole, per affossare la libertà di scelta della donna: «Quello non è un bambino piccolo, una cosa che è pronta per fare una passeggiata», tuona sul Guardian Jen Gunter, celebre ginecologa che lavora in Canada e negli Stati Uniti e autrice di un influentissimo blog, «stiamo parlando di qualcosa di dimensioni millimetriche che non somiglia per nulla a un bambino»; qualcosa che è più simile a un «pesce», ha chiosato sempre al Guardian Sara Imershein, ginecologa e ostetrica di Falls Church, in Virginia, secondo la quale non si può ancora chiamare «cuore» «il palpito di un tessuto» che si sente a sei settimane, quando non possono nemmeno essere ancora diagnosticate malformazioni o malattie che suggerirebbero di «non far proseguire la gravidanza».

DAI “METHOD BANS” AI “REASON BANS”

Sempre il Guttmacher denuncia diverse legislazioni in fase di studio in 28 stati: norme che possono essere inquadrate come “trigger bans”, che renderebbero automaticamente illegale l’aborto se la Roe v. Wade fosse rovesciata; “method bans”, che impedirebbero l’esecuzione di specifiche procedure abortive; “reason bans”, che proibirebbero l’aborto in base a caratteristiche fetali, come sesso, razza o disabilità; e infine “gestational age bans” che proibirebbero l’aborto da un dato momento della gravidanza, 6, 18 o 20 settimane dall’ultima mestruazione.

Ad esempio, a metà aprile il governatore repubblicano del North Dakota ha firmato un disegno di legge che mette fuori legge la procedura di aborto prevista nel secondo trimestre, che prevede lo smembramento del bambino e rende un crimine l’utilizzo di strumenti come pinze, forbici e pinze per rimuoverlo dall’utero. Analoghi “method bans” sono stati introdotti in Indiana, Michigan, Carolina del Sud, Carolina del Nord, Rhode Island, Washington. Al pari degli Heartbeat bill, anche i cosiddetti “reason bans” sono oggetto di accesissimi dibattiti in quanto sarebbero lesivi della libertà di scelta della donna: divieti di aborto selettivo o dovuto a malattie genetiche sono stati avviati alla discussione delle camere e tramutati in legge in Georgia, Illinois, Kentucky, Missouri, Pennsylvania, Carolina del Sud e Texas.

VIRGINIA, ABORTIRE FINO AL TRAVAGLIO

Quando Donald Trump ha attaccato il governatore democratico Tony Evers «che avrebbe posto il veto alla legislazione che protegge i neonati nati in Wisconsin» (riferendosi a un disegno di legge che richiederebbe ai medici di fornire assistenza medica ai bambini nati vivi da una tentata procedura di aborto), e ha citato il governatore della Virginia Ralph Northam (che si è pronunciato in favore di una legge che renderebbe più facile per le donne ottenere un aborto durante gli ultimi tre mesi di gravidanza, «nasce il bambino e la madre e il medico dopo averlo fasciato decidono se eseguirlo o meno. Io non la penso così», ha detto Trump), i giornali gli hanno dato dell’incendiario, i democratici dello squilibrato.

Naturalmente Northam non ha parlato di dare l’esecuzione a un bambino, ma c’è da chiedersi cosa abbia detto Trump di così fuori luogo dal momento in cui la delegata democratica Kathy Tran ha effettivamente presentato alla Camera della Virginia una legge per legalizzare l’aborto fino alla nascita, consentendo ai medici di autocertificare la necessità di procedure tardive, consentire aborti dopo la 21esima settimana in ambulatorio, rimuovere i requisiti ecografici e il periodo di attesa di 24 ore fra la richiesta di aborto e la sua esecuzione. Il video che mostra Tran affermare che la donna potrebbe abortire fino alla fine del terzo trimestre, ovvero a 40 settimane di gestazione, e anche durante il travaglio, è diventato virale.

DALL’ABORTO ALL’INFANTICIDIO

Il 25 febbraio scorso in Senato non è stata trovata la maggioranza dei due terzi necessaria per portare avanti un disegno di legge, il Born-Alive Abortion Survivors Protection Act, che garantiva assistenza medica ai neonati venuti al mondo dopo la procedura abortiva. Trump ha commentato che «questo sarà ricordato come uno dei voti più scioccanti nella storia del Congresso», ma ancora una volta democratici e giornali si sono riparati dietro al paravento della casistica: secondo loro i nati vivi da aborto sono così rari da ritenere trascurabile una legislazione che li protegga. Falso: il Centers for Disease Control and Prevention ha indicato come causa di morte infantile in 588 casi, avvenuti tra il 2003 e il 2014, la cessazione di gravidanza, e per 143 di questi (ed è una sottostima) specifica che si tratta di un aborto indotto.

Tempi vi aveva già raccontato cosa c’entrasse questo con l’industria del traffico dei tessuti fetali (un bambino a fine gestazione vale molto più di parti, organi o tessuti fetali a uno stadio precedente). Eppure ancora una volta giornali e democratici (elogiati da Leana Wen, presidente di Planned Parenthood, per avere combattuto «bugie e disinformazione», non votando una legge che è «un attacco diretto alla salute e ai diritti delle donne»), hanno sfoggiato la peggiore retorica abortista, sostenendo che il disegno avrebbe costretto i medici a fornire cure non necessarie o addirittura «dannose».

Ma dannose per chi? Affermare che le uccisioni dei figli nati vivi dopo essere sopravvissuti a un aborto possono continuare si chiama infanticidio o va ascritto al gergo fuorviante e alle fisime repubblicane? E quegli eventi “rari” che stanno dividendo un paese nelle piazze, sui giornali, alle camere e nei tribunali come si chiamano se non bambini?

Caterina Giojelli

8 maggio 2019

Aborto, la grande doglia americana