La pandemia “cavallo di Troia” per l’aborto fai-da-te

Che l’emergenza Coronavirus sia stata trasformata ad arte in uno strumento di diffusione di pratiche aberranti, che altrimenti mai sarebbero state approvate, lo prova il Regno Unito, dove il Dipartimento della Salute ha autorizzato l’aborto farmacologico «a domicilio» in tempo di pandemia.

Fortemente negativo il parere espresso in merito dalla SPUC-Society for the Protection of Unborn Children, che, per bocca della direttrice delle sue campagne, Antonia Tully, ha definito questa «un’iniziativa pericolosa e sconsiderata», tesa a sfruttare «un momento di crisi nazionale per accelerare un cambiamento ideologico»: mifepristone e misoprostolo, infatti, «sono farmaci potenti, progettati per uccidere un nascituro: le norme, che ne regolano la somministrazione, non dovrebbero essere modificate» con tanta disinvoltura.

Il Royal College of Obstetricians and Gynecologists ha recentemente dichiarato l’aborto una pratica «essenziale» da garantire: per questo starebbe puntando da mesi ormai sugli aborti “fai-da-te” con una massiccia azione di propaganda tesa a presentare le pillole abortive come sicure ed innocue per le donne che le assumano, il che non è affatto vero: «Questo frettoloso provvedimento “temporaneo” – afferma un comunicato della SPUCè stato votato in un momento, in cui la nazione sta lottando per far fronte al Covid-19»: ciò consente ai medici di prescrivere farmaci abortivi come «categoria di terapia alternativa», senza nemmeno visitare le pazienti, bensì per telefono, in collegamento video o mediante strumentazioni elettroniche, by-passando totalmente quanto previsto dalla legge in vigore con un provvedimento d’urgenza, destinato tuttavia a tracciare un solco, anzi una ferita aperta tra il prima ed il dopo.

Precisa Antonia Tully: «È provato come gli aborti “a domicilio” aumentino i rischi per le donne. Uno studio ha rilevato che, in un ambiente rurale, l’aumento delle complicanze è passato dal 4,2% del 2008 all’8,2% del 2015» nel caso di madri a meno di 12 settimane di gestazione. Tale incremento sarebbe dovuto alla maggiore diffusione di questa tipologia di aborto “fai-da-te”: «Porre fine alla vita di un bambino – precisa Tully – non è mai una pratica essenziale», come preteso dal Royal College of Obstetricians and Gynecologists, e sostenerlo «è disgustoso. È fondamentale preservare i nostri servizi di base per le emergenze sanitarie reali piuttosto che vederli dirottati verso procedure come l’aborto». In una parola, è fondamentale salvare vite umane, anziché ucciderle.

26 marzo 2020

La pandemia “cavallo di Troia” per l’aborto fai-da-te