Coronavirus, il rischio dei medici italiani: “Se non li ammazza l’epidemia finiscono in tribunale”

By 4 Aprile 2020Coronavirus

È salito a 77 il numero dei medici deceduti, ad oltre 10mila quello degli operatori sanitari contagiati ed ammalati a causa del Coronavirus, e la cifra è destinata ad aumentare, sommandosi all’ elenco di una strage nazionale che sembra non avere fine. I medici ancora esenti dall’ infezione virale sono disorientati ed hanno paura, paura di sbagliare, paura di essere infettati e di non farcela ad andare avanti nelle condizioni in cui si trovano, con ritmi impossibili da reggere, dettati da un’ emergenza inaspettata e ingannevole, di cui nessuno conosce la durata e al cui cospetto non ci sono strumenti considerati sicuri per proteggersi e difendersi. Lavorano da settimane senza sosta, tra i letti di rianimazione di ammalati che arrivano con gli occhi fuori dalle orbite, sbarrati per la fame d’ aria, che chiedono aiuto perché non riescono a respirare, che vengono da loro sedati, tracheotomizzati, intubati e attaccati al respiratore, mentre gli infermieri posizionano i cateteri arteriosi, venosi, naso-gastrici, vescicali e rettali, in un fermento e una frenetica corsa contro il tempo, con i minuti contati, tutti attorno a persone moribonde che invece di migliorare peggiorano, che muoiono a grappoli, una dopo l’ altra, si spengono a centinaia tra lo sconforto generale dei sanitari consapevoli di prestare soccorso operando senza armi efficaci, senza farmaci mirati, impotenti contro una malattia aggressiva e devastante, che non lascia scampo ai più fragili e li uccide uno ad uno.

È UNA LOTTA IMPARI

Tutti i medici e i loro assistenti sono da settimane costretti a modificare i propri schemi cognitivi e di ragionamento, oltre alle personali difese psicologiche, sopraffatti da tensioni emotive ingravescenti che non danno tregua, che li obbligano ad assumere responsabilità senza precedenti, con picchi emotivi destabilizzanti che invadono l’ anima e la riempiono di angoscia, inquietudine e sofferenza, la stessa che provano ogniqualvolta sono costretti ad arrendersi, coprendo con il lenzuolo il volto del loro ennesimo paziente appena deceduto, fino a pochi minuti prima tenuto forzatamente e inutilmente in vita, ventilato da tre settimane, in una lotta impari contro un killer invisibile che porta a morte quando decide lui, che spegne le vite beffardo, insensibile ad ogni farmaco provato contro, e dotato di una intelligenza molto superiore a quella dell’ uomo.

La paura più ricorrente tra medici e infermieri, nonostante tutte le precauzioni assunte, è quella di essere infettati e quella, ancora più grande, di essere portatori sani del virus, e quindi di poter contagiare inconsapevolmente i propri familiari, per cui molti di loro vivono da settimane lontano da coniugi e figli, in intima solitudine nel caotico mormorio dei reparti di degenza, dormono su improvvisati giacigli in ospedale, con tutto quello che questa scelta comporta a livello emotivo e personale, gravati come sono da una responsabilità tripla, verso loro stessi, verso le loro famiglie e verso i malati che hanno in cura, dei quali ascoltano tutta la notte il respiro rantolante che proviene dalla stanza accanto, il soffio costante e martellante dei ventilatori, mentre leggono, prima di addormentarsi, il bilancio dei colleghi deceduti in giornata, una lista che gli arriva quotidianamente, nella cui intestazione i morti sul campo vengono definiti “vittime professionali” del Covid19, tra le cui righe cercano con gli occhi stanchi e lucidi i nomi di amici e conoscenti con i quali hanno condiviso anni di professione e di vita.

LISTATO A LUTTO

Sul portale della Fnomceo, la federazione nazionale dell’ Ordine dei medici, da settimane listata a lutto, si aggiorna quotidianamente l’ elenco dei colleghi che hanno pagato con la vita il loro impegno, specificando la loro specializzazione, tra pneumologi, anestesisti, otorinolaringoiatri, cardiologi, anatomopatologi , microbiologi, medici di base e infermieri, un triste e lungo epitaffio con tanto di foto sorridenti di quando erano in vita ignari del loro destino, un bollettino di morte destinato a crescere in linea con l’ andamento dell’ epidemia. E mentre nei palazzi della politica si discute sulla carenza dei dispositivi di protezione individuale, sulle scorte annunciate e in arrivo, dalle ormai famose mascherine ai caschi, alle tute protettive, ai guanti e alle loro forniture, e si litiga sui test tampone e sugli altri esami da validare, sui protocolli indicati dall’ Organizzazione mondiale della Sanità e dai numerosi comitati scientifici, in maniera sistematica negli ospedali pubblici e privati gli operatori sanitari continuano ad essere infettati in modo inaccettabile, e ad ammalarsi e morire mentre lavorano nell’ epicentro dei focolai, respirando aria infetta mentre infondono farmaci “ad uso compassionevole”, molecole sperimentali antivirali, anti artrite, anti malaria, anti infiammatorie, antibiotiche e anti-tutto, che fanno presagire pesanti effetti collaterali, dalla diarrea profusa alla cardio ed epato tossicità, dalla dialisi all’ indebolimento del sistema immunitario, e tutto questo avviene a stretto contatto con il sangue e le secrezioni infette di soggetti positivi al virus, che lo disperdono nell’ aria ad ogni respiro in un malefico aerosol, continuando a diffonderlo anche da morti.

Sottoposti a una prova durissima, senza una sola ora di decongestione emotiva, infilati in tute da palombaro che mozzano il respiro, che fanno sudare e impediscono anche di andare in bagno, precipitati in un’ emergenza epocale che li sfida personalmente e professionalmente, i medici si trovano in balia di sentimenti alternanti di impotenza ed onnipotenza, un mix micidiale di sconforto e di coraggio, un’ altalena che scuote le coscienze, un impegno dal quale nessuno si sottrae nonostante il pericolo evidente, per dedizione e deontologia, pur con la consapevolezza di mettere a rischio la propria vita ogni giorno e ogni minuto, perché qualunque attimo di distrazione o di stanchezza può essere loro fatale e segnare la propria fine.

SCHIACCIATI
Ma se continuano ancora a soccombere, ad essere schiacciati come mosche dal virus, a perire allo stesso modo dei pazienti che assistono, a vedere i loro colleghi scomparire ogni giorno nella agghiacciante solitudine e disperazione di questa malattia, se vedranno vanificati i loro sforzi mentre fuori la popolazione ancora fortunatamente sana si lamenta e frigna per non poter andare a fare jogging, ci sarà qualcuno che si tirerà indietro, che si sfilerà maschere e guanti, butterà nel cesto il camice e i dettati deontologici, per salvarsi, per sfuggire alla morte, spinti dall’ istinto alla vita, dall’ esaurimento delle forze morali, e dal richiamo irresistibile degli affetti rimasti a casa in fiduciosa attesa di un bacio e un abbraccio in cui rifugiarsi.
Tutti gli operatori sanitari impegnati in questa epidemica tragedia avrebbero fatto volentieri a meno di essere definiti “eroi”, di essere applauditi dai balconi di ogni città, o di essere incoraggiati con l’ hashtag virale #andrátuttobene, perché quello che sta andando male ce l’ hanno sotto gli occhi ogni minuto che passa, negli ospedali dove non ci sono più posti letto disponibili, negli obitori che non riescono più a contenere le migliaia di salme che arrivano puntuali ogni giorno e nei forni crematori che bruciano cadaveri e vite perdute dall’ alba a notte fonda senza interruzioni.

MENO DEL PREVISTO

Il numero dei medici e degli infermieri è da anni inferiore alle necessità sanitarie del Paese, quelli in ruolo lavorano il doppio del normale, ed attualmente il triplo, per cui lo Stato deve dare un segnale forte e chiaro per intervenire immediatamente a garantire tutti gli strumenti di protezione individuale e di screening per questa valorosa categoria, e soprattutto, nel decreto “Cura Italia”, deve essere introdotta la norma che assicuri loro la protezione legale, per difenderli dal rischio cause, poiché il 30% di quelli che non muoiono vengono perseguiti nelle aule di tribunale per i decessi inevitabili che avvengono sotto la loro diretta responsabilità.
Ed anche perché, se dovesse diminuire ancora il numero dei professionisti della salute, a rischio ci sarebbe la vita di tutti noi, anche quella degli avvocati e dei magistrati, dei sani e dei negativi, e pure di quelli che si lamentano di restare chiusi in casa al sicuro dal Corona, mentre fuori il virus continua a fare strage di infettati. Medici inclusi.

Melania Rizzoli

04 aprile 2020

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