Non di sola emergenza vive l’uomo

By 5 Aprile 2020Coronavirus

Visto che nessuno può fare previsioni sul futuro, ma che da nessuna parte si vocifera certo di una imminente riapertura totale, bisogna cominciare a ragionare su come convivere con questa situazione per un tempo abbastanza lungo. Dobbiamo prepararci a qualsiasi evenienza e dunque riaprire la questione delle funzioni religiose sospese. Non possiamo pensare di stare senza messa fino all’estate o addirittura fino all’autunno, esttamente come non stiamo pensando di stare senza spesa, benché il supermercato sia un posto ben più insidioso delle chiese vuote.

Ma la questione dobbiamo sollevarla noi credenti: è evidente che il tema della fede non è più di rilevanza pubblica. Lo Stato ci riconosce solo formalmente, ma nella realtà – se le cose rimangono così – possiamo dire che lo spirito del Concordato è finito ed è stato tradito ampiamente, se si vietano le messe e non si riconosce la frequenza dei sacramenti come una necessità primaria, come il cibo, l’informazione (edicole aperte), il fumo (tabaccai idem). So bene che il Concordato non può essere denunciato da un gruppo di fedeli, seppur nutrito, e che la cosa porrebbe moltissimi problemi giuridici, nonché la questione dell’8 per mille; lo so, ma non è l’aspetto giuridico che mi interessa, bensì la missione profetica che la Chiesa deve continuare ad avere. In un momento in cui tutti parlano continuamente e solo di virus e contagi e mascherine e antivirali e numeri e precauzioni, la Chiesa deve aiutarci a guardare più in alto, a leggere questo che stiamo vivendo come un richiamo e una grazia, il promemoria del totalmente Altro che reclama a sé i nostri cuori impauriti. Ma se la Chiesa chiude e si ritira, se prende le stesse precauzioni di un’associazione qualunque, come può aiutare chi ha paura a trovare un senso di eternità a quello che succede?

Allora noi, esigua minoranza che riteniamo la partecipazione ai sacramenti essenziale almeno quanto l’accesso ai supermercati, dovremmo affermare, insieme ai tantissimi sacerdoti (praticamente tutti quelli che conosco) che non è minimamente pensabile che il popolo dei cattolici sia lasciato totalmente senza messa fino all’estate (veramente da qualche parte leggo che non è neppure scontato che l’estate spazzerà via tutto), mentre le altre necessità evidentemente inferiori continuano a essere soddisfatte.

Io non voglio davvero giudicare nessuno, né il Governo, né i pastori, che nell’emergenza hanno ritenuto opportuno correre i minori rischi possibili. All’inizio non si capivano bene le dimensioni del problema, i tempi, le misure da prendere. Comprendo chi spinto dall’emergenza e dalla necessità ha scelto di obbedire alla decisione della sospensione delle messe, non solo senza protestare, ma addirittura aggiungendo talora la chiusura dei luoghi di culto, che in tante parti di Italia continuano a essere inaccessibili.

Però adesso dobbiamo prendere le misure con questa situazione. Si è trovato il modo di regolamentare tutto, si trovi un modo anche per le messe. Ma dobbiamo essere noi cattolici, e prima di tutto i nostri pastori, a pretenderlo, non aspettare che sia il Governo a concederlo. I pastori devono pretenderlo, e risponderne davanti a Dio, quindi avendo cura della salute fisica dei fedeli, che saranno certo pronti a prendere almeno le stesse precauzioni che seguono disciplinatamente per andare a fare la spesa.

E’ chiaro che al fondo di tutto c’è una questione di fede, che è ormai compresa da pochissimi. Di sicuro non dalle istituzioni, che riconoscono alla Chiesa solo il diritto di continuare a fare carità per il corpo, come è giusto che sia. Anzi, le attività sono aumentate. Ci sono mense aperte, con maggiori distanziamenti, ci sono distribuzioni di cibo e vestiti. Anche quelli sono a rischio assembramento. L’unico motivo per cui non si riconosce la stessa rilevanza alla messa risiede nel fatto che le nostre autorità, evidentemente, non riconoscono la nostra fede: pensano che per dare un panino ci si può organizzare con guanti e mascherine e distanze, ma per dare il corpo di Cristo non vale la pena sbattersi troppo.

Che la autorità civili la pensino così non mi sconvolge, è evidente da ogni singola legge. Ma noi che sappiamo che la fede è un incontro con una persona dobbiamo annunciarlo, anche chiedendo che questo incontro ci venga consentito, come ci è permesso andare a comprare il pane. I nostri pastori lo pretendano!

Premetto che ho parlato con diversi medici cattolici in primissima linea sul fronte del Covid. Quelli delle città più colpite. Non solo sono d’accordo sul fatto che sia assolutamente possibile trovare un modo per far riprendere le messe aperte al popolo, ma anzi sono forse quelli che ne hanno più bisogno. Combattono in modo estenuante dalla mattina alla sera, guardano in faccia la morte tutti i giorni, come si può lasciarli senza eucaristia?

Si trovino soluzioni. Ce ne sono infinite: a prenotazione, con il numerino (se sei fuori un giorno almeno ti prenoti per il successivo), con delle liste, dei turni, messe più brevi e senza omelia, più frequenti, all’aperto. Si mettano nastri sulle panche per indicare i posti. La vorrei vedere, tra l’altro, la gente che si contende il privilegio, sarebbe proprio una bella sorpresa. (A parte alla messa delle palme che essendo quella col gadget in regalo è la più affollata dell’anno).

Le occasioni di contagio sono molte di meno che al supermercato, perché non devi toccare niente, non ti porti a casa niente, non metti nei pensili roba con il cartone o la plastica su cui forse ha tossito qualcuno con il virus. Il sacerdote può indossare la mascherina nell’unico momento in cui ci si avvicina – sempre a più di un metro – a lui. Si può pulire le mani con l’amuchina prima della comunione.

Insomma, non si può trattare la messa come il cinema o il teatro. Non è uno spettacolo a cui puoi assistere anche fra sei mesi, è il centro della vita del cristiano, e la fretta che c’è stata nel sospenderla può essere comprensibile solo nel momento della paura e della concitazione, mentre è imperdonabile adesso che si deve imparare a convivere col virus. Non si può trattenere il fiato a oltranza e la messa per noi è il respiro.

I medici potrebbero dare indicazioni: magari vieterebbero l’accesso agli over 65 (e già nella mia parrocchia certi giorni rimarremmo in tre, se va bene), agli immunodepressi, a chi vive con qualche categoria a rischio. Poi però coerentemente bisognerebbe impedire anche l’accesso ai supermercati agli over 65, organizzare la consegna a casa obbligatoria, perché è inutile che mi vieti la messa alla vecchina che poi va tra le corsie dello scatolame ben più strette delle nostre chiese da 800 posti sempre vuote.

Adesso tutti hanno capito bene le regole, e se è vero che le forze dell’ordine dicono che un 3% delle persone che fermano non sono in regola, significa che il 97% del nostro popolo allergico alle regole questa volta le sta rispettando. Mi aspetto che tra i frequentatori delle chiese la percentuale salga ulteriormente, ma comunque anche un 3% sarebbe gestibile: in ogni parrocchia ci sono dei laici che potrebbero collaborare con una sorta di servizio di sicurezza.

La Chiesa così annuncerebbe in modo visibile e chiaro che la vera guarigione è quella che Cristo è venuto a portarci, la guarigione dal peccato orginale grazie al suo sacrificio, quello che si consuma durante ogni messa, che ci fa diventare suoi contemporanei. È un incontro insostituibile e irrinunciabile: che non lo sappiano al Viminale ci sta, che lo dimentichiamo noi, no.

Vi prego, astenetevi dal farmi la predica sull’obbedienza (non mi pare un valore spirituale l’obbedienza alle leggi civili, alla quale siamo tutti tenuti, ma è tutto un altro piano, quello) e anche sul fatto che Dio parla lo stesso, nelle nostre case, mentre serviamo e amiamo i familiari (se vado a messa ho comunque altre 23 ore e trenta per stare nella mia realtà), nelle nostre preghiere solitarie. Lo so che Dio parla e agisce, e sono certa che sta facendo miracoli nelle vite di ciascuno, so che si serve anche di questa strana storia. Ma pensare che le preghiere da soli possano sostituire l’azione liturgica è una sorta di devozionismo, contrario e opposto, quindi complementare all’idea tutta sociale di una Chiesa che siccome dà i pacchi viveri sta facendo tutto quello che deve. È lo stesso problema: pensare che non abbiamo bisogno di Dio e della Chiesa per essere guariti dal peccato originale, pensare che possiamo essere buoni da soli.

Proprio in questo momento in cui la morte, la grande rimossa, è al centro della scena pubblica, è il momento di annunciare che solo uno ha il potere sulla morte, solo lui ci parla di vita, e per sempre. Ma ne ha il potere grazie al suo sacrificio, che ci ha detto di “fare in memoria di lui”. Ora che molti sono terrorizzati parliamo dell’unico che può dirci “non temete”. Ora che pregano anche gli insospettabili, permettiamo loro di ascoltare parole buone in chiesa.

Concludo infine lanciando un’idea, a proposito del fatto che la carità verso il corpo va sempre insieme a quella per lo spirito.

Tutti noi probabilmente stiamo contribuendo a sfamare qualcuno, nel mio quartiere quasi tutti i negozi hanno un carrello dove puoi lasciare qualcosa per chi ne ha bisogno. Anche le parrocchie fanno questo servizio, e così la Caritas. Ma molte persone se riescono ancora a mangiare, stanno avendo dei problemi con le bollette e i mutui. Mi è venuto in mente che potremmo provare a dare una mano a qualche confratello o consorella del Monastero wi-fi, o a qualcuno che voi ci segnalaste, conoscendolo però personalmente. Un minimo di verifica infatti è necessario… Siccome il nostro conto è stato svuotato dando al Cardinale e ad Aiuto alla Chiesa che soffre tutto quello che ci avevate offerto, e non si può in questo momento operare online (il conto online costava di più) né andare alle poste (dove abita la nostra Monica sono chiuse), in questo momento l’unica cosa che possiamo provare a fare è mettere in contatto le persone. Qualcuno potrebbe versare qualcosa a qualcun altro. Abbiamo fatto così per i primi due capitoli generali: chi voleva venire a Roma ma aveva qualche difficoltà ce lo ha detto, e qualcuno che poteva dare una mano gli ha pagato il biglietto. Non so se riusciremo, ma vi chiederei di scrivere a monasterowifi@gmail.com dicendo se avete bisogno di qualcosa, se conoscete qualcuno che ne ha, o se invece potete dare una mano a qualcuno. La mitica Monica e le altre bionde e io cercheremo di incrociare domanda e offerta e di verificare le richieste.

Abbiamo pensato, per evitare che diventi una cosa troppo gravosa, che potremmo dare fino a 200 euro a chi ne fa richiesta (ma si può partecipare anche in più persone mettendo che so 10 euro a testa). E stabiliamo che Mario Rossi può dare a Maria solo una volta, in modo che non si crei un obbligo o una dipendenza.

Non so, proviamo se riusciamo.

Altrimenti vi invitiamo a partecipare a una delle tante, straordinarie iniziative che si fanno un po’ dappertutto, a partire da quelle del Banco Alimentare. Non importa come, basta fare qualcosa. Magari anche nel nostro palazzo c’è una vecchietta che ha piacere a ricevere una torta, per sentirsi meno sola.

di Costanza Miriano

5 aprile 2020

Non di sola emergenza vive l’uomo