REPUBBLICA – Fondazione Cariplo. Coronavirus, ecco che cosa è successo in Lombardia

By 13 Luglio 2020Coronavirus

Il più ampio studio finora condotto ha sequenziato il genoma del virus nel sangue dei malati in tutta la regione. Scoprendo che ci sono due ceppi, che circolavano già a gennaio e arrivavano dall’Europa e non dalla Cina. Racconta i dettagli uno degli autori, Carlo Federico Perno.

Che cosa è successo in Lombardia? Che cosa, in una precisa regione del nord Italia, ha scatenato tutta quella furia virale alla quale gli italiani hanno partecipato come impotenti spettatori o come diretti intrepreti loro malgrado? Lo ha chiarito uno studio, il più ampio condotto fino a oggi, sul sequenziamento del genoma del virus SARS-CoV-2 in una stessa area geografica. La ricerca sostenuta dalla Fondazione Cariplo ha fotografato quanto accaduto dall’inizio dell’anno nel territorio più martoriato dalla pandemia attraverso un approccio “evidence-based”, cioè sull’analisi dell’RNA del virus (il SARS-CoV-2 è un virus a Rna, infatti) prelevato da 346 campioni di pazienti affetti da Covid-19 provenienti da tutta la Lombardia, raccolti dal 22 febbraio ai primi di aprile, e sulle analisi sierologiche di 390 donatori di sangue del Lodigiano.

Ebbene le due indagini parallele hanno portato a 4 conclusioni, spiega Carlo Federico Perno, già direttore della Medicina di Laboratorio del Niguarda e oggi della Microbiologia del Bambino Gesù di Roma, che, insieme a Fausto Baldanti, numero uno della Virologia molecolare del San Matteo di Pavia, è responsabile della ricerca sul Covid-19 in Lombardia. “Le conclusioni sono 4 – ragiona Perno – la prima che il SARS-CoV-2 era presente in Lombardia almeno da metà gennaio, quindi prima di quanto si pensasse. La seconda, che ha circolato nella regione con almeno due “ceppi”, o due linee principali: una nel sud della Lombardia tra Lodi e Cremona, e l’altra nel centro nord a partire da Bergamo. La terza conclusione è che il virus circolante in Lombardia prima di varcare il nostro confine era passato dall’Europa, visto che ha caratteristiche genetiche più simili al coronavirus europeo che non ai ceppi cinesi. La quarta ha a che vedere con le strategie da usare”.

Questo cosa significa in termini di conoscenza del nemico?

“Che il virus sia entrato in Lombardia entro metà gennaio significa che al momento della chiusura della zona di Codogno era già dappertutto in regione. Quindi eventuali altre chiusure sarebbero state chiusure con il virus già dentro.  Se si dovesse chiudere o no, poi sono valutazioni politiche”.

Parliamo della quarta conclusione dello studio. Che riguarda non la conoscenza del nemico, ma le strategie per abbatterlo. Voi avete dimostrato che il Sars-Cov-2 ha scarse capacità di mutare, o almeno che è mutato poco: parliamo di 7 basi nucleotidiche modificate (i nucleotidi sono i mattoncini che formano la lunga catena di tutti i genomi dei viventi) su 30mila circa. In effetti poca cosa…

“Sì, poca cosa. E il fatto che sia cambiato poco significa che, al contrario di come a volte si sente dire in giro, non ha perso virulenza, cosa peraltro dimostrata dai tantissimi focolai nel mondo. È invece la malattia che ha perso di aggressività”.

Che cosa vuol dire?

“Vuol dire un paio di cose: che la nostra capacità di fare diagnosi è cambiata, oggi è più a tappeto e più precoce. E nelle malattie infettive, come in tutta la medicina d’altronde, diagnosi più precoci significano meno danni: meno sintomi gravi e meno decessi”.

La seconda cosa?

“Che il virus sia mutato poco ha una importante ricaduta in termini vaccinali: pone le basi di un vaccino che sia davvero efficace, cioè un preparato in grado di proteggere la grande maggioranza delle persone vaccinate dall’infezione, non di proteggere dalla malattia”.

Questo per quanto riguarda il vaccino, che tutti messianicamente aspettiamo. Ma un virus che cambia poco cosa implica in termini di farmaci, cioè non di prevenzione ma di cura?

“Un virus con un genoma stabile ha meno probabilità di sviluppare resistenze agli antivirali. Un altro vantaggio non secondario”.

Naturalmente tutto questo dovrà essere verificato nella pratica clinica, giusto?
“Certamente, ma è probabile che così sarà”.

di TINA SIMONIELLO

13 luglio 2020

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