INTERRIS – La giustizia civile dopo il Covid

By 3 Agosto 2020Coronavirus

Sentiamo spesso parlare di crisi della giustizia, di collasso del sistema giudiziario. I problemi della giustizia italiana sono davvero molteplici, ma possono ricondursi ad uno prioritario: la insufficienza di risorse economiche e di personale. Solo nel 2019 presso il Tribunale civile di Roma sono stati iscritti oltre 126 mila nuovi procedimenti, per i quali il nostro codice di rito prevede lo svolgimento di almeno tre udienze, ovviamente in presenza. Ebbene in un sistema già in crisi, i calendari per lo svolgimento delle udienze e per la chiusura di un procedimento civile si allungano notevolmente, sino a, talvolta, pregiudicare l’efficacia del provvedimento pronunciato.

E diciamolo pure una giustizia intempestiva, per quanto possa essere il frutto di un lavoro attento, corretto e preparato di chi la amministra, non può mai essere giusta. Questo problema tutto italiano, che ha preoccupato e occupato tante legislature (tra cui anche l’odierna) e i cui tentativi di riforma e soluzione hanno causato la crisi di altrettanti governi, con la emergenza epidemiologica da Covid ha assunto dimensioni preoccupanti. Credo che chiunque abbia avuto l’occasione di avvicinarsi alla giustizia, per lavoro o per necessità, concorderà sulla imprescindibile opportunità di trovare soluzioni per velocizzare i tempi della giustizia e per assicurare il rispetto della ragionevole durata del processo, espressione del giusto processo civile, garantito dall’art. 111 della Carta Costituzionale. Questo è uno dei principi cardine di uno Stato di diritto, come si evince dal recepimento dello stesso nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (all’art. 6). Un processo ragionevolmente celere è volto a tutelare non già il soccombente, ma il vincitore della lite; o più in generale potremmo dire che tutela la certezza dei diritti e dei rapporti processuali: attore e convenuto; soccombente e vincitore non possono essere vincolati sine die ad un processo dall’incerto esito e dall’incerta durata.

I lunghi tempi a cui noi avvocati ci siamo abituati – più difficilmente a ciò si abituano le parti del processo – si sono notevolmente dilatati a causa dell’emergenza epidemiologica che ha costretto tutti a casa, e quindi ovviamente anche gli operatori della giustizia. Molti sono stati gli strumenti messi in campo per cercare di rimediare a questa difficoltà: circolari, decreti, linee guida, fiumi di pagine per assicurare la continuità delle attività processuali ma al contempo assicurare l’incolumità a tutti i cittadini. Tra gli strumenti adottati nei tribunali vi è lo svolgimento delle udienze da remoto: avvocati distanti da giudici, da clienti, da cancellieri, per assicurare l’ormai noto distanziamento sociale.

Ebbene il sistema è stato da molti criticato, ad onor del vero non entusiasma neanche me, ma bisogna riconoscere che era l’unico strumento in grado di assicurare il rispetto della stringente normativa, allora in vigore. Esistono cause in cui la presenza fisica di avvocati, giudici e parti è indispensabile perché è l’unico mezzo in un cui può esplicitarsi efficacemente il contraddittorio, ma esistono cause o anche solo udienze che ben possono svolgersi da remoto e che è probabilmente giusto che rimangano così. Se c’è una cosa che dobbiamo aver imparato dalla situazione di emergenza è che necessitiamo di semplificazione, di deburocratizzazione e riduzione del superfluo. Anche la nostra giustizia necessita di questo: semplificazione.

Eppure il nostro legislatore ci ha fornito tanti strumenti semplici e veloci per tutelare i nostri diritti. Uno fra tutti, che in questo periodo ho avuto occasione di studiare, è la European Small Claims Procedure (disciplinata dal Regolamento CE n. 861/2007 – come modificato dal Regolamento UE 2015/2421 del 16 dicembre 2015): una procedura che si applica alle controversie civili e commerciali transfrontaliere, ossia che coinvolgono parti con residenza o sede in paesi diversi dell’unione Europea, di modesta entità, ossia di valore non superiore a 5.000 euro. L’utilizzo di questo strumento potrebbe essere molto frequente, basti pensare a tutte le volte in cui non siamo stati soddisfatti di un viaggio aereo verso un paese dell’Unione Europea o di un acquisto on line da un venditore europeo.

Ebbene i punti di forza di questa procedura sono proprio la celerità, la semplicità, la riduzione dei costi e la possibilità di tutelarsi senza l’assistenza di un avvocato. Il cittadino da solo comodamente seduto dinanzi al proprio pc potrebbe redigere la propria domanda, spiegare le ragioni dell’accaduto e inoltrarlo all’ufficio competente. Questo sistema che in alcuni paesi europei funziona molto bene, supportato da strutture tecnologiche e sistemi informatici, in Italia opera molto poco. La domanda infatti dovrebbe essere inoltrata all’ufficio del Giudice di Pace, territorialmente competente, che è ad oggi un ufficio di giustizia privo di un processo telematico, privo anche, molto spesso, di una connessione alla rete internet. Allora forse il sistema giustizia necessita di un intervento, in termini di risorse strumentali ed economiche, ma non certo di un’altra, l’ennesima riforma: l’impegno dovrebbe dirigersi verso il fornire agli operatori della giustizia le risorse necessarie per poter efficacemente utilizzare gli strumenti già esistenti.

Rita Tuccillo

3 agosto 2020

La giustizia civile dopo il Covid