CORRIERE DELLA SERA – Paola Perego: «Mio figlio Riccardo, dj in Sardegna, e la fatica assurda per farsi fare un tampone»

By 18 Agosto 2020Coronavirus

Riccardo Carnevale era uno dei dj alle serate in discoteca in cui si è diffuso il virus: «Se sei positivo ti trattano come un untore» Mi sembra quasi che oggi se dici di essere positivo gli altri ti facciano passare per untore, ti devi quasi vergognare. Ma non è che uno lo fa apposta, è un virus, lo può prendere chiunque. E se succede, anzi, bisogna proprio dirlo, così che chi era in contatto con te corra ai ripari».

La preoccupazione in Paola Perego si alterna da giorni con la rabbia e quel senso di smarrimento che si prova quando ti ritrovi dentro una situazione che mai avresti pensato di vivere. Dopo cinque giorni, suo figlio, Riccardo Carnevale, 23 anni, uno dei dj delle serate in Sardegna e Toscana, è riuscito a fare il tampone. «Questa era l’ansia principale», racconta la conduttrice. «Ho temuto non riuscisse a farlo. Per fortuna lui è un ragazzo molto responsabile, nel mentre è restato chiuso in casa. Ma quando l’altro giorno, dopo sei ore di coda al drive in per fare il tampone, l’hanno mandato via perché chiudevano siamo tutti crollati. Quando ha fatto presente che era uno dei ragazzi che aveva suonato nelle serate di cui stavano parlando anche i giornali, spiegando che c’erano tanti suoi amici che erano stati con lui e che aspettavano di sapere se fosse positivo, si è sentito dire: i suoi amici aspetteranno fino a domani».

Si riferisce ai ragazzi di Roma nord?

«Mio figlio è nato lì, ma che senso ha pensare che sia una situazione che riguarda solo i ragazzi di quel quartiere? Mio figlio, come i suoi amici, del resto,è molto responsabile e lo ha dimostrato anche in questo caso. Generalizzare è sbagliato. Appena ha saputo di essere stato in contatto con una persona risultata positiva ha avvertito tutti quelli con cui era stato nei giorni scorsi, consigliando il tampone».

Ora le discoteche hanno chiuso…

«Mi domando come mai le abbiano aperte, facendo anche spendere soldi ai gestori, per poi farli chiudere dopo un mese e mezzo. Ci voleva un po’ di testa. Inutile ora criminalizzare i locali o i ragazzi: se ti dicono che puoi aprire apri e in discoteca ci vai, se pensi che sia possibile farlo».

Come ha vissuto la scelta di suo figlio di tornare a fare serate in consolle?

«Sono abbastanza fatalista: credo dovremo imparare a convivere con questo virus. Certo, un po’ di apprensione l’avevo, ho anche un’altra figlia che ha un bimbo piccolo e contagiarsi non è così difficile, anche se ancora non abbiamo capito bene le dinamiche. Credo dovremo abituarci a vivere prendendo tutte le precauzioni. Di certo non potevo dire a mio figlio: no tu ora non lavori più».

E lui dopo quelle serate come era? Preoccupato?

«Insomma… certo, c’era gente. Ma fino a qualche tempo fa dicevano che all’aperto le mascherine non servivano, poi lui è in consolle, separato dalla folla».

Quando ha iniziato a preoccuparsi davvero?

«Quando mi ha chiamata e mi ha detto che il suo amico era positivo e che erano stati sempre assieme. Da allora ho temuto e temo ancora gli venga qualche sintomo, lo chiamo ogni poco per avere rassicurazioni su di lui e sulla sua fidanzata. Ora, al quinto giorno senza sintomi, mi sto rilassando un po’».

Ora manca l’esito del tampone. Come vive l’attesa?

«Con tanta ansia. Anche perché non posso vederlo. Ci telefoniamo, videochiamiamo… gli chiedo di misurarsi la febbre. Dopo la coda di sei ore dell’altro giorno mi ha detto che se la sentiva e mi è preso un colpo, invece non l’aveva, probabilmente era solo stanchezza. Adesso che lui e la sua ragazza hanno fatto il tampone sono tutti e due più tranquilli. La mia speranza, ovviamente, è che siano negativi».

Cosa le fa paura?

«È una malattia nuova, si sa ancora troppo poco. Una sensazione che condivido con tutte le mamme dei ragazzi che sono stati con lui in queste serate e che in questi giorni mi continuavano a chiedere se Riccardo fosse riuscito a fare il test. E poi c’è quella sensazione…».

Quale?

«Mi sembra quasi che oggi se dici di essere positivo gli altri ti facciano passare per untore, ti devi quasi vergognare. Ma non è che uno lo fa apposta, è un virus, lo può prendere chiunque. E se succede, anzi, bisogna proprio dirlo, così che chi era in contatto con te corra ai ripari».

Cosa l’ha colpita di più di questa vicenda?

«La difficoltà che si prova nel cercare di fare le cose nel modo più corretto. Nella mia ignoranza, seguendo le notizie durante il lock down, ero convinta che quando qualcuno aveva il sospetto di essere positivo arrivavano subito a casa questi signori vestiti con la tutina bianca, così che non si potessero contagiare altre persone. Invece devi chiamare il medico di base, che ti dice di andare a prendere la ricetta. Mio figlio si è rifiutato: mi ha detto “e se ho il virus e lo passo a qualcuno che è in attesa lì?”. Si è fatto mandare tutto via mail ma non sono tutti come lui e ci sono troppe informazioni confuse. Troppo facile dare la colpa ai ragazzi».

Non hanno responsabilità?

«Alcuni, ma di certo, non sono i ragazzi ad aver diffuso il virus. Le persone sono confuse. Ora devi indossare la mascherina anche all’aperto ma dopo le 18, perchè? Prima non succede nulla? E come mai i locali all’aperto fino a qualche giorno fa parevano sicuri e adesso no? Non so se sia leggerezza o mancanza di preparazione, sta di fatto che i ragazzi tanto criticati non hanno neanche la possibilità di sapere se hanno o no il virus, quando ci sono validi motivi che glielo fanno sospettare. Se fossero così irresponsabili, non avendo sintomi, avrebbero potuto fregarsene invece si sono autodenunciati per non infettare altre persone».

Si è sentita senza una guida in questa situazione?

«Si, pare che tutti stiano navigando a vista. Ora sto cercando di capire come dobbiamo muoverci, perché sembra che un tampone non basti per scongiurare tutto, ne servano almeno due. Ma, anche lì, sarà un altro calvario?»

Ha la fortuna di essere molto seguita social: lei e suo marito Lucio Presta avete parlato di quello che stava succedendo a suo figlio e molte cose di sono mosse.

«Sì, ma non abbiamo avuto e nemmeno cercato favoritismi. Con la salute i privilegi non devono esistere, è un diritto di tutti. Il senso era far capire quello che passano centinaia di altre famiglie come la nostra, ma che non hanno voce per farsi sentire».

Chiara Maffioletti

Corriere della Sera

19 Agosto 2020