IL FOGLIO – Vaccini e nuovi monoclonali per dare il colpo di grazia al Covid

By 13 Novembre 2021Coronavirus

“L’aumento dei casi di questi giorni non ci coglie di sorpresa. Un lieve rialzo dei casi era già in corso nelle scorse settimane, ma si tratta di numeri ancora ben al di sotto della soglia critica”. Parla Vaia (Spallanzani)

Continua il lavoro di contenimento ma anche di monitoraggio della pandemia. Un ruolo attivo e centrale è quello dell’Istituto nazionale di malattie infettive Lazzaro Spallanzani diretto dal prof. Francesco Vaia. E’ con lui che ci confrontiamo per una valutazione sulla situazione attuale e sull’andamento di una curva che rappresenta ormai un pensiero quotidiano per tutti.

Una prima considerazione introduttiva sul quadro attuale: la situazione raggiunta può farci essere ottimisti per il prossimo futuro?

Già da tempo allo Spallanzani stiamo guardando oltre la pandemia, in un’ottica di Exit Strategy. E’ sotto gli occhi di tutti che i vaccini hanno funzionato. In più adesso abbiamo nuove risorse da poter affiancare al vaccino, come gli anticorpi monoclonali di seconda generazione. Insomma, il nemico è alle corde, aspetta solo il colpo finale e noi siamo pronti ad assestarlo, con gli strumenti che la scienza mette a disposizione. Bisogna però fare in fretta e non dare al virus tempo e modo di rialzarsi. Potremo tornare finalmente alla normalità solo se saremo perseveranti nella gradualità e nella cautela, che hanno sempre contraddistinto la “via italiana”, come mi piace chiamarla.

 Come possiamo spiegare l’aumento dei casi di questi giorni? E come affrontarlo?

L’aumento dei casi di questi giorni non ci coglie di sorpresa. Un lieve rialzo dei casi era già in corso nelle scorse settimane, ma si tratta di numeri ancora ben al di sotto della soglia critica, che vanno letti anche alla luce dell’aumento dei tamponi effettuati da chi, non vaccinato, ha bisogno del green pass per lavorare. Continueremo a monitorare l’andamento dei casi, con particolare attenzione al numero di ospedalizzazioni e di ricoveri in terapia intensiva, indicatori più importanti di altri per una corretta lettura epidemiologica. Oltre a questo, conosciamo ormai il carattere stagionale del virus, ma siamo lontani dall’andamento dello scorso autunno, quando la popolazione non era vaccinata. Proprio per questo bisogna rivolgere con forza un invito alla vaccinazione a tutte quelle persone che, pur senza opporre un cieco e ideologico rifiuto al vaccino, mostrano tuttavia delle perplessità.

L’approccio adottato quanto risponde alla sua convinzione, opportuna da divulgare bene, che la soluzione al problema pandemico sia “sistemica”?

Le risposte della medicina sono concrete, ma per uscire migliori dalla pandemia serve anche una risposta di sistema, intervenendo sui nodi strutturali del contagio. Come ho detto, l’Italia si è dimostrata all’altezza della sfida e ha dimostrato di avere molto da insegnare ad altri paesi che impropriamente, nel passato, sono stati considerati un esempio da seguire. Vi sono tuttavia settori, come la scuola e i trasporti, nei quali non sono stati fatti molti passi avanti rispetto ad un anno fa. Non possiamo immaginare di tenere ancora i ragazzi in classi pollaio, con le finestre aperte in pieno inverno, né consentire che i mezzi siano sovraffollati, come accade adesso. Bisogna potenziare il personale scolastico e i trasporti e questo naturalmente richiede spese consistenti. Ma si tratta di investimenti fondamentali per il paese: da semplice cittadino non mi stancherò mai di chiedere interventi su queste criticità.

Cosa può alterare l’attuale equilibrio, nuove varianti? Si può prevenire guardando non solo alle vaccinazioni di “casa nostra” ma del “sud del mondo” a quanto pare?

Vaccinare i paesi del sud del mondo non è solo un problema etico, è anche un problema di sanità pubblica, perché in un mondo globalizzato è impensabile credersi al sicuro badando solo al proprio cortile. O vacciniamo tutti o faremo fatica ad uscire definitivamente dalla pandemia. È dimostrato infatti che le nuove varianti si sviluppano proprio dove il livello di circolazione del virus è maggiore.

Quale il giusto bilanciamento tra soluzioni “preventive” (vaccino, che ci pare indispensabile) e cure come monoclonali e il nuovo farmaco al vaglio delle autorità?

Tutti questi strumenti sono necessari e costituiscono un mix virtuoso per combattere efficacemente il Covid nelle diverse fasi della malattia. Come ribadito altre volte però, la cosa migliore resta non contagiarsi e per farlo è fondamentale la vaccinazione. Vorrei aggiungere che fino ad ora gli anticorpi monoclonali sono stati utilizzati solo in pazienti già contagiati, nei primi giorni della malattia, per arrestarne la progressione. Allo Spallanzani invece stiamo lavorando per rendere gli anticorpi monoclonali utilizzabili anche in via preventiva, soprattutto per quelle persone che non hanno sviluppato una buona risposta anticorpale con la vaccinazione e per i quali c’è il rischio che non si sviluppi una risposta adeguata neppure con la dose addizionale. Un’utile arma da affiancare al vaccino, tanto più se si considera che questi anticorpi, di seconda generazione, saranno somministrabili intramuscolo e quindi potenzialmente anche a casa del paziente.

Si può migliorare un’informazione che persuada più che vincolare la popolazione a compiere certe scelte a tutela della salute, propria e di tutti?

Credo molto nelle persone: con spiegazioni chiare possiamo facilmente dimostrare le ragioni della scienza e personalmente preferisco la comunicazione all’imposizione. Con il progetto “Spallanzani Porte Aperte” vogliamo dare a tutti la possibilità di avere un valido riferimento.

Che comportamento possiamo suggerire ai guariti?

I suggerimenti sono quelli validi per tutti: teniamo ancora la mascherina quando siamo al chiuso con persone che non conosciamo, manteniamo il distanziamento se necessario, agiamo con la cautela di sempre. Se si è stati contagiati inoltre, ricevere una dose di vaccino tra i 6 e i 12 mesi dall’infezione aiuta a rinforzare la risposta immunitaria ed è caldamente consigliato. Bisogna poi specificare che il processo di guarigione non è lo stesso per tutti. Sappiamo infatti che in alcuni casi gli effetti della malattia possono permanere a lungo, anche dopo due mesi dalla negativizzazione del tampone: è il cosiddetto Long Covid, al quale stiamo dedicando molta attenzione allo Spallanzani, andando oltre il vecchio concetto che curare le persone significhi solamente intervenire nella condizione acuta. Noi vogliamo agire prima, durante e dopo la malattia.

MARIO BENEDETTO

IL FOGLIO

31 Ottobre 2021