Con la scorsa settimana abbiamo iniziato ad esaminare come si esprime la Dottrina Sociale della Chiesa nei confronti della pace. Oggi proseguiamo il cammino fermandoci con delle riflessioni su una tematica di grande attualità cioè la guerra, che definisce “il fallimento della pace”. Lo facciamo ripensando al conflitto Russia-Ucraina, Israele popolo palestinese e anche silenzio mediatico nei confronti delle cinquantanove guerre in corso nel mondo(Fonte: Armed conflict location & event data project -Acled).
La Dottrina sociale condanna la guerra “senza se e senza ma” non essendoci mai reali e fondate motivazioni che possano giustificarla, essendo un “flagello”, un “avventura senza ritorno”, un “fallimento di ogni autentico umanesimo”, una “sconfitta dell’umanità”, compromettendo il presente e ipotecando il futuro non solo materiale ma anche morale di tante nazioni (cfr. Compendio 497).
Innumerevoli sono stati gli appelli dei Pontefici in questa direzione. Riportiamo quello lanciato da Papa Francesco poco dopo l’avvio della guerra russo-ucraina. Così si rivolse ai belligeranti: «di fronte alle immagini strazianti che vediamo ogni giorno, di fronte al grido dei bambini e delle donne, non possiamo che urlare: “Fermatevi!”. La guerra non è la soluzione, la guerra è una pazzia, la guerra è un mostro, la guerra è un cancro che si autoalimenta fagocitando tutto! Di più, la guerra è un sacrilegio, che fa scempio di ciò che è più prezioso sulla nostra terra, la vita umana, l’innocenza dei più piccoli, la bellezza del creato. Sì, la guerra è un sacrilegio!»( Papa Francesco, Contro la guerra. Il coraggio di costruire la pace, Solferino-libri 2022. Introduzione).
Talora, la tutela della pace, come dimostra la storia, può presentarsi un obiettivo irrealizzabile, quando si manifesta, ad esempio, la minaccia dell’assoggettamento, dell’asservimento e della subordinazione delle nazioni più deboli a quelle più forti, ecco allora l’essenzialità delle Organizzazioni Internazionali e Regionali che, secondo l’auspicio del Compendio, dovrebbero «essere in grado di collaborare per far fronte ai conflitti e favorire la pace, instaurando relazioni di fiducia reciproca capaci di rendere impensabile il ricorso alla guerra» (499). La più rilevante e ragguardevole di queste è l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), che dalla sua fondazione a San Francisco (USA) il 24 ottobre 1945, ha tentato, non sempre con successo, di estinguere conflitti o intermediare situazioni specifiche. Ma, con il trascorrere dei decenni, l’ONU ha smarrito progressivamente la sua autorevolezza nel contesto internazionale, fino all’ insignificanza nel conflitto tra Russia e Ucraina come riconosciuto anche da papa Francesco: «nell’attuale guerra in Ucraina, assistiamo all’impotenza della Organizzazione delle Nazioni Unite» (6 aprile 2022). Il Pontefice, che credeva con convinzione nel ruolo delle Nazioni Unite, era preoccupato da questa scarsa importanza, per questo, più volte, ha sollecitato riforme e adattamenti ai tempi, in particolare: «la necessità di una maggiore equità per gli organi con effettiva capacità esecutiva, quali il Consiglio di Sicurezza, gli Organismi finanziari e i gruppi o meccanismi specificamente creati per affrontare le crisi economiche» (25 settembre 2015). Concetto ripreso anche nell’enciclica Fratelli tutti: «ricordo che è necessaria una riforma sia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite che dell’architettura economica e finanziaria internazionale, affinché si possa dare reale concretezza al concetto di famiglia di Nazioni. Senza dubbio ciò presuppone limiti giuridici precisi, per evitare che si tratti di un’autorità cooptata solo da alcuni Paesi e, nello stesso tempo, impedire imposizioni culturali o la riduzione delle libertà essenziali delle nazioni più deboli a causa di differenze ideologiche»(n. 173).
Legittima difesa
La Dottrina sociale, mentre condanna la guerra di aggressione, giudica un male minore quella intrapresa per esigenze di “legittima difesa”, poichè i responsabili degli Stati eventualmente aggrediti mantengono «il diritto e il dovere di organizzare la difesa anche usando la forza delle armi» (Compendio 500). La legittima difesa, in effetti, sia a livello individuale, sia collettivo, è sempre un’ esigenza imposta dallo scatenarsi della follia umana.
Ebbene, difendersi, è una necessità moralmente approvabile, seguendo però scrupolosamente alcune condizioni, consapevoli dell’immenso onere che queste azioni comportano e delle imprevedibili conseguenze dovute alla potenza dei moderni mezzi di distruzione di massa. Ecco i criteri che, per l’esercizio – anche militare – della legittima difesa, indica la Dottrina sociale:
1.Il danno causato dall’aggressore a una determinata nazione deve essere inequivocabile, durevole e rilevante.
2.Tutti gli altri strumenti (dialogo, intermediazioni, trattative… ) per prevenire le ostilità si sono rivelati impraticabili o inefficaci.
3.Si devono presumere ragionevoli condizioni per il successo nell’esercizio della forza.
4.Il ricorso alle armi non deve provocare danni e disordini maggiori rispetto ai crimini da combattere (cfr. Compendio 500).
La valutazione di queste circostanze è una enorme responsabilità che si assumono i governanti ed i responsabili delle Forze Armate di una nazione. Sintetizzando, possiamo affermare, che gli aggrediti possono ricorrere alle armi, ma ogni Stato deve operare per garantire la pace, non unicamente sul proprio territorio ma ovunque abbia la possibilità, senza scordare che «altro è ricorrere alle armi perché i popoli siano legittimamente difesi, altro voler soggiogare altre nazioni» (n. 500). In ogni circostanza, comunque, l’esercizio del diritto della difesa deve considerare «i tradizionali limiti della necessità e della proporzionalità» (501).
Il Compendio, ferma l’attenzione anche sull’ “azione bellica preventiva”. Qui, molto probabilmente, i redattori del Compendio si riferivano alla strategia adottata dal presidente degli Stati Uniti George Bush Jr. dopo l’attentato al World Trade Center di New York nel settembre del 2001. Coniando la dottrina della “guerra preventiva”, Bush conquistò l’Afghanistan con lo scopo di annientare l’organizzazione terroristica al-Qāʿida e di catturarne il capo Osama Bin Laden, responsabile dell’attentato delle Torri Gemelle e invase l’Iraq con attacchi mirati anche ad evitare l’uso di armi di distruzione di massa da parte del dittatore Saddam Hussein. Il Compendio, però, non concorda con questa “dottrina”, poiché autorizza fondamentalmente azioni belliche «senza prove evidenti che un’aggressione stia per essere sferrata (…). Pertanto, solo una decisione dei competenti organismi, sulla base di rigorosi accertamenti e di fondate motivazioni, può dare legittimazione internazionale all’uso della forza armata, identificando determinate situazioni come una minaccia alla pace e autorizzando un’ingerenza nella sfera del dominio riservato di uno Stato» (501).
Il proseguo la prossima settimana.
Don Gian Maria Comolli (fine seconda parte)
PRECEDENTI
– La promozione della pace (1). Aspetti bibblici, carità e giustizia.