La festa che ricorda la “Madonna Assunta in Cielo con la sua anima e il suo corpo” che celebreremo il 15 agosto, il giorno di Ferragosto, ci offre l’opportunità di ripensare all’importanza e al valore del nostro corpo, il comunicatore per eccellenza, che ci consente la relazionalità con Dio, con gli altri e con la natura. Lo faremo confrontando la proposta cristiana e quella contemporanea chiedendoci: quali concezioni dell’uomo racchiudono le due interpretazioni? Quale cultura è effettivamente ossequiosa del corpo?

IL CORPO NELLA RIFLESSIONE CRISTIANA
La trattazione della corporeità nel cristianesimo ha come riferimento fondante ed imprescindibile la qualifica dell’uomo “immagine di Dio” (cfr Gn. 1,27), non unicamente nella sua spiritualità ma anche nella globalità di persona; quindi, anche nella sua corporeità, nell’espressione della sessualità maschile e femminile. Dunque, “la persona umana creata a immagine di Dio è un essere corporeo e spirituale (…). L’uomo tutto intero è stato voluto da Dio” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 362).

Cristo e il corpo
Per realizzare l’opera redentrice, Dio dotò suo Figlio di un corpo uguale al nostro, e gli accordò di abitare in un contesto famigliare e sociale per trent’anni, confrontandosi con i disagi fisici e psicologici che sperimentiamo quotidianamente. “Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame” (Mt. 4,2); “Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo” (Gv. 4,6); “Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura ed angoscia” (Mc. 14,33) e dalla croce gridò: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”(Mc. 14,33).
San Giovanni Crisostomo, trattando della passione di Cristo, affermò che volle subire l’ironia della nudità perché tutti osservassero anche la sua completezza corporea e, di conseguenza, l’uguaglianza del suo corpo con il nostro (cfr. Omelia LXIII).
Rileggendo la vita terrena del suo Maestro, la Chiesa può sostenere che Gesù è vero Dio e vero uomo: “perché ha parlato con parole d’uomo, ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha amato con cuore d’uomo” (Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica Dei Verbum, 27).
Inoltre, con l’Incarnazione, il corpo di Cristo divenne strumento di redenzione e di salvezza: “Noi siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del Corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre” (Eb. 10,10). Questa si prolunga nei sacramenti, denominati da san Tommaso d’Aquino “Reliquiae Incarnationis Christi” (Summa theologia, pars III, q.62, a.5), in particolare nell’Eucarestia, quando ci nutriamo del suo Corpo e del suo Sangue.

La Chiesa corpo di Cristo
La Chiesa è raffigurata come “Corpo di Cristo” di cui il Signore Gesù è il capo.
Il corpo del battezzato è portatore di dignità ed è costitutivo dell’uomo, non meno dello spirito. E con lo spirito costituisce la persona ad immagine di Dio. Per questo è tempio dello Spirito Santo: “Siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo” (Cor. 6,20).
La Liturgia, celebrando i sacramenti, si avvale spesso del linguaggio del corpo.
Da ultimo, non possiamo scordare la rilevanza riservata al corpo da un versetto della “Professione di fede”, il Credo, quando affermiamo: “Aspetto la risurrezione dei mort” che non riguarderà unicamente l’anima ma anche il corpo.
“La verità sulla Risurrezione afferma con chiarezza che la perfezione escatologica e la felicità dell’uomo non possono essere intese come uno stato dell’anima sola, separata (secondo Platone, liberata) dal corpo, ma bisogna intenderle come lo stato dell’uomo definitivamente e perfettamente ‘integrato’ attraverso un’unione tale dell’anima col corpo, che qualifica e assicura definitivamente siffatta integrità perfetta” (Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò, Editrice Vaticana 1985, 266).

Il Magistero della Chiesa e il corpo
Anche il Magistero della Chiesa, soprattutto negli ultimi decenni, ha ripetutamente sottolineato la rilevanza del corpo.
Segnaliamo, tra i molteplici documenti, le Catechesi di san Giovanni Paolo II sulla “Teologia del corpo”: 130 Udienze del Mercoledì, dal settembre 1979 al novembre 1984 (cfr. Uomo e donna lo creò, op. cit.).
Nell’ Istruzione “Donum vitae” (Congregazione per la Dottrina delle Fede – 1987) si parla di “persona umana nella sua dimensione corporea” (n. 3), sottolineando che “il corpo umano non può essere considerato solo come complesso di tessuti, organi e funzioni, né può essere valutato alla stregua del corpo degli animali, ma è parte costitutiva della persona che attraverso di esso si manifesta e si esprime” (n. 3). Per questo “la vita del corpo è una realtà sacra che viene affidata perché la custodiamo con senso di responsabilità” (Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 2).

La conclusione del filosofo M. Serres
Scrive filosofo ed epistemologo francese M. Serres.
La condanna della morale cristiana con l’accusa di essere ‘dolorista’ è un errore storico e un’ignoranza culturale. Non si legge mai abbastanza delle altre morali dell’epoca che dicono la stessa cosa. Perché il corpo era condannato a soffrire quotidianamente occorreva una forte morale che aiutasse a sopportare la sofferenza. Non conosco una tradizione filosofica, un testo antico che parli del corpo come il Vangelo, il quale evoca il concepimento, il parto, l’allattamento, la nascita, la crescita, la carne, il sangue, la resurrezione dei corpi… Cristo parla molto di più del suo corpo che della sua anima. Il cristiano venera il corpo con la risurrezione” (La Vie, 17 maggio 2000).
Da queste schematiche considerazioni possiamo affermare che nella visione cristiana il corpo è quasi un ‘sacramento’ (cfr. Uomo e donna lo creò, op.cit., 91), rivelando la grandezza dell’uomo e la sua dignità.

IL CORPO NELLA SOCIETA’ ATTUALE
Da alcuni decenni le scienze naturali ed umanistiche, la letteratura, il cinema e il contesto sociale hanno rivalutato il corpo; ma purtroppo si nota che è una riabilitazione solo apparente. Infatti, quella avviata in Occidente negli anni 50 del XX secolo è, in massima parte, superficiale e di facciata.
In più occasioni e in più settori, il corpo è ridotto a muscoli e a bellezza, modellato sull’esteriorità e sulla provocazione, per cui assumono un’importanza primaria le parti anatomiche da curare minuziosamente. Di conseguenza, il corpo, si è trasformato in merce e in veicolo di consumo con la meccanizzazione mediante lo sport e I’erotismo pubblicitario, con lo sfruttamento prevalentemente di quello femminile, asservendo la donna al potere del denaro e alla tentazione dell’edonismo.
Mentre il corpo che manifesta il carattere della persona e della sua anima, quello composto da sentimenti, da sensazioni, da emozioni, è sempre più emarginato e forse pure detestato.
Oggi, il benessere del corpo, è considerato un obiettivo fondamentale che entra nella categoria dei valori delle società post-materialistiche ed anche il successo, sempre più spesso, dipende dalla bellezza esteriore e dalla seduzione che suscita.
Visione errata e pericolosa soprattutto per le giovani generazioni che spesso mettono in rete o su Facebook video o foto raccapriccianti, illudendosi che il seducente aspetto fisico sia la chiave di accesso al successo e alla fama mediatica.
Nella costruzione di questo deleterio contesto, assai contribuiscono l’irresponsabilità dei genitori, la pubblicità, la moda e programmi che pur disonorando la ragione, registrano alti tassi di audience; i reality-show dal Grande Fratello all’ Isola dei Famosi, i talent-show da X-Factor a Uomini e donne, come pure i social network che viaggiano nella rete sotto l’occhio vigile della web-cam.

Un mondo ammalato di bellezza
Come conclusione di questa seconda parte riportiamo alcuni passaggi di un ironico articolo del giornalista M. Veneziani, un utile supporto alla riflessione.
Uno sguardo realistico alla realtà.
Ogni giorno in tv, sulle riviste, nei manifesti pubblicitari, al cinema, insomma in cielo e in terra e in ogni luogo, il culto della bellezza miete milioni di vittime innocenti: non c’è evento, spettacolo o pubblicità che non sia affidato al corpo, alla voce, al volto di magnifiche creature; migliaia di ragazze girano con il book, ovvero il catalogo delle loro foto per proporsi ovunque ci sia spettacolo della bellezza”.
I danni del culto della bellezza e di conseguenza del culto del corpo.
“-Mortifica chi bello non è, lo fa sentire uno scarafone, crea autodisprezzo di massa. Genera frustrazioni collettive e insicurezze personali, perfino imprecazioni genetiche contro i propri genitori e i propri figIi.
-Uccide i rapporti tra le persone normali perché alimenta un forte platonismo.
-Crea ansia ed angoscia da competizione, istiga alla giovinezza, al lifting, al viagra, al silicone, alle plastiche, alla sofferenza da palestra, ad ore e soldi perduti nei massaggi e nei trucchi.
-Alimenta odii sociali di straordinaria virulenza…
-Incattivisce ancora di più la voglia di potere, perché l’unico modo per disporre della bellezza è esercitare il potere bilanciando simbolicamente il fascino della bellezza col fascino del comando.
-Danneggia anche le bellezza perché le svuota”.
Sacrifici, sforzi e rinunce… addio. E’ la tomba di ogni progetto educativo.
(A loro) “tutto pare facile e gratuito, basta mostrarsi, ostentare il proprio corpo e il proprio sorriso per ottenere ogni cosa. E questo uccide le loro intelligenze e la loro umanità, che si formano invece nel duro esercizio di vivere. Le rende pigre, capricciose, allergiche alla maternità, prese come sono da se stesse”.
Cosa fare?
Allora cerchiamo di guardare, come diceva Platone, non solo con gli occhi del corpo ma anche con quelli della mente: ci sono più cose in cielo e in terra dei corpi umani e della loro bellezza, cose che si vedono di meno ma si sentono di più, che colpiscono di meno ma durano di più, che colpiscono di meno ma incidono più dentro”.
La conclusione.
La bellezza è una virtù; ma anche il coraggio, anche I’intelligenza, anche la generosità, anche I’intraprendenza, anche la lealtà sono virtù. La bellezza regna nell’estetica, non nell’etica, nella poetica, nell’ontica. E poi c’è Ia bellezza della parola, del sentimento, dell’arte, della natura; non solo dei corpi” (da: Il Giornale, 2 marzo 2004).

Come dargli torto?

Don Gian Maria Comolli