Ora la polizia inglese serve a mettere ai ceppi i “transfobici” di Twitter

By 28 Febbraio 2019Gender

La strana lotta al crimine degli agenti britannici: telefonare, arrestare o diffidare utenti social per opinioni sgradite alla comunità trans.

La storia di Kate Scottow è incredibile. È il primo dicembre, siamo ad Hitchin, nell’Hertfordshire: Scottow, 38 anni, è in casa con la figlia autistica di dieci anni e il figlioletto di 20 mesi quando si presentano tre agenti di polizia. Le spiegano che è in arresto e deve seguirli in centrale. Una volta lì viene schedata, le vengono presi il dna e le impronte digitali, viene trattenuta per sette ore in cella. Viene rilasciata solo dopo interrogatorio al termine del quale le comunicano che è sotto indagine e che il suo cellulare e il suo portatile restano sotto sequestro. Scottow spiega che il pc le serve per studiare, sta seguendo un Master in psicologia forense, ma ad oggi nessun dispositivo le è stato ancora restituito.

IL CASO DI GRAHAM LINEHAN

La polizia dell’Hertfordshire ha confermato tutto al Daily Mail, «prendiamo seriamente tutte le segnalazioni di comunicazione malevola». Scottow si trova più o meno nella stessa situazione in cui sono incappati molti altri: il caso più famoso, raccontato dal Guardian, è quello dello sceneggiatore di sitcom Graham Linehan che si è visto recapitare un avvertimento di molestie verbali da parte della polizia del West Yorkshire in seguito alla denuncia dell’attivista transgender Stephanie Hayden. Linehan è colpevole di transfobia essendosi riferito ad Hayden come fosse un “lui”, chiamandola con nomi usati prima della transizione a donna. Dove è accaduto tutto questo? Ma naturalmente su Twitter, il regno delle dispute sulle discussioni di genere e delle ripicche. Ovviamente il caso, seguito costantemente anche dal Times, è diventato di interesse nazionale, oggetto di dibattiti televisivi, speciali, petizioni contro il transfobico creatore di Father Ted.

DA TWITTER ALLA CELLA

Ed è sempre una denuncia di Hayden, secondo i media inglesi, ad aver fatto scattare l’arresto e le indagini su Scottow, accusata di una «campagna di molestie mirate» contro l’attivista, presumibilmente motivate dal suo «status di donna transgender». Hayden, nata maschio, trova diffamatorio sentirsi appellata come tale nei tweet di Scottow, che avrebbe diffuso anche dati sensibili sulla sua persona – e solo per questo è stata arrestata, spiega l’attivista sul suo twitter smarcandosi dal ruolo di denuncia-madri –: il vice giudice Jason Coppel ha pertanto emesso una ingiunzione che proibisce a Scottow di scrivere e riferirsi a Hayden come a un uomo e di alludere alla sua precedente identità maschile.

«È L’INTENZIONE AD ESSERE CONSIDERATA REATO»

Sarebbe però assurdo, al di là del caso Scottow, definire marginale la questione “trans” in relazione ad alcuni recenti interventi delle forze dell’ordine. Disciplinato da un atto del parlamento britannico (spesso al centro di polemiche sulla libertà di parola e di espressione), il reato di comunicazione malevola consiste nell’invio o consegna di lettera, articolo, mail «o qualsiasi altra forma di comunicazione indecente o gravemente offensiva, minacciosa o contenente informazioni false o ritenute false» allo scopo di causare «angoscia» al destinatario. Il reato – scrive per esempio nero su bianco il sito della polizia del West Midlands – si verifica non appena la comunicazione viene inviata a prescindere dalla ricezione della stessa; «è l’invio e l’intenzione del colpevole ad essere considerato un reato». Segue un format da compilare e inviare analogo a quello offerto a chi ha subito molestie, sexting, stalking.

TRA REATI E PSICOREATI

Le forze dell’ordine sembrano però diventate particolarmente solerti nell’intervenire nei casi di “misgendering” e “deadnaming”. Bandito lo scorso anno da Twitter, “deadnaming” consiste nel chiamare deliberatamente una persona transgender con il suo nome di nascita o riferendosi al suo sesso biologico. L’account twitter di Stephanie Hayden rappresenta da questo punto di vista un’immensa miniera di segnalazioni di post, commenti di utenti e dichiarazioni screenshottate a tema trans. A chi l’accusa di approfittare delle autorità per violare la libertà di parola Hayden risponde: «Non c’è diritto alla libertà di parola nel Regno Unito. Abbiamo il diritto alla libertà di espressione e questo è certo. Abbiamo anche leggi penali che proteggono le persone dalle molestie».

«COSÌ SI COMBATTERE IL CRIMINE?»

Posto che più lunare del far rispettare le regole di Twitter ci sono solo le idee di Twitter (sempre a fine 2018 i dirigenti Del Harvey e Vijaya Gadde hanno annunciato il divieto di “discorso disumanizzante”), «sarebbe questo il modo di combattere il crimine?», si chiede esterrefatto Boris Johnson in un lungo articolo sul Telegraph.«Mi state davvero dicendo che è un ordine di priorità ragionevole radunare i transfobici di Twitter e gettarli in gattabuia, quando la violenza nelle strade sembra essere fuori controllo?». A prescindere delle idee più o meno «antidiluviane» degli utenti, Johnson sottolinea il dispendio di denaro pubblico investito sullo sputacchiare cretino della rete invece di combattere il crimine.

QUELLA TELEFONATA A MARGARET NELSON

Deve essere un po’ quello che ha pensato la giornalista Margaret Nelson, 74 anni, la mattina in cui è stata svegliata da una telefonata della polizia di Suffolk: il suo ultimo articolo sul suo blog – in cui aveva scritto che se il corpo di una persona transgender fosse sezionato post-mortem, «il suo sesso risulterebbe ovvio per uno studente o un patologo» – aveva offeso la comunità transgender. E di smetterla subito di scrivere di questioni di genere e rimuovere i post sul tema dai social media. «Sembra che sia offensivo affermare la verità sul genere, e che ci siano persone che ti rintracciano e ti denunciano alla polizia per averlo fatto», ha commentato la giornalista.

LA POLIZIA SI SCUSA. OVVIAMENTE SU TWITTER

«Ciao Margaret – è il tweet di risposta della polizia di Suffolk capendo di aver pestato una bovazza –. È stata fatta una telefonata di follow-up al solo scopo di renderti consapevole dei reclami». Va da sé che scoppi una nuova bagarre, con gli utenti indignati dall’utilizzo delle forza di polizia nonostante Nelson non abbia violato alcuna legge. La storia ha un “lieto fine”, raccontato ancora una volta dal Times: la polizia si è scusata, «accettiamo di aver commesso un errore di valutazione» nel dare seguito alla denuncia arrivata dalla rete. Scuse pubblicate, naturalmente, su Twitter.

Caterina Giojelli

13 febbraio 2019

Ora la polizia inglese serve a mettere ai ceppi i “transfobici” di Twitter