EDITORIALE – 22 maggio: un giorno di lutto nazionale

Oggi 22 maggio ricordiamo uno dei giorni più tristi e drammatici della nostra repubblica, infatti, quarantuno anni fa, il Parlamento approvò la legalizzazione dell’aborto, cioè l’uccisione di innocenti autorizzata dallo Stato. E, in questi anni, negli ospedali del nostro Paese sono stati compiuti oltre 6.065.000 di omicidi da medici “sicari” come definiti recentemente da papa Francesco, tradendo non solo il Giuramento d’Ippocrate ma la finalità della loro professione. Alcuni come Silvio Valle, candidato alle regionali piemontesi con “+Europa” (la lista della Bonino) con sprezzante ironia sembra abbia affermato: “Io i bambini li frullo, sì li frullo e non ho paura a dirlo” (1). Un’affermazione che lo pone sullo stesso piano dei Nazi Doctors processati a Norimberga.

Quello che avvenne quel 22 maggio ferì l’Italia maggiormente del drammatico rapimento ed assassinio di Aldo Moro, avvenuto in quel periodo, come affermò un editoriale di “La Civiltà Cattolica” pubblicato il 20 maggio 1978, due giorni dopo l’approvazione del Decreto Legislativo da parte del Senato. “Certo, la terribile e sconvolgente vicenda dell’on. Moro e della spietata uccisione della sua scorta hanno attirato l’attenzione di tutti in maniera così forte che gli altri problemi sono passati in secondo piano; ma se si riflette più profondamente si rileva che quanto avviene al Senato in questi giorni con l’approvazione definitiva della legalizzazione dell’aborto è più grave sotto il profilo generale e per quanto riguarda il futuro non solo immediato, ma anche lontano del nostro paese, di quanto avvenne il 16 marzo in via Fani. Qui fu commesso un delitto orrendo, ma non fu intaccato il principio del diritto alla vita e alla libertà. Invece, con l’approvazione della legge sull’aborto, per la prima volta nella storia del nostro Paese viene intaccato il principio del diritto alla vita, cioè il principio fondamentale sul quale si regge non solo la vita sociale, ma anche l’ordinamento giuridico italiano” (Quaderno 3070 del 20 maggio 1978, pg 313).

Realisticamente crediamo che abolire questa legge sia utopistico, anche se negli ultimi mesi è accresciuta in molti la sensibilità al problema, nonostante che gli strumenti di comunicazione l’hanno ignorato, evidenziano unicamente quel centinaio di femministe che protestano con slogans slavati, retrogradi e insignificanti.

 Quindi, cosa fare? Impegnarci affinché la legge 194 che con raffinata ipocrisia fu intitolata:  “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza” sia applicata nella sua totalità, poiché non crediamo assolutamente alla presenza di milioni di situazioni di “grave pericolo” per cause attinenti a una gravidanza in corso. Ci riferiamo in particolare all’articolo cinque della legge che non lascia spazio a interpretazioni ambigue o ideologiche.

L’articolo afferma: “Il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito:

-le possibili soluzioni dei problemi proposti,

-di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza,

-di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre,

-di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto”.

Dunque, un lavoro d’équipe, per evitare l’aborto. Ma perché ciò avvenga è indispensabile che i consultori diventino luoghi di accoglienza, di sostegno e di dissuasione o non unicamente “fabbriche dell’aborto”.

Tutto ciò mediante un’ “opera culturale” per superare due idee distorte.

-Il falso “buonismo” di alcuni che pur rinnegando l’aborto giustificano il diritto della donna ad abortire. Dichiarazione viziosa, poiché l’aborto non riguarda unicamente la libertà della donna ma il diritto alla vita di un altro essere umano di cui ognuno di noi è responsabile, essendo ogni uomo “il guardiano di suo fratello, perché Dio affida l’uomo all’uomo” (Giovanni Paolo II, Enciclica Evangelium vitae, n. 19). Di conseguenza, la vita di un innocente, supera la questione “privata” assumendo un’ampia “dimensione sociale”.

-L’ambigua idea che è legittimo che la Chiesa condanni l’aborto ma lo “Stato laico” ha l’obbligo di legalizzarlo. L’errore riguarda il fatto che l’aborto non è unicamente un peccato, ma un atto omicida, perciò contrastante con il “bene comune”. E nessuna società civile può legalizzare “l’omicidio di Stato”. L’articolo 2 della Costituzione Italiana, dichiara: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali…”. Ciò significa che lo Stato deve intervenire per evitare abusi sulle persone che vivono particolari situazioni di vulnerabilità e di fragilità; dunque le più bisognevoli di tutela giuridica.

Dichiarò san Pio da Pietrelcina, un santo molto amato e venerato dagli italiani: “Il giorno in cui gli uomini, spaventati dal, come si dice, boom economico, perderanno l’orrore dell’aborto, sarà un giorno terribile per l’umanità”. Dai pellegrinaggi a San Giovanni Rotondo, o dalle preghiere di fronte alla sua statua, facciamo nostro il suo ammonimento divenendo difensori della vita nascente.

Don Gian Maria Comolli

(1)https://vocecontrocorrente.it/io-frullo-i-bambini-ecco-chi-e-il-medico-abortista-candidato-con-europa/.