AVVENIRE – Covid. Raspanti: bene le Messe. Ora la Chiesa in campo per far rinascere l’Italia

 

Il vescovo di Acireale e vice-presidente della Cei: non senza difficoltà il ritorno alle liturgie col popolo. «Corruzione, burocrazia, sistemi sanitari carenti: ostali nella ricostruzione post virus»

«Siamo come rimasti ingabbiati nella questione “Messe sì, Messe no”. Tema rilevante, non c’è dubbio. Ma la Chiesa italiana dovrebbe allargare gli orizzonti. E chiedersi quale contributo, in particolare di pensiero, è chiamata a dare per la “rinascita” dell’Italia». Il vescovo Antonino Raspanti fa una pausa. «Al vocabolo “ripartenza” preferisco il termine “rinascita”. Non basta dire che serve tornare ad alzare le saracinesche o che occorre riprendere la produzione, se poi il Paese è schiacciato da mali atavici che rischiano di farlo scivolare in un caos ancora più pericoloso. Penso all’insopportabile lentezza della burocrazia, alla corruzione e alla criminalità organizzata che papa Francesco ha denunciato più volte, a sistemi sanitari problematici, alle carenze nella scuola e nella ricerca. Ecco perché la rinascita post-Covid deve essere essenzialmente morale. E ha bisogno di donne e uomini forti che con coraggio sappiano intraprendere lotte audaci e abbiano come obiettivo il bene comune, non quello di una parte». Parla da Acireale il vice-presidente della Cei per l’Italia meridionale, dalla diocesi siciliana che guida dal 2011. Quando descrive la “fase 2”, Raspanti invita ad «avere uno sguardo più ampio» e a non «appiattirsi soltanto sui numeri» del contagio. «Il comitato tecnico-scientifico non analizza certamente tutto quanto è necessario all’equilibrio dell’uomo e della società. La persona è anche relazioni, religione, cultura – afferma il vescovo –. È compito della politica avere un quadro d’insieme e compiere scelte, spesso difficili, che tengono unito il tutto». E si torna alle liturgie con il popolo che riprenderanno dal 18 maggio.

Eccellenza, non sarà facile per le parrocchie celebrare di nuovo l’Eucaristia con i fedeli: fra numero chiuso nelle chiese, volontari che controllano gli ingressi, mascherine e guanti, distanze di sicurezza, modalità articolate per distribuire la Comunione…

Sono persuaso che l’avvio avverrà a rilento, caratterizzato dalle dovute attenzioni ma spero anche senza eccessivi ostacoli. Negli scorsi due mesi le parrocchie hanno visto crollare le entrate e sono in notevole difficoltà economica. Sarà complesso attrezzarsi per le celebrazioni “in sicurezza”. Grazie al cielo, adesso più che di sanificazione si parla di igienizzazione dei luoghi di culto, che è operazione più semplice e meno dispendiosa.

Le disposizioni sono previste nel protocollo firmato dalla Cei e dall’Esecutivo Conte a Palazzo Chigi.

Come lascia intendere il vocabolo “concordato”, è stato appunto concordato un percorso con il governo perché di per sé il comitato tecnico-scientifico è un organo di consulenza del governo. La Chiesa italiana ha optato per le Messe senza il popolo oppure per l’apertura o la chiusura delle chiese, dal momento che ha ritenuto queste scelte coerenti con quanto lo Stato chiedeva agli italiani per bloccare la diffusione del virus.

Vale allora l’invito del Papa alla prudenza?

Qualcuno ha interpretato le parole del Santo Padre come un richiamo a essere sottomessi alle autorità. A parte che già san Paolo lo aveva specificato in modo chiaro, una vita alla sequela di Cristo è sì rivoluzionaria, senza patria terrena ma celeste; tuttavia i cristiani vivono nel mondo, lo amano, lo servono con lealtà, tentano di offrirlo a Dio con il loro impegno terreno. Poi prudenza non vuol dire andarci piano. La prudenza è una virtù cardinale. È guida per compiere le giuste scelte nel modo e nel momento più opportuno. Il che può voler significare talvolta tempestività, in altri casi gradualità.

Con le presenze contingentate nelle chiese, è possibile che si aumenti il numero delle Messe?

Difficile fare previsioni. Intuiamo che la gente voglia uscire. Ma quanti verranno in un locale chiuso com’è la chiesa e vi resteranno per quasi un’ora? Quanti saranno gli anziani che si muoveranno da casa, visto che rappresentano una discreta parte di chi partecipa alle nostre celebrazioni? E quante famiglie si presenteranno a Messa con i figli? Non vale neppure il parallelo con i dati più che buoni sulle liturgie trasmesse in streaming o in televisione. Una cosa è stare davanti a uno schermo in casa e al sicuro; un’altra è uscire, spostarsi e arrivare fino in chiesa. Forse la paura del virus frenerà le presenze ai riti almeno all’inizio.

I funerali “pubblici” sono comunque già ripresi. È un segnale importante?

Importantissimo, direi. È un atto di civiltà. Forse potevamo anche ripartire prima. Dare l’estremo saluto a un proprio caro e condividere il lutto costituiscono bisogni primari dell’uomo. Qualche medico che è in prima linea nell’emergenza sanitaria mi ha confidato che, quando il paziente si rende conto che difficilmente rivedrà i familiari, si lascia andare. Parole che mi hanno fatto riecheggiare le testimonianze lette in numerosi libri sui lager nazisti dove i prigionieri crollavano perché nella loro mente veniva meno il filo della speranza. Aggiungo che di fronte alla morte possiamo prendere coscienza dei nostri limiti: siamo creature, non creatori o padroni di noi stessi e del mondo.

In questi due mesi la scelta di celebrare le Messe a porte chiuse è stata sofferta ma nel segno della responsabilità.

Ogni giorno ricevo email o messaggi dai contenuti più disparati. C’è una parte del cattolicesimo italiano che ha rappresentato noi vescovi, anche sui social e nei giornali, come succubi del governo. E un’altra parte che ci sollecita alla cautela, al rispetto dei consigli scientifici, a continuare ancora a celebrare senza fedeli. Ciò testimonia che nel Paese il mondo cattolico non solo è variegato, ma spesso si lascia strumentalizzare e talvolta mostra una formazione non solida. Tuttavia la Chiesa dovrà affrontare anche altre problematiche che non abbiamo ancora toccato.

Quali, eccellenza?

Intanto è urgente riflettere sulla grave crisi socio-economica causata dalla pandemia che è già in atto. Dovremo aspettarci effetti pesanti sulle persone e sulle famiglie. La Chiesa non può tacere. Il lavoro viene già a mancare in molti casi. Come ripete papa Francesco e come aveva rimarcato Giovanni Paolo II nell’enciclica Laborem exercens, il lavoro non è solo prodotto e reddito: è dignità, è contributo alla costruzione della società. Già prima dell’emergenza Covid erano emersi squilibri nel nostro sistema capitalistico e neo-liberista. Squilibri che papa Francesco ha riassunto nella felice formula di “cultura dello scarto”. La pandemia li metterà ancor più in evidenza. Non sono solo questioni economiche ma temi che toccano nel profondo l’umano.

Allora che cosa può fare la Chiesa?

L’opinione pubblica si sente ripetere da giorni una serie di ritornelli: questa o quella categoria ripartirà a breve…; questo o quel giorno si riaprirà… Ma l’Italia non rinascerà perché riceve soldi ma grazie alle forze che verranno messe in campo. Senza cadere nelle mani dei creditori, dobbiamo saper rialzarci traendo dal nostro intimo nuove energie. Ci vogliono passione civile, amore per il popolo, attaccamento al territorio, senso del sacrificio. E soprattutto persone con una grande tempra e una rettitudine d’animo, meglio se abbeverate alla sorgente del Vangelo. Accanto alla preghiera o alla solidarietà, la comunità cristiana deve fare proposte concrete e contribuire a creare un piano per l’Italia affinché rimanga Paese leader in Europa. E poi abbiamo anche un’ulteriore missione.

Quale?

Come cristiani abbiamo il dovere di annunciare che la vita sulla terra, dolorosa o lieta, breve o lunga, è trasformata e salvata dall’amore che scaturisce dalla Pasqua del Signore. Un amore che ha già vinto la morte e ha già sconfitto le malattie, le pandemie, i lutti. La salute del corpo è fondamentale. Ma, per chi crede, la vita dell’anima ha un valore di gran lunga superiore.

Giacomo Gambassi

9 maggio 2020

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