Accanto a Mario, il disabile grave delle Marche che esige il suicidio assistito, in attesa del 13 dicembre quando il Parlamento discuterà il Testo Unico sul Suicidio Assistito, in questo clima spaventosamente mortifero che si sta diffondendo nel nostro Paese, non possiamo dimenticare anche il dramma di Samantha D’Incà, condannata a morte il 10 novembre dal Tribunale di Belluno, accogliendo la richiesta del padre.

Chi è Samantha D’Incà?

E’ una giovane donna 30enne di Feltre che il 2 dicembre 2020, a seguito di una complicazione nel corso di un lieve intervento, il suo cervello rimase per qualche secondo privo di ossigeno entrando così in quel limbo misterioso che la scienza chiama di “minima coscienza” (stato vegetativo) e del quale ben poco conosciamo. Dopo poche settimane dall’evento, il padre divenuto il rappresentante legale della giovane donna, assumendosi come prevede la legge 219/2017 il diritto di vita e di morte sul suo assistito, si è rivolto al tribunale di Belluno che appunto il 10 novembre ha autorizzato il signor D’Inca ad imporre ai medici l’interruzione della nutrizione e dell’idratazione; cioè la morte di Samantha.

Di fronte alla strumentalizzazione del caso, è doveroso “mettere i puntini sulle i” poiché in Italia sono presenti circa 3000 malati in questa situazione. Ci chiederemo: come considerarli? Lo stato vegetativo è definitivo? Come agire nei loro confronti?

Distinzione tra “Coma” e “Stato Vegetativo”

Molti confondono lo stato di coma con la situazione di malato in “stato vegetativo”.
Il coma, dal vocabolo greco “κῶμα”, cioè “sonno profondo”, è lo stato d’incoscienza dovuto ad un danno (emorragico, ischemico, traumatico) subito dalla corteccia celebrale. Rende la persona totalmente priva di coscienza, e di conseguenza, incapace di relazionarsi con l’ambiente e di reagire ai vari stimoli. Per vivere il paziente è dipendente da dispositivi medici che permettono agli organi vitali di svolgere le loro funzioni. Il coma ha diversi gradi di profondità. A secondo della lesione subita può essere superficiale, medio, profondo, depassè (o morte cerebrale). Si evolve in tre direzioni: la guarigione” (cioè il risveglio); lo stato vegetativo prodotto, solitamente, dalla lesione di una parte della corteccia celebrale; la morte celebrale quando il danno si estende a tutto il sistema nervoso centrale. Vi è inoltre una relazione
tra la durata dello stato di coma, i meccanismo di recupero e il risultato finale; maggiormente il coma è prolungato tanto più il recupero è difficoltoso e prolungato nel tempo.

Lo stato vegetativo può essere “transitorio” o “persistente”. “Persistente” è quello che dura da oltre due anni a causa di gravi compromissioni neurologiche, quando le possibilità di recupero diminuiscono, anche se alcuni casi di ripresa quasi totale si sono verificati dopo molto tempo. In questa situazione, il paziente apre gli occhi, riprende il ritmo sonno-veglia, riacquista una minima espressività, l’attività respiratoria è autonoma ed evidenzia una particolare reattività agli stimoli esterni. La persona, però, non è mai cosciente di sé. Tuttavia se queste persone sono alimentate e tutelate nelle eventuali complicanze (infezioni intercorrenti, scompensi…) possono vivere a
lungo. E diversamente da come sono descritte dall’immaginario collettivo, questi soggetti sono supportati unicamente da un sondino per la nutrizione e l’idratazione; quindi nessun macchinario salva-vita. F. Cavallari nel libro “La vita in una stanza. Gli ‘stati vegetativi’ non esistono” (Itaca 2014) narra ad esempio di Fulvia che ebbe un’emorragia cerebrale a 42 anni, nel 2010, mentre si trovava alla sedicesima settimana di gravidanza e la gestazione, pur essendo la donna in stato vegetativo, seguì un percorso naturale. La bambina nacque alla
trentatreesima settimana con taglio cesareo. Un analogo fatto accadde nell’ottobre 2019 nella clinica di Erlagen, in Baviera, quando una donna in stato vegetativo, partorì un neonato sano. Ebbene, Samantha, si trova nel limbo di “minima coscienza” da meno di dodici mesi.

Come valutare Samantha e tutti questi malati?

E’ la domanda fondamentale che possiamo così riformulare: “il grave disabile in stato vegetale è ancora una persona?”.

Alcuni medici tra i più noti, e purtroppo anche opinion leaders, riferendosi ad Eluana Englaro, la prima uccisa poiché in stato vegetativo, la definirono, tra altro, “morta diciassette anni prima”, oppure giudicavano la sua esistenza simile a quella delle piante. Ma come ricorda G. Rocchi nel testo “Il caso Englaro. Le domande che bruciano” (Edizioni Studio Domenicano, 2009), questa posizione “è scientificamente improponibile – una persona o è viva o è morta: tertium non datur – ”(pg. 49), non esistendoci in natura una terza possibilità di intermedialità tra vita e morte. E’ opportuno evidenziare, ricordava Rocchi, che la constatazione di morte è legata oltre che alla cessazione del battito cardiaco all’interruzione dell’attività cerebrale determinata da tre condizioni: lo stato di incoscienza, l’assenza di riflessi del
tronco e di respirazione spontanea, il silenzio elettrico celebrale protratto per un determinato periodo di tempo. In questi malati queste
condizioni sono assenti; il loro cuore funziona regolarmente e spontaneamente, il loro cervello opera. Da ciò deduciamo che tutti i disabili gravi in stato vegetativo, sono persone perfettamente e totalmente vive. Inoltre, lo sviluppo delle conoscenze che la risonanza magnetica funzionale (Rmf) e la tomografia a emissione di positroni (Pet) hanno reso possibile in tema di funzione cosciente, hanno dimostrato che in molti di questi disabili gravi si attivano aree celebrali a seguito di particolari stimoli. Di conseguenza, la loro, non è una “veglia” priva di coscienza. Negli ultimi anni, inoltre, sono state pubblicate numerose ricerche in prestigiose riviste internazionali riguardanti le attività di “coscienza sommersa” in questi malati anche in assenza di consapevolezza. Tra i molti studi riportiamo quello di un gruppo di ricercatori dell’Università del Western Ontario (USA), coordinati dal professor D. Cruse, che ha dimostratoche è possibile individuare lo stato di coscienza anche in questi pazienti. Sono stati sottoposti allo studio 16 pazienti in stato vegetativo a cui veniva chiesto di stringere il pugno ogni volta che sentivano il bip. Poi, in una successiva prova, i soggetti venivano invitati a muovere le dita, ogni volta che udivano un suono. Inoltre, per avere la sicurezza che le risposte motorie fossero realmente la conseguenza degli ordini impartiti, i ricercatori hanno ripetuto entrambe le prove per 200 volte. (Cfr.: Bedside detection of awareness in the vegetative state: a cohort study, The Lancet, vol.378, pp. 2088 – 2098, 17 December 2017).

Ebbene, una persona in stato vegetativo non è un malato, ne tanto meno un malato terminale. E’ un uomo con il massimo della disabilità che non necessita di cure specifiche ma unicamente di chi gli dia da mangiare, da bere e lo accudisca igienicamente come tutti i disabili gravi. Non essendoci l’esigenza di gestire macchinari particolari può essere assistito, come avviene per la maggioranza, anche presso la propria abitazione.

Lo stato vegetativo è sempre definitivo?

Sulla natura dello stato vegetativo, sulle possibilità di risveglio, e a che fase potrebbe giungere un’eventuale miglioramento, conosciamo molto poco; la scienza a riguardo è molto approssimativa. Abbiamo assistito alle vicende di Giulia Brazzo, Salvatore Grisafulli, Greta Vannucci, Massimiliano Tresoldi e altre decine che si sono risvegliati dopo anni di stato vegetativo, e tutti i loro racconti hanno dei tratti comuni, narrando di situazioni solo “apparentemente di non vita”, poichè udivano le domande, avvertivano gli stimoli e, di conseguenza, la disperazione era causata dal non poter rispondere e dall’incapacità di segnalare la loro coscienza. Questa è la testimonianza di Salvatore Crisafulli svegliatosi dopo alcuni anni di stato vegetativo: “I medici dicevano che non ero cosciente, ma io capivo tutto e piangevo perché non riuscivo a farmi capire. Sentivo mio fratello che diceva che secondo lui invece capivo tutto, e lo sentivo urlare perché non gli credevano. Ma io non potevo parlare, non potevo muovermi, non potevo far nulla per fargli capire che c’ero, che li sentivo. Così piangevo”.

Come agire nei confronti di Samantha e di tutti questi disabili gravi?

Da quanto abbiamo affermato il comportamento più appropriato, corretto e giusto è la massima prudenza poiché l’unico elemento che possediamo è l’incertezza. provato ed accertato fu l’incertezza. La sentenza del Tribunale di Belluno è profondamente ingiusta non avendo tenuto presente questo principio etico, scordando l’antica arte della iuris prudentia, l’unica che crea sinergie tra “l’amministrazione della giustizia umana” e “l’ orizzonte etico-morale”. Se non altro, per motivi prudenziali, come avviene nel diritto penale dove si assumono posizioni a favore dell’imputato di fronte al minimo dubbio, così si deve agire anche nei confronti di Samantha.

La nostra attenzione e anche ringraziamento, concludendo, si rivolge alle famiglie che ogni giorno, per anni, assistono una persona in stato vegetativo e che temono l’abbandono, poiché il più delle volte sono lasciate sole di fronte al dolore e alla loro domanda di cura. Il loro impegno continuo, totalizzante, svolto nell’anonimato e con amore sono per tutta la società un significativo esempio di “vita buona”.

Don Gian Maria Comolli