IL SUSSIDIARIO – Mario e quei “perché” per vivere che nessuno intorno a lui sembra volere

La morte annunciata di Mario, a cui la Asl delle Marche ha concesso il via libera al primo suicidio medicalmente assistito del nostro Paese, è una sconfitta di tutti.

Il suicidio assistito consiste nell’aiutare un paziente terminale a suicidarsi, cioè ad ingerire da solo il farmaco letale. A differenza dell’eutanasia con la quale il paziente muore attraverso un’iniezione letale che gli viene praticata da un medico. Due pratiche, fino a poco tempo fa, condannate dal nostro Codice penale negli articoli 579 e 580.

Ma la sentenza della Corte costituzionale sul caso di Dj Fabo ha sostanzialmente depenalizzato, che è cosa diversa dall’aver legalizzato, il suicidio assistito, raccomandando con insistenza due cose. Al Sistema sanitario nazionale ha ricordato la necessità di ricorrere assai più spesso alle cure palliative: migliorandone la qualità e l’intensità, creando Centri adeguati in cui accogliere i pazienti e offrendo alle famiglie un’assistenza domiciliare adeguata ai bisogni dei pazienti. Con l’obiettivo evidente che nessun paziente si potesse sentire solo o di peso per la sua famiglia, oppure dovesse misurarsi con un dolore refrattario ai migliori farmaci disponibili. Tutto in piena coerenza con la legge 38.

La Corte costituzionale raccomandava inoltre al Parlamento di procedere ad elaborare una legge che facesse chiarezza su alcune zone d’ombra lasciate dalla legge sulle Disposizioni anticipate di trattamento, legge 219 del 2017, entrata in vigore nel 2018, nella quale alcuni passaggi costituiscono nei fatti una sorta di apertura all’eutanasia, per lo meno a quella cosiddetta di tipo passivo.

Dopo la sentenza della Corte costituzionale nessun malato ha comunque fatto riscorso al suicidio assistito, in quanto il Servizio sanitario nazionale è tuttora in attesa di una legge che definisca le procedure necessarie alla sua applicazione, comprese le modalità di somministrazione del farmaco capace di provocare la morte del paziente.

 

 

Il caso di Mario e l’eutanasia

Dopo un periodo di attesa, ieri è giunta notizia che la Asl delle Marche ha accolto la richiesta di suicidio assistito formulata da Mario. In molti se ne sono rallegrati e di questo danno notizia i principali giornali riportando in prima pagina il triste annuncio della sua morte, che potrebbe anche avvenire nei prossimi giorni. Ma non credo proprio che si possa parlare di vittoria per nessuno e neppure che ci si possa rallegrare perché un uomo ha chiesto di morire, considerando la sua vita troppo faticosa.

Eppure tante testate giornalistiche hanno messo in evidenza proprio questa notizia, a mio avviso, davvero drammatica: Mario potrà morire. E potrà morire, sembra, perché un medico gli farà arrivare il farmaco letale, che metterà fine alla sua vita. Decisione irreversibile, come solo la morte sa essere e perciò stesso allontanata finora.

La storia di Mario è nota quasi a tutti, perché più volte è stata raccontata e utilizzata sia nel corso della raccolta firme per il referendum sull’eutanasia, sia durante l’attuale dibattito alla Camera sulla legge sull’eutanasia. Mario, dopo un grave incidente automobilistico, è diventato tetraplegico ed è immobilizzato da 10 anni.

Un anno fa, più o meno in coincidenza con la famosa sentenza della Corte costituzionale sul caso Dj Fabo, aveva chiesto di morire scegliendo la via del suicidio assistito, dopo la verifica delle condizioni poste dalla famosa sentenza. Ma la sentenza 242 del 2019 in realtà non parla mai di eutanasia, per lo meno non esplicitamente.

La decisione della Asl

Il Comitato etico dell’Asl da cui Mario è assistito, ritenendo di aver sufficientemente verificato le condizioni essenziali poste dalla sentenza, ha dato il via libera al primo suicidio medicalmente assistito del nostro Paese. E Mario sarà il primo testimone di questa triste vicenda, che sia ben chiaro non è l’affermazione della libertà di una persona che vuole morire, ma il fallimento di una società che non è stata in grado di prendersi cura di lui a 360 gradi, come sarebbe stato giusto e come in fondo chiedeva la famosa sentenza della Corte.

Secondo il Comitato etico della Asl, Mario rientrerebbe nelle condizioni stabilite dalla Consulta per l’accesso al suicidio assistito, per cui ha stabilito che gli vengano somministrati 20 grammi di Tiopentale sodico, senza spiegare né il perché del dosaggio, né le modalità di somministrazione, né se sarà usato da solo o in concomitanza con altri farmaci, per esempio un ansiolitico eccetera. Una decisione che sul piano della prassi medica appare insufficientemente motivata e scarsamente documentata nella prassi esecutiva.

Inoltre la famosa sentenza della Corte chiedeva al Parlamento di legiferare, ma di fatto la legge non c’è ancora. E la legge non c’è ancora non perché i parlamentari vogliano sottrarsi a una indicazione della Corte costituzionale, ma perché si tratta di una materia delicatissima, come quella che riguarda ogni vita fragile, ed esige una responsabilità sociale di alto profilo da parte di chi accompagna queste persone e se ne prende cura.

Una decisione al tempo stesso densa di conseguenze pesanti, che possono impattare sulla vita di molte altre persone, come conferma l’andamento della legge sull’eutanasia in Olanda o in Belgio. Anche in Olanda all’inizio si trattava di casi singolarmente presi in esame, vagliati sotto tanti aspetti e sottomessi al parere medico e bioetico di una Commissione. Oggi non è più così. Addirittura si chiede di estromettere il medico dal parere necessario per accedere all’eutanasia, ritenendo sufficiente il solo desiderio espresso dal paziente, in coerenza con la dottrina del tutto autoreferenziale del principio di autodeterminazione. Non si può citare la normativa di altri Paesi, come sta avvenendo in questi giorni in Italia, immaginando che siano anni luce avanti a noi, mentre invece stanno precipitando in un vortice in cui l’accesso all’eutanasia si sta spalancando per persone depresse, persone affette da Alzheimer o demenza senile eccetera.

Mario sarebbe potuto andare in Svizzera, ma ha scelto di restare in Italia per combattere per cambiare la legislazione italiana: aveva bisogno di dare senso e significato alla sua vita; cercava un perché e lo ha trovato in questa lotta. Ma avrebbe potuto trovarlo anche in altre battaglie.

Siamo tutti convinti che senza un perché non si può vivere. Oggi il suo perché è la morte: avremmo preferito che le cose fossero andate diversamente per lui e per noi. Dal momento che i perché per vivere sono molti di più e noi crediamo fermamente nella libertà e nella volontà di chi vuole vivere e chiede al Ssn di poter vivere nel miglior modo possibile.

Porte spalancate all’eutanasia

Mario morirà perché lui sembra volerlo, ma anche perché molti altri intorno a lui sembrano volerlo; sembra quasi che ne abbiano bisogno. I fautori e firmatari del referendum sull’eutanasia, gli accaniti sostenitori di una legge ancora molto discutibile incardinata alla Camera dei deputati. La sua morte su sua richiesta, il suo suicidio assistito, sono la porta ormai spalancata all’eutanasia. In molti hanno bisogno dell’ennesimo testimone, vittima innocente di un principio di autodeterminazione assoluto che sembra ignorare altri valori e altre soluzioni possibili.

Noi continueremo a batterci perché i pazienti continuino ad amare la vita e lo faremo migliorando al massimo le condizioni dell’assistenza per loro e per i familiari; sostenendo la ricerca; battendoci contro i tanti incidenti stradali di cui sono stati vittima prima Eluana, poi Fabo e ora, forse, anche Mario.

Paola Binetti

Il Sussidiario

24 Novembre 2021