Tempi, 19 giugno 2017
Che cosa significa cittadinanza? Tutti i problemi dello ius soli
Il ddl sullo ius soli in discussione in Parlamento è solo un manifesto politico, perché riconosce la cittadinanza anche a chi non vuole essere parte della comunità.
Il disegno di legge sulla cittadinanza (detto ius soli) – in questi giorni in discussione in Senato, con corsia preferenziale, dopo essere stato approvato alla Camera – è un “manifesto politico”, una legge “di bandiera” e ideologica (piegata al multiculturalismo più spinto). È una legge disastro (un disastro di legge). Il principale effetto sarà quello di far aumentare ulteriormente l’immigrazione, al solo fine dell’acquisizione della cittadinanza. Diventerà infatti la regolamentazione più a larghe maglie esistente in Europa e in Occidente.
Poiché sul contenuto della normativa vecchia e nuova ne ho sentite di tutti i colori (specie sul web), forse vale la pena precisare. Innanzitutto, circola voce secondo cui non si saprebbe esattamente il contenuto della nuova legge: ancora deve essere approvata e potrebbero esserci emendamenti. In realtà, il ddl è già stato approvato alla Camera con una formulazione chiara e precisa nei contenuti, anche se non condivisibile. Il testo è passato al Senato, ed è stato fermo per più di due anni in una commissione permanente. Non sono stati esaminati neppure gli emendamenti proposti. Come sempre accade in questi casi (approvazioni di norme bandiera), il processo ha assunto un’immediata e repentina accelerazione, quando si è cominciato a parlare di elezioni anticipate, che farebbero decadere il provvedimento. Così il testo è passato qualche giorno fa in assemblea al Senato per la fase di approvazione.
Nel caso di approvazione con modifiche, il testo dovrebbe passare nuovamente alla Camera e non vi sarebbe tempo per completarne l’iter. È chiaro ai proponenti che occorre approvarlo nella stessa identica formulazione con cui è uscito alla Camera. Detto questo, premetto che la cittadinanza è una cosa seria e non deve essere svenduta o regalata. Essa rappresenta il riconoscimento dell’esistenza di un legame effettivo con una data comunità stanziata su un territorio in un preciso momento storico. Ciascuno valuterà questa premessa in relazione al testo proposto.
Partiamo dalla situazione attuale. Attualmente esistono due possibilità per ottenere la cittadinanza in Italia da parte dello straniero.
Riassumendo: lo straniero nato in Italia già ora a 18 anni potrà chiedere di essere italiano. Se i suoi genitori sono in Italia da 10 anni, e lo desiderano, possono chiedere la cittadinanza per loro, che passerà anche al figlio. Una precisazione sui 18 anni. I minori stranieri godono sempre – ovviamente – di tutti i diritti e servizi essenziali dei minori italiani. Esistono fortunatamente numerose sentenze della Corte Costituzionale che sanciscono il principio dell’estendibilità dei diritti fondamentali della persona anche agli stranieri. Basti pensare alle nostre scuole, ormai multiculturali, ove non c’è differenza tra bambini italiani e bambini stranieri nati in Italia.
La differenza maggiore tra il cittadino e lo straniero è il possesso da parte del cittadino dei diritti politici (in primo luogo il diritto di elettorato). Detti diritti si possono legittimamente esercitare solo al perseguimento della maggiore età. Ecco perché l’attuale legge si riferisce alla richiesta di cittadinanza da parte del minore al raggiungimento della maggior età.
Veniamo ora al nuovo disegno di legge.
In conclusione, con il nuovo testo di legge chiunque nasca in Italia da stranieri può diventare italiano (se il genitore sia in possesso del possesso di soggiorno quinquennale; o se il minore possa vantare un quinquennio di studi senza esame). In realtà, lo status di cittadino comporta il riconoscimento di una serie di situazioni giuridiche attive e passive (diritti e doveri) che valgono a differenziare in maniera esclusiva i cittadini rispetto ai meri residenti sul territorio italiano (sostanzialmente diritti e doveri di natura politica).
Lo status di cittadino distingue i soggetti che appartengono ad uno Stato e ne contribuiscono a definire i valori e gli interessi materiali e spirituali, caratterizzandone l’identità, storia, tradizione e cultura, mediante il perseguimento degli obiettivi e delle scelte valoriali che contraddistinguono ogni Paese rispetto ad un altro (e ciò mediante l’esercizio dei diritti politici); da coloro i quali (stranieri o apolidi) vivono sul territorio italiano ma non hanno, o non vogliono avere, un legame effettivo di appartenenza alla comunità.
Cittadinanza significa partecipazione alle sorti del Paese, comunanza di interessi, di ideali e identificazione, tanto che i cittadini (a differenza degli altri residenti) votano e decidono il futuro della comunità. Tutto ciò richiede o la volontà espressa da parte di chi voglia identificarsi con il Paese ospitante o un’integrazione effettiva. Il ddl sullo ius soli in discussione in Parlamento è solo un manifesto politico, perché riconosce la cittadinanza anche a chi non vuole essere parte di una data comunità e a chi non ha alcun legame effettivo con il Paese. Uno degli effetti più evidenti sarà l’ulteriore incremento dell’immigrazione, al solo fine di far acquisire la cittadinanza ai propri figli.
Non si può utilizzare un istituto serio come la cittadinanza per risolvere altri problemi, come quello della situazione degli immigrati (ci si chiede allora perché non fare cittadini tutti gli stranieri che mettono piede sul territorio italiano). Il rischio è di fare cittadini disinteressati e non legati culturalmente e socialmente alla comunità di (non) appartenenza.
Stefano Spinelli