APPUNTI DI PASTORALE DELLA SALUTE (7) – I soggetti della Pastorale della Salute: la famiglia del malato

APPUNTI DI PASTORALE DELLA SALUTE (7) – I soggetti della Pastorale della Salute: la famiglia del malato.

 Le famiglie spesso gestiscono malattie complesse, irreversibili e inguaribili. L’allungarsi dell’età media di vita della popolazione, l’aumento delle persone con patologie cronico-degenerative e tumorali, le possibilità di intervento terapeutico e di cura in situazioni critiche che consentono la sopravvivenza, a volte in condizioni di equilibri alquanto precari, coinvolgono sempre maggiormente la famiglia nella drammatica realtà della sofferenza. Per questo anche la famiglia è un soggetto della Pastorale della Salute e merita attenzione da parte di coloro che visitano il malato soprattutto a domicilio. Con questi “appunti” vogliamo conoscere meglio la famiglia del malato. Evidenzieremo inoltre cosa si attende dalla comunità cristiana e civile.

Il ruolo della famiglia e l’essenzialità per il malato

La famiglia “dovrebbe essere” il luogo privilegiato delle relazioni e dell’ accoglienza reciproca dove esperimentare l’identica stima di ciascuno, pur nel rispetto di diversità, anche significanti di carattere, di personalità e di salute. “Dovrebbe essere” lo spazio di congiunzione delle generazioni per apprendere, conservare e trasmettere i valori fondanti ed irrinunciabili dell’esistenza. “Dovrebbe essere” il terreno della solidarietà e della socialità e contaminare la comunità civile con gli comportamenti “buoni” che si vivono al suo interno. Ci siamo avvalsi del “dovrebbe essere”, poichè la situazione attuale è contrastante, essendo carenti o quasi scomparsi nel contesto societario e culturale i concetti di “comunità” e di “appartenenza”. Inoltre, la famiglia, attraversa negli ultimi decenni una profonda crisi con divorzi, separazioni, coppie di fatto, convivenze… che complicano ulteriormente i problemi e manifestano una “fragilità strutturale” che la rende, a volte, incapace di reagire alle difficoltà. La malattia, può costituire per la famiglia un peso opprimente e insopportabile, se non è sostenuta e tutelata come “il primo e più naturale luogo di cura”, poichè quando un componente si ammala, il nucleo famigliare è sconvolto e profondamente coinvolto nella situazione del congiunto dato che una patologia colpisce le relazioni costitutive.

La famiglia, da sempre, ha rivestito un “ruolo centrale nella cura” dal momento che la presenza, il sostegno e l’affetto del nucleo parentale costituiscono per il sofferente un fattore essenziale. I famigliari, dunque, sono “elementi terapeutici” insostituibili, ma anch’essi devono compiere un percorso di accettazione e di maturazione che esige tempo, impegno e anche supporto esterno. Ma, nonostante la famiglia abbia una funzione centrale per il malato, a volte è presente la tendenza, primariamente da parte delle istituzioni socio-sanitarie a trascurarla, ad allontanarla, a ritenerla una presenza ingombrante e fastidiosa, scordandosi che il paziente è inserito in un contesto di relazioni famigliari. “La famiglia – ha ricordato papa Francesco – possiamo dire, è stata da sempre l’ ‘ospedale’ più vicino. Ancora oggi, in tante parti del mondo, l’ospedale è un privilegio per pochi, e spesso è lontano. Sono la mamma, il papà, i fratelli, le sorelle, le nonne che garantiscono le cure e aiutano a guarire” (10 giugno 2015).

Un nucleo famigliare isolato, non può affrontare e risolvere i problemi generati da una patologia complessa di un suo membro; soccombe nonostante gli atti di eroismo individuale così descritti da papa Francesco: “Quante volte noi vediamo arrivare al lavoro un uomo, una donna con una faccia stanca, con un atteggiamento stanco e quando gli si chiede ‘Che cosa succede?’, risponde: ‘Ho dormito soltanto due ore perché a casa facciamo il turno per essere vicino al bimbo, alla bimba, al malato, al nonno, alla nonna’. E la giornata continua con il lavoro. Queste cose sono eroiche, sono l’eroicità delle famiglie! Quelle eroicità nascoste che si fanno con tenerezza e con coraggio quando in casa c’è qualcuno ammalato” (10 giugno 2015).

 La risposta della comunità cristiana

Il Signore Gesù mostrò attenzione e premura anche ai familiari dei malati. Lo rileviamo nelle risurrezioni dove, evidentemente, trattandosi di defunti, la richiesta di vita non poteva che provenire dai famigliari. Cura e sollecitudine nei riguardi dei genitori e dei parenti sono presenti, come abbiamo costato precedentemente, anche nei miracoli di guarigione. Gli insegnamenti del Cristo e alcuni Documenti del Magistero invitano la comunità cristiana a dilatare l’interesse alle famiglie dei malati instaurando rapporti umani ed affettivi, sostenendole moralmente, affinchè superino la giustificata demoralizzazione. A volte, il sofferente o il morente, sono già riconciliati con il loro futuro, mentre la famiglia fatica ad ammettere l’ineluttabile! Suggerisce la Nota: “La pastorale della salute nella Chiesa Italiana”: “A loro volta i famigliari hanno bisogno di sostegno per vivere, senza smarrirsi, il peso imposto dalla malattia di un loro congiunto. Un accompagnamento premuroso, che trova uno dei luoghi più propizi nella visita a domicilio o all’ospedale; questa può aiutarli a scoprire nella dolorosa stagione della sofferenza, preziosi valori umani e spirituali” (n.37).

Alcuni suggerimenti affinchè la famiglia del malato divenga luogo di produzione di senso e di costruzione di speranza.

-Programmare catechesi sull’accompagnamento delle famiglie con situazioni gravi di malattia. E’ uno strumento pastorale rilevante anche per sensibilizzare la comunità a realizzare atti di carità.

-Prospettare ai giovani la “solidarietà generazionale”. L’esempio è proposto dalla Madonna. Il recarsi dalla cugina Elisabetta che essendo gravida in età avanzata necessitava di assistenza (cfr.: Lc. 1,39-45) mostra nel rapporto tra quelle due donne la “solidarietà fra le generazioni”. Unite dall’essere parenti Maria e Elisabetta sono lontane nell’età ma accomunate dalla comune esperienza della prima maternità. “Non c’è futuro per il popolo senza questo incontro tra le generazioni, senza che i figli ricevano con riconoscenza il testimone della vita dalle mani dei genitori. E dentro questa riconoscenza per chi ti ha trasmesso la vita, c’è anche la riconoscenza per il Padre che è nei cieli” (Papa Francesco, 28 settembre 2014).

-Integrare la pastorale della salute con gli altri settori pastorali e i gruppi presenti in parrocchia; Caritas, ministri straordinari dell’Eucarestia, associazioni cattoliche di volontariato… Per cooperare vanno superate e oltrepassate le dicotomie, le chiusure e i particolarismi, valorizzando tutte le risorse nella logica della condivisione e della collaborazione. Solo così, nessuna famiglia, rimarrà sola!

-Sviluppare la cultura dell’ “umanizzazione della sofferenza”. “La misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la società. Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la com-passione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente è una società crudele e disumana” (Spe Salvi, n. 38). Ciò significa che supportare la famiglia è una tappa decisiva per edificare la cultura della com-passione e prevenire la deriva disumana nei confronti della vita già in atto nel contesto societario.

-Accompagnamento spirituale. E’ opportuno programmare delle celebrazioni rivolte anche ai famigliari dei malati. Come pure, la “relazione pastorale d’aiuto”, è uno strumento efficace per accompagnare i malati ma anche i famigliari.

La risposta della comunità civile

Famiglia e comunità civile dovrebbero comunicare continuamente e profondamente poichè l’una necessita dell’altra, ma se “svuotiamo” i concetti di “comunità” e di “appartenenza”, menzionati precedentemente, anche la famiglia s’inaridisce e si impoverisce mentre per sostenere le famiglie dei malati è richiesto l’apporto della società civile mediante il potenziamento delle risorse umane, professionali, tecnologiche ed economiche. E’ positivo la costituzione di un contesto societario di “welfare community”, il percorso indicato a livello europeo e recepito, in parte, dalle politiche sociali e della salute dello Stato e delle Regioni, dove l’ integrazione tra pubblico e privato sociale valorizzi i mezzi predisposti per i bisogni di salute, con particolare tutela delle condizioni di maggiore fragilità, nell’ottica della protezione sociale delle situazioni a rischio. Unicamente nella logica di intervento congiunto e sinergico supporteremo malati e famiglie a vivere accettabilmente la malattia e anche la morte.

Non possiamo però scordare che nonostante l’accresciuta cultura del “welfare community” e la presenza di normative a favore delle famiglie dei sofferenti, queste per essere attuate, spesso necessitano il supporto e la pressione di una società civile sensibile, preparata e determinata. Infatti la famiglia, frequentemente, oltre le problematiche del parente malato, deve affrontare come abbiamo già accennato negli “appunti” della scorsa settimana, un tormentato e travagliato percorso per ottenere dalle Istituzioni l’ “l’indispensabile” per cure efficaci e una dignitosa qualità di vita. Code interminabili per accedere alle informazioni, per acquisire ausili o presidi medici, per compilare richieste di invalidità o di accompagnamento, ed incomprensibili lungaggini burocratiche nell’adempimento delle pratiche amministrative. La costosa e dannosa burocrazia, in continuo incremento come precedentemente affermato, è “il muro” contro il quale si scontrano spesso i parenti dei malati che lottano per gravose patologie che, a volte, non concedono tempo. Emblematico fu il caso di Angela (siamo nel 2013), 26 anni di Casal Velino, al quinto mese di gravidanza soffriva soventi dolori alla  testa; la diagnosi fu drammatica: tumore al cervello. Doveva essere operata d’urgenza, oppure sottoporsi a trattamenti chemioterapici e, di conseguenza, interrompere la gravidanza. Immediatamente la giovane donna affermò: “No, non se ne parla. Preferisco morire; non si può chiedere a una madre di salvarsi ammazzando sua figlia”. Angela non si arrese, e dopo varie ricerche scoprì un robot, il “cyberknife”, che eseguiva interventi di radiochirurgia alla clinica “Mater Dei” di Bari. Questa nuova metodologia, già utilizzata in alcuni Paesi, non avrebbe causato danni al feto. Il “cyberknife” è guidato da un computer che orienta alte dosi di radiazioni in modo mirato. Ma, per inspiegabili motivazioni lo strumento, già collaudato, non poteva essere utilizzato. In molti si impegnarono affinchè “cyberknife” potesse salvare Angela e la sua creatura, ma le scusanti burocratiche s’impantanarono nelle secche dell’indolenza. La giovane donna optò di recarsi ad Atene; il trattamento riuscì perfettamente e la piccola Francesca Pia nacque nei tempi stabiliti da una “mamma coraggio”. Quello di Casal Velino, fu un episodio che si concluse positivamente nonostante i vari ostacoli posti da un apparato statale ottuso e perverso, ma, molti sofferenti, sono quotidianamente schiavi di questo “squallido malcostume”.

Conclusione

Le conclusioni di questi “appunti” le lasciamo a papa Francesco che volle dedicare l’Udienza Generale del 10 giugno 2015 alla “Famiglia e malattia”.

“La debolezza e la sofferenza dei nostri affetti più cari e più sacri, possono essere, per i nostri figli e i nostri nipoti, una scuola di vita – è importante educare i figli, i nipoti a capire questa vicinanza nella malattia in famiglia – e lo diventano quando i momenti della malattia sono accompagnati dalla preghiera e dalla vicinanza affettuosa e premurosa dei familiari. La comunità cristiana sa bene che la famiglia, nella prova della malattia, non va lasciata sola. E dobbiamo dire grazie al Signore per quelle belle esperienze di fraternità ecclesiale che aiutano le famiglie ad attraversare il difficile momento del dolore e della sofferenza. Questa vicinanza cristiana, da famiglia a famiglia, è un vero tesoro per la parrocchia; un tesoro di sapienza, che aiuta le famiglie nei momenti difficili e fa capire il Regno di Dio meglio di tanti discorsi”

(Fine settima parte)

 

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