Il NO un anno fa ha vinto. Ora dobbiamo far vincere il nostro Paese

Il No un anno fa ha vinto. Ora dobbiamo far vincere il nostro paese.

La vittoria del No al referendum di un anno fa – era il 4 dicembre del 2016 – va celebrata come merita. Nei libri di storia sarà ricordata come l’evento che ha riaperto i giochi della politica nel nostro paese, evitando che l’Italia si bloccasse definitivamente, irrigidita dentro un sistema di potere pensato per farla diventare una sorta di grande regione rossa, non più contendibile. Insomma una grande Toscana, renziana per i prossimi decenni, con Rignano e Laterina a giocarsela per il ruolo di capitale.

E’ uno scenario paradossale, ma non troppo. Quel referendum doveva essere l’incoronazione definitiva di Re Matteo, con Boschi regina, che con lo stravolgimento della Carta Costituzionale, e soprattutto con la legge elettorale e la riforma parlamentare cucite addosso a sé e al suo Giglio Magico, avrebbe avuto in mano il governo del paese, pur senza avere il consenso elettorale, come le elezioni amministrative di grandi città come Roma e Torino avevano già dimostrato. E un coro impressionante di voci autorevoli lo accompagnava in quella che doveva essere la sua marcia trionfale definitiva. Ricordiamo bene la schiera unanime dei grandi canali televisivi, per non parlare dei giornaloni, tutti rigorosamente per il Sì, e va ricordata la cacciata di Belpietro dalla conduzione di Libero, reo di non voler salire sul carro del vincitore.

Da non dimenticare anche l’intera Confindustria: come ha fatto notare Gianfranco Pasquino ieri su Il Fatto, “l’algoritmo del Centro Studi della Confindustria aveva previsto gravissime conseguenze economiche”, in caso di sconfitta renziana, e in effetti non si capisce in base a quale logica adesso Renzi e i suoi rivendichino la piccola ripresa economica, dopo aver previsto lo sconquasso se avesse vinto il No: che sia stata proprio la vittoria del No ad alimentare la “ripresina”, nonostante Renzi?. Impossibile trascurare, poi, le élite internazionali, dalla Merkel a Obama: da quest’ultimo l’allora Presidente del Consiglio prese in prestito (a caro prezzo, si parlò di una parcella di 400.000 euro, che per una clamorosa sconfitta come è stata non è male) addirittura il consulente, il famoso Jim Messina, che l’Espresso definì “l’uomo dei numeri, della matematica applicata alla politica, lo stratega dei flussi elettorali digitali che grazie ai “big data” dovrebbe condurre Renzi e l’irrequieto vascello del Pd alla vittoria nel referendum”. Talmente certi della vittoria della nuova, gioiosa macchina da guerra, da aver improvvidamente garantito la loro dipartita – politica, ovviamente – in caso di sconfitta.

Contro la presa definitiva di Palazzo Chigi, tutti noi, dal basso e da realtà e appartenenze diverse (quella che Renzi, sprezzante, definì “un’accozzaglia”), ci siamo opposti al suo progetto di conquista del paese. Con pochissimi mezzi economici e mediatici – le imitazioni di Crozza per lungo tempo sono state l’unica voce dissenziente in TV – abbiamo letteralmente costruito la vittoria del No, interpretando, con tutte le nostre differenze, il pensiero e l’orientamento maggioritario del paese, emerso con nettezza con la sberla del 60-40.

Come è stato detto a Modena proprio ieri, alla manifestazione organizzata da Idea-Popolo e Libertà per il primo anniversario di quella vittoria, il trionfo del fronte del No dovrebbe essere bastato a ricordare a molti che la politica non può essere solo trama di potere e non può far a meno delle aggregazioni sociali e dei corpi intermedi. L’importante, adesso, è non perdere l’occasione di trasformare l’esito di quella battaglia in un progetto politico di ampio respiro. “O riusciremo a far questo  – ha detto Gaetano Quagliariello a Modena – oppure potremo anche vincere le elezioni ma avremo perso un’occasione storica e presto ce ne accorgeremmo”.

Dalla sera del 4 dicembre la politica è ripartita. I giochi si sono riaperti, il centro destra si è rivitalizzato, nuovi soggetti si sono formati e stanno ancora prendendo forma, e alle prossime elezioni, nonostante la disperata caparbietà con cui i renziani sono restati abbarbicati alle poltrone del Palazzo e alla gestione del potere, nonostante i limiti della nuova legge elettorale, potremo mettere la parola fine a un periodo e a una legislatura non proprio esaltante per il paese,  e provare a dare vita a qualcosa di nuovo e migliore.

Elena De Giorgio

L’Occidentale, 4 dicembre 2017

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