Tempi.it, 29 agosto 2017

Il padre fuori legge

La figura paterna è osteggiata, combattuta e ridotta a un “ruolo” o a una “funzione”. Ma esiste una forza vitale pronta a risorgere per riguadagnare l’eredità dei propri antenati.

Il maschio-padre è la figura più a rischio nella modernità occidentale. Lo sanno anche i suoi spermatozoi, in rapida diminuzione. Con il padre, inevitabilmente, sono a rischio la madre, e, moltissimo, i figli: la riproduzione della specie. Quindi anche ogni eredità: genetica, patrimoniale, spirituale. Il patrimonio (munus patris, dono del padre), è da reinventare.

Questo impoverimento antropologico venne descritto all’inizio degli anni 60 del secolo scorso dallo psichiatra tedesco Alexander Mitscherlich nel libro Società senza padri. Un contributo alla psicologia sociale, poi tradotto negli Usa e in tutto il mondo con enorme e inaspettato successo. Un testo profetico, che per primo puntigliosamente documentò la società senza padri dell’Occidente, solo più tardi ammessa da tutti. Tuttavia oggi chi volesse leggerlo non lo troverà pubblicato né da Feltrinelli, il suo primo editore (Giangiacomo era inquieto, ma informato), né da altri.

La questione paterna, quella vera, non la soap opera del mainstream, continua infatti ad essere tabù. Quella del padre non fu in nulla quell’evaporazione, oggi eufemisticamente raccontata dai media del potere. Il padre non è un liquido che evapora col calore. La paternità, anche se comincia con lo sperma, si incarna rapidamente e diventa presto forma di vita. Non stile di vita, espressione oggi molto amata, perché si può assumere o smettere secondo mode e desideri. È proprio una forma, vivente, nella quale si costituisce la personalità e si svolge l’esistenza della persona.

Certo, l’uomo, e il maschio, pur nella sua elettiva divinità, è un essere imperfetto e quindi la paternità (come la maternità) viene poi vissuta in modo più o meno adeguato ai suoi alti e vitali scopi. Non è però evaporabile, ma inesorabilmente destinata ad incidersi in profondità nell’esistenza dei padri, figli, madri, e di tutta la società che ha l’importante compito di continuare, evitandone il dissolvimento.

Proprio per questo, l’essere padri comportò sempre rischi e fatiche, e più volte ci fu chi provò a smettere. In epoca classica a Roma diminuirono le nascite e i matrimoni e i cittadini romani preferivano adottare schiavi stranieri invece di prendersi la responsabilità di generare e curare i propri figli. Intervenne Cesare Augusto con le sue Leges Iuliae sulla famiglia, incentivando il matrimonio, la natalità, i costumi tradizionali (mos maiorum). La decadenza rallentò. Gradualmente ripresero le nascite, in particolare nelle coppie ebree e cristiane, devote alla donna e impegnate nella cura e formazione dei figli, definiti “benedizione” dal loro Dio. Il risultato fu che l’impero non si estinse e cristianesimo e mos maiorum, ripristinati dal ritorno dei padri, diedero all’Impero altri quattro secoli di vita.

Anche oggi i padri non si sono liquefatti né evaporati. Sono piuttosto stati messi fuorilegge. Ma perché l’Occidente ha mosso dal secondo dopoguerra questa dissimulata ma implacabile guerra ai padri (ed ora alle madri, come mostrano fenomeni trash come l’istituzionalizzazione di vendita e l’affitto degli organi femminili)? Il fatto è che le caratteristiche specifiche del maschile e della paternità (ma oggi anche della femminilità) davano e danno fastidio, perché contrarie alle caratteristiche e interessi del sistema stesso. Che ha da tempo abbandonato le qualità paterne di creazione, iniziativa e azione per diventare, in tutto l’Occidente, un potere essenzialmente burocratico, come Max Weber aveva previsto già dai suoi studi dell’inizio Novecento sulla degenerazione funzionariale e materialista dello spirito del capitalismo.

Bombardamenti anni Settanta Se il dio è la tecnica, la cosa più importante diventa far funzionare le macchine, non creare altri esseri umani. I quali dovranno ognuno stare nel loro ruolo: come appunto i padri, citati solo in quanto portatori di un “ruolo”. Come fosse una parte a teatro, non la vita. Nella burocrazia, e nella visione recitativa della vita che ad essa si ispira, la funzione, con le sue forme (a cominciare dal controllo) e privilegi, primeggiano sulla vocazione, sul Beruf e la chiamata divina che esso contiene, e ne spengono la forza, inquietante e sovrarazionale. Ormai inaccettabile nella società burocratica e pressoché completamente secolarizzata come appunto era quella Occidentale dagli anni Sessanta ai Novanta. Gli stessi anni in cui, secondo tutti gli studi, la secolarizzazione ormai stanca entrò invece in crisi in tutto il resto del mondo, cominciando con l’esplosione dell’Urss. La burocrazia del potere europeo reagì colpendo la sua storica nemica: la famiglia, luogo non di funzioni amministrative, ma della più preziosa formazione della personalità.

Il padre, come scriveva Charles Péguy, fu l’ultimo avventuriero della modernità, e continuò ad esserlo malgrado la diffidenza burocratica. Attraversò con perdite umane importanti i bombardamenti legislativi degli anni Settanta. L’aborto, che nella versione italiana non previde neppure qualcuno ad ascoltare la testimonianza paterna – per accoglierla senza alcun effetto vincolante. Il divorzio, applicato per quarant’anni con un’interpretazione ideologicamente antipaterna, fece dei padri la categoria emergente tra i nuovi poveri dell’inizio millennio. Ma soprattutto portò ferite profonde nell’animo dei figli coinvolti, trasformati di fatto dal giudice in orfani di padre. Il tutto salutato dal mainstream come una nuova conferma delle inarrestabili meraviglie del progresso.

Spinte egoistiche I fondatori della sociologia e della storiografia moderna, Emile Durkheim e Marc Bloch, ci invitano però a: «prima di tutto vedere il passato… per riconoscere le cause e l’eventuale ripetersi dei comportamenti». Se ne seguiamo il consiglio vediamo allora che non è la prima volta che gli Stati per rafforzarsi se la prendono con la famiglia, che è lì da secoli prima di loro. Il potere rivoluzionario francese, ad esempio, considerò i legami famigliari come nemici della libertà dell’individuo. Dopo il 1789 in pochissimo tempo si varò il divorzio, l’abolizione della patria potestà e di quella maritale, la promozione delle nascite libere e dell’adozione. Si pensò che la famiglia stesse per estinguersi. Solo dodici anni dopo però, nel 1801, il presidente del Consiglio di Stato francese, aprendo i lavori da cui sarebbe nato il Codice civile napoleonico, riconobbe che «le leggi rivoluzionarie avevano distrutto la famiglia». Con il Codice civile, queste riforme famigliari della Rivoluzione vennero abrogate, le norme precedenti quasi del tutto ripristinate, e rimasero in vigore fino a ieri: gli anni Settanta del 1900.

Ogni volta che le spinte più egoistiche e avverse al dono di sé arrivano al punto di spegnere le nuove vite e mettere a rischio la continuazione dell’umanità, la spinta vitale del mondo reagisce tornando a premiare i veri grandi avventurieri, i padri e le madri, pronti a giocare la propria vita per il sorriso di un bambino che viene dall’alto. Riguadagnando così l’eredità di forza, amore e disciplina dei loro padri e antenati.

Claudio Risè

 

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