Il procacciatore. Gene Gnocchi: ritrovare quel tempo interiori che ci rende unici

IL PROCACCIATORE/ Gene Gnocchi: ritrovare quel tempo interiore che ci rende unici

Esordisce il 29 novembre al Teatro Parenti di Milano il nuovo spettacolo teatrale di GENE GNOCCHI “Il procacciatore”. Ne abbiamo parlato con lui.

“Indeciso se guardare Mastrotta che vende pentole, e Renzi che vende fumo, il protagonista sceglie il secondo e ne segue l’esempio: diventa ‘procacciatore di speranza'”: così Gene Gnocchi spiega il suo nuovo spettacolo teatrale intitolato appunto Il procacciatore, in scena a Milano dal 29 novembre al 3 dicembre al Teatro Parenti e poi nel resto d’Italia. Una storia, dice, che mette in primo piano tutti quegli imbonitori del giorno d’oggi che dalla politica alla medicina cercano di venderci speranza con le chiacchiere: “l’unica via di salvezza che ci rimane in questo momento contorto: perseguire in modo sistematico la deficienza”. Non solo: lo spettacolo è anche una accusa a quella tecnologia che ormai domina le nostre vite: “Una volta possedevamo lo smartphone, adesso è lui che ci possiede dettandoci i tempi della vita”. Come difendersi? “Ognuno deve impegnarsi a ritrovare il proprio spazio interiore e quei ritmi biologici che, a differenza della tecnologia che ci vuole tutti uguali, ci rendono uno diverso dall’altro”.

Il venditore che fa uso delle slide per “vendere” le sue speranze richiama subito alla mente un noto politico italiano, ex capo del governo. Ogni riferimento è puramente casuale?

Assolutamente no, l’uso delle slide è mutuato proprio da lui. All’inizio il protagonista è indeciso se guardare Mastrotta che vende le pentole o Renzi che vende fumo e decide di seguire l’esempio di quest’ultimo

Non solo i politici, viviamo in un momento storico in cui tutti cercano di affibbiarci speranze a basso costo, senza che ci si interroghi sul loro valore, è così?

Certamente, siamo in un periodo in cui tutti ci vendono il miracolo, la ricetta, è tutto un vendere qualcosa. Il protagonista dello spettacolo è proprio un personaggio che fa questo tipo di operazione: vendere una speranza. niente di più di tutti gli imbonitori che vediamo passare in tv, dalla politica alla medicina. E’ il prototipo dell’imbonitore.

C’è poi l’aspetto tecnologico, lui fa uso di una app per manovrare le slide ma qualcosa va storto.

Sì, deve tenere acceso il telefonino perché per manovrare le slide ha bisogno di una app che a un certo punto si mette ad andare per conto suo e comincia a inviare sulle slide i suoi sms privati e personali. Fino a quel momento la conferenza sembrava andare liscia poi succede questo patatrac e deve cercare in tutti i modi di tamponare questa situazione che mette in pubblico le sue faccende private.

E’ un attacco a questo mondo tecnologico che ormai si è impadronito delle nostre vite?

Sì, è un riferimento esplicito a questo mondo. Una volta possedevamo lo smartphone adesso ne siamo posseduti. E’ lui che guida la nostra giornata e detta i nostri tempi. C’è dunque l’aspetto dell’imbonitore e quello ormai palese della schiavitù data dalla tecnologia.

Senza spoilerare il finale, alla fine arriva un messaggio di speranza vera, non quella dell’imbonitore?

La speranza è ritrovare il proprio tempo interiore. La tecnologia ci pone un tempo standard uguale per tutti ma noi abbiamo tempi biologici diversi, dobbiamo ritrovare questo tempo interiore che ci rende diversi uno dall’altro e non standardizzati.

Magari noi che siamo cresciuti in una era pre tecnologica riusciamo a farlo, ma i nostri figli che sono usciti dal grembo materno con un iPad tra i pannolini non ti sembra siano completamente divorati da questa tecnologia invadente?

Assolutamente sì io però ho fiducia. In realtà non esiste una etica della tecnologia, bisognerebbe recuperare questa dimensione umana attraverso i maestri, fidarsi degli anziani. Io ho avuto sempre grande rispetto per chi aveva vissuto più di me, mi hanno consigliato e lo hanno fatto bene. Il giovane dovrebbe affidarsi di più all’adulto. Ai miei figli ho sempre consigliato, mai imposto,  cose che per me sono state fondamentali. Dando questi consigli si  è creato un rapporto senza barriere. Io non mi sento escluso dal loro mondo, ci sono punti di contatto molto belli.

Forse la colpa è di tanti adulti che si arrendono davanti a questa invasione.

Quello è il problema, non bisogna arrendersi.

Recentemente in una intervista hai detto che bisogna stare attaccati alle piccole cose della vita: quali sono per te?

Tutte le piccole cose sono grandi cose. Ad esempio giocare a calcio la domenica mattina con gli amici è impagabile, oppure mia figlia che gioca con me allo squalo è un mondo che si apre, è la felicità.

Paolo Vites

Il Sussidiario.net, 29 novembre 2017

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