MOSTRUOSO E’ “L’AMORE” CHE UCCIDE (2). Eutanasia: “Tradimento” della professione medica

MOSTRUOSO E ‘L’AMORE’ CHE UCCIDE (2)

Eutanasia: “Tradimento” della professione medica.

Da pochi mesi è morto mio marito; 47 anni, ucciso in breve tempo da un pauroso tumore  allo stomaco. L’ho sempre assistito con premuroso amore, ma nelle ultime settimane, travolto da dolori atroci, mi ha chiesto più volte di farlo morire. Se avessi avuto più coraggio l’avrei fatto perché anch’io non riuscivo più a supportare quella situazione. Peccato che in Italia non ci sia l’eutanasia. Anche se sono cattolica, mi chiedo perché non esaudire una richiesta comune del malato e dei famigliari? Gabriella.

Esprimo profonda solidarietà e comprensione umana a Gabriella, e rispondo agli interrogativi posti continuando la trattazione sull’eutanasia iniziata la scorsa settimana.

3. Rapporto medico-paziente.

La legittimazione dell’eutanasia comprometterebbe irreparabilmente “la fiducia”, caratteristica essenziale del rapporto medico-paziente. L’approvazione dell’eutanasia introdurrebbe in questa relazione consistenti sospetti e diffidenze.

 4. Tradimento della professione sanitaria.

Con il “Giuramento di Ippocrate”, il medico giura di operare per “il maggior interesse del paziente”, come pure “di perseguire la difesa della vita, la tutela fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza” (cfr.: FNOMCeO, 2007) cui orienterà “con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni atto professionale” (cfr.: FNOMCeO, 2007). L’eutanasia è in “totale opposizione” agli obblighi deontologici e con il vertice dei principi etici in sanità che racchiude la finalità primaria della professione medica: il “principio di beneficenza” (o beneficialità). Dovere prioritario del medico è promuovere “il bene del paziente”, e anche in termini di “contratto societario”, la collettività demanda al medico unicamente il compito di “assistere” e di “curare”. L’eutanasia trasformerebbe il sanitario da “servitore della vita” a “collaboratore della morte”, attribuendosi un ruolo improprio.

 5. Le attese del malato.

La maggioranza dei medici che operano in reparti di oncologia o in hospice, e anche la nostra esperienza professionale, testimoniano la “faziosità” e la “falsità” della motivazione principale evidenziata nella richiesta di una legge che liberalizzi l’eutanasia: “il desiderio del malato terminale”, trasformando, indegnamente, questo argomento in terreno di scontro politico e ideologico. Anche la supplica di alcuni pazienti: “fatemi morire”, espressa in momenti di dispera­zione o in  situazioni di solitudine contiene, implicitamente, “un’invocazione d’aiuto” più che un desiderio di morte. Significa: “Occupatevi di me e alleviate il mio dolore, perché non ce la faccio più!”. Quando al malato terminale si offrono un’autentica vicinanza e un valido supporto terapeutico accompagnandolo fino alla morte, la richiesta di eutanasia scompare. Interessante è questa osservazione del giurista Gambino citato la scorsa settimana: “Diverso è, invece, quando il malato opta per la scelta eutanasica per motivi esistenziali. Qui ci troviamo davanti ad una drammatica sconfitta dello Stato e della Chiesa, intesi come comunità di credenti e non credenti, che non hanno saputo dare risposte ad una richiesta di senso per la propria esistenza”[1].

 6. Le motivazioni dei famigliari

Accompagnare un famigliare nel periodo terminale della vita affinchè “muoia con dignità” è un atto d’autentico amore! Questa visione si scontra con quella dei fautori dell’eutanasia che la giustificano, travisando vergognosamente il ”morire con dignità”, insinuando nei famigliari il dubbio che procurare la morte del loro caro sia una modalità eccellente per “mostrare affetto e amorevolezza”. Per questo, a volte, implorano con insistenza i medici affinché: “il loro caro non soffra più”. E così, l’eutanasia, si trasforma in una “battaglia” dei sani. Non possiamo scordare, inoltre, che questo atteggiamento è determinato anche dall’angoscia che alcune patologie provocano nei fa­migliari. Di conseguenza, possiamo dedurre, che l’eutanasia è spesso “la tentazione dei sani” che temono il confronto con la propria sofferenza e la propria morte per liberarsi anticipatamente da un dolore che li coinvolge immensamente. Ma “eliminare il malato” non è la modalità migliore per rimuovere la propria sofferenza, ma unicamente l’escamotage per evitare il confronto con la propria condizione umana. Se il dolore e lo sconforto sono ovvi, è incomprensibile “una scelta di morte” per sbarazzarsi velocemente “da qualcosa” che invece è “qualcuno”.

7. L’errato esercizio della libertà

Per F. D’Agostino: “Praticare l’eutanasia non è rendere omaggio alla libera volontà di una persona che chiede di essere aiutata a morire, ma sanzionare quello stato di abbandono morale e sociale, che si avrebbe il dovere – sia da parte delle istituzioni che da parte di tutti gli individui di buona volontà – di combattere strenuamente”[2]. L’eutanasia potrebbe trasformarsi anche in una formidabile “pressione” sul malato che è “libero” solo formalmente poiché sta vivendo una condizione di “totale fragilità” psicologica, emotiva ed esistenziale. Si pensi, esempio, alle sollecitazioni che potrebbero essere esercitare sugli anziani, sui depressi e sui disabili, facendogli “pesare” i loro costi per la società. Nel maggio 2015, una coppia belga di quasi novantenni, Francois (anni 89) e Anne (anni 86), dopo 63 anni di matrimonio decisero di darsi insieme una “buona morte preventiva” per “paura del futuro” dopo aver salutato famigliari e amici. Così commentò la morte dei genitori uno dei tre figli: “Capisco perfettamente l’atteggiamento dei miei genitori. Li sostengo, sia per loro che per noi, loro figli, questa è la soluzione migliore. Se uno di loro dovesse morire, chi resta sarebbe così triste e totalmente dipendente da noi” (Dal sito internet: Moustique Magazine). Casi similari non sono nuovi; sempre in Belgio nel 2012 due gemelli di 45 anni, sordi dalla nascita, ottennero di essere uccisi dopo aver appreso che sarebbero diventati ciechi. Nessuno dei due aveva altri problemi fisici; domandarono l’eutanasia poiché non tolleravano l’idea di non vedersi. Anche in Olanda, Gaby Olthuis, mamma di due figli di 13 e 15 anni, clarinettista in carriera e ammalata di “Acufene”, un disturbo uditivo che consiste nella percezione di rumori, suoni, fischi e ronzii, ottenne la “dolce morte”.

 INTERVISTA A T. BOER: “NON FATE IL NOSTRO ERRORE”

T. Boer, docente all’università di Utrecht, convinto sostenitore della “dolce morte”, membro della “Commissione per l’eutanasia” in Olanda, oggi però si è dissociato e lancia in un’ intervista un appello: “non fate il nostro errore”.

D. “Nel 2001 l’Olanda ha approvato la legge sull’eutanasia. Com’è cominciato il dibattito e con quali argomentazioni la legge fu accettata?

Il dibattito cominciò alla fine degli anni Sessanta. L’influente psichiatra Jan Hendrik van den Berg sosteneva che i medici infliggessero grandi pene ai loro pazienti accanendosi continuamente nelle cure e che, invece, fosse necessario che prendessero coraggio per porre fine alle loro vite. All’inizio, l’eutanasia era considerata prevalentemente un “omicidio per pietà”. Negli anni Ottanta, poi, decidemmo che l’eutanasia, per definizione, dovesse avvenire su richiesta. L’omicidio di pazienti non capaci di intendere e volere, concordavano tutti, non era prudente. Si decise che, se i dottori avessero rispettato certi criteri, non avrebbero potuto essere perseguiti per il reato di eutanasia. I criteri erano che il paziente fosse capace di intendere e volere e che ne facesse richiesta, che la sofferenza fosse insopportabile e senza prospettive di miglioramento, che non ci fossero alternative e che venisse consultato un secondo medico. Per questo fu istituita nel 1998 una Commissione di controllo dell’eutanasia. Dal 2002 abbiamo una legge basata sugli stessi criteri e che si appoggia alla Commissione. Ho fatto parte di una di queste commissioni per più di nove anni.

D. Chi si opponeva alla legge, cosa sosteneva?

Dicevano che l’Olanda si sarebbe trovata su un pericoloso piano inclinato. E che bisognava migliorare le cure palliative. Sopratutto sostenevano che per principio una società non potesse occuparsi dell’uccisione organizzata dei suoi cittadini. Coloro che, come me, appoggiavano la legge sull’eutanasia, argomentavano parlando di pietà, di autonomia e di libertà individuale. Con il senno di poi, dico che ci sbagliavamo. L’eutanasia è diventata sempre più normale e diffusa (i numeri sono cresciuti da 1.800 a 5.500) e molti altri tipi di sofferenza, sopratutto esistenziale, sociale e psichiatrica, sono diventati motivo sufficienti per richiedere l’eutanasia.

D.Può descrivere gli effetti che questa legislazione ha avuto sulla società sia in termini numerici sia culturali?

In Olanda la legge sul “suicidio assistito” non ha chiuso la lunga discussione in merito; anzi, ne ha fatta cominciare un’altra. I sostenitori della libertà illimitata hanno visto la norma del 2001 come un trampolino di lancio verso diritti ancora più radicali. In effetti, la legge ha formato una sua propria realtà. Sempre più spesso la morte è contemplata come l’ultimo rimedio a qualsiasi forma di sofferenza grave, fisica, psicologica, sociale o spirituale. E nonostante il secolarismo spinto, molti sono convinti che l’eutanasia sia il passaggio a una vita migliore. Credo che questo sia un errore terribile. Innanzitutto, la decisione di uccidere qualcuno è la decisione di porre fine a un’esistenza. Si può sperare nell’aldilà, ma credo che dovremmo agire come se la nostra vita sulla terra fosse l’ultima che abbiamo. E credo che la decisione sull’eutanasia non possa essere definita una decisione “autonoma”. È autonoma tanto quanto il voto per un dittatore.

D.In questi anni si hanno avuto notizie di persone che hanno avuto accesso all’eutanasia anche se erano solo depresse. Si hanno notizie anche di famiglie intere che hanno “salutato” i propri cari con festicciole.

Anche se occasionalmente, è vero accade anche questo. Anche se la maggioranza dei pazienti e dei medici vedono ancora l’eutanasia come una scelta tragica ed eccezionale, io critico questi sviluppi.

D.Oramai sembrano essere saltati tutti i paletti.

Non tutti i paletti sono ancora saltati. La situazione è però complicata.

Primo. Credo che l’Olanda abbia fatto un errore nella legge sull’eutanasia: alcuni criteri furono presupposti in maniera implicita. Ad esempio, la “sofferenza insopportabile” fu un criterio, ma non fu specificato cosa si intendesse. Molte persone negli anni Novanta erano convinte che si parlasse di un contesto legato alla malattia terminale. In realtà, però, ogni paziente oggi può ottenere l’eutanasia. Stando letteralmente alla legge non devi essere nemmeno malato.

Secondo. All’inizio si stabilì anche che la dolce morte fosse permessa solo all’interno del rapporto medico-paziente, ma anche questo non fu specificato. Di conseguenza ora esiste addirittura un’organizzazione di dottori dell’eutanasia a domicilio (“Clinica di fine vita”) che “aiuta” ogni anno centinaia di persone a morire.

D. L’ Associazione dei pediatri olandesi auspica la legalizzazione dell’eutanasia anche per i minori di 12 anni.

Siamo davanti a un altro sviluppo preoccupante. L’Associazione dei pediatri olandesi ha rilasciato una dichiarazione in cui appoggia la possibilità dell’eutanasia per i bambini di età compresa fra gli 1 e 12 anni. Mentre l’eutanasia per i maggiori di 12 anni è legale sin dall’inizio. Anche se su 35 mila morti contati dal 2002 solo uno aveva 12 anni e quattro 17. In altre parole: chiedere l’eutanasia per i minori di 12 anni è un fatto meramente simbolico. Quello che temo è che se anche questa proposta venisse accettata si aprirebbero le porte all’eutanasia per un altro e più grande gruppo di pazienti incapaci di intendere e di volere: adulti gravemente handicappati e malati di Alzheimer.

D. Pare davvero, come sostenne Oriana Fallaci, che l’Occidente sia più innamorato della morte che della vita e quindi della tolleranza individualista che del sacrificio caritatevole. Non le mancano i segni della carità?

Sì, mi mancano molto quei segni. La nostra società sottolinea così tanto la necessità dell’autonomia e dell’indipendenza, spingendo, ad esempio, ogni adulto sano ad entrare nel mercato del lavoro, che il risultato è spesso la grande solitudine di molti anziani. I loro figli, magari, li visitano una volta alla settimana o mensilmente o se ne prendono cura per alcune settimane, ma non possono offrire loro tutte le cure e le attenzioni di cui hanno bisogno. In ultima analisi, credo che il problema dell’eutanasia in Olanda sia in parte un conflitto intergenerazionale. Ciò spiega perché si riscontra difficilmente l’eutanasia nella popolazione immigrata che ha una coesione sociale maggiore.

D.Cosa direbbe oggi alle persone che in Italia, come avvenne nel suo paese quindici anni fa, chiedono la legalizzazione dell’eutanasia?

In una situazione in cui un numero crescente di persone soffre di solitudine, si potrebbe vedere l’eutanasia come la migliore soluzione ad essa. L’opzione dell’eutanasia può distogliere la nostra attenzione dalla ricerca delle alternative. L’eutanasia e il suicidio assistito sono legati alla libertà dell’individuo, ma si tratta anche di un evento sociale. L’omicidio di una persona ha conseguenze anche sulla vita degli altri! La morte assistita può spingere altri a richiederla. La sola offerta dell’eutanasia crea la sua domanda”[3].

CONCLUSIONE

Che l’eutanasia possa anche in Italia divenire legge in un futuro prossimo, più vicino di quello che riteniamo non è da escludere, anzi, è probabile. Questo è prevedibile da anni, poichè se oggi è soppresso il bambino non ancora nato, appare logica anche l’uccisione del nato con menomazioni, oppure l’affetto da malattia terminale o l’anziano nel periodo di una vecchiaia ritenuta inutile e costosa. Domani potrebbe essere il turno del malato terminale, dopo domani del portatore d’handicap…, ingenerando in molti l’ incubo di essere ascritti in questa lista di “condannati a morte”. Ricordava il cardinale E. Sgreccia: “Quando si apre una porta, anche poco, si accetta l’idea che si spalanchi sempre di più. È un’illusione pensare di poter limitare l’eutanasia o il suicidio assistito entro confini rigidi, controllando la pratica[4].

 [1] Intervista rilasciata a Zenit.org, op. cit.

[2] F. D’Agostino – L. Palazzani, Bioetica. Nozioni fondamentali, La Scuola, Torino 2013, pg. 207.

[3] Intervista di Benedetta Frigerio, Tempi.it, 1 luglio 2015.

[4] Tempi.it, 11 luglio 2014.

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