POVERA ITALIA, SENZA FIGLI

Una nazione che non mobilita le energie per infondere fiducia nei cittadini ad investire a favore della vita, è destinata ad un lento ma inesorabile declino. Perciò il basso tasso di natalità che si registra nel contesto italiano è un gravissimo problema politico e sociale.

DONNE PENALIZZATE PER LA MATERNITA’

La “festa del lavoro” del 1 maggio mi suggerisce due riflessioni concatenate: il basso tasso di natalità del nostro Paese e la condizione di molte donne lavoratrici a seguito di una maternità, avendo appena raccolto l’amaro sfogo di una donna che era “in carriera”. Trentacinque anni, plurilaureata e specializzata, con conoscenza di tre lingue straniere. Ora, dopo la terza maternità, la sua carriera è praticamente finita. Mi dice: “Improvvisamente sono diventata inaffidabile e incapace, eppure nessuno mi aveva mai mosso critiche prima della maternità”. E prosegue: “Cosa faccio adesso? La tappezzeria in ufficio! Mi ignorano, mi levano il lavoro, alcune colleghe neppure mi rivolgono la parola”.

Perchè? Ha osato procreare ancora anzichè concentrarsi sul “bene” dell’azienda; si è permessa di mostrare che “lavora per vivere” e non “vive per lavorare”. Ha osato assentarsi per maternità, pur sapendo che il suo lavoro sarebbe stato distribuito alle colleghe con un sovraccarico per le altre. E le colleghe, anzichè capire la sua condizione, danno addosso alla “irresponsabile”.

Sono molteplici i casi di donne che non vengono assunte poichè gravide o perchè giovani spose e, quindi, potenziali mamme a breve. Per molti imprenditori o dirigenti, sia maschi che femmine, le lavoratrici è meglio che non procreino. Al massimo possono avere un figlio tra il termine degli studi e la prima occupazione; se ne mettono al mondo due, per non parlare di tre, corrono dei seri rischi professionali. Non a caso, l’Italia, possiede nei confronti dei Paesi occidentali, il poco invidiabile primato delle natalità “più tardive”, con una media di 5 bambini partoriti da donne “over 40” ogni 100 nascite. Ma rimandare la maternità incrementa biologicamente l’infertilità, diminuisce le possibilità di rimanere gravide e alimenta il business delle cliniche private

Oltre il venti per cento delle telefonate che giungono al “Centro Donna” della Camera del Lavoro riguardano le difficoltà di reinserimento nel mondo occupazionale dopo la gravidanza. Afferma una responsabile: “In alcuni casi non vengono concesse le aspettative perchè si discute sull’interpretazione della legge; in altri si fatica molto prima di poter ottenere il part-time, ma, soprattutto, ascoltiamo le denunce di donne che, dopo il parto, vengono discriminate malgrado siano più scolarizzate e più motivate dei loro colleghi uomini”. A questi problemi vanno aggiunti quelli di sempre: i costi, trovare l’asilo, la tata…

 Ma, l’apertura alla vita è basilare per la società; il basso tasso di natalità del nostro Paese è un problema politico e sociale oltre un indice negativo della qualità di vita dell’Italia. Una Nazione che non mobilita le energie per infondere fiducia nei cittadini ad investire a favore dei figli, è destinata ad un lento ma inesorabile declino.

 ALCUNI DATI

In Italia, nel 2014, si è toccato il minimo storico di nascite: appena 514mila; 12mila in meno rispetto al 2013 che già aveva avuto una diminuzione di 6milà bebè rispetto al 2012. Un numero che impressiona maggiormente se consideriamo che nel 1964 nacquero circa il doppio dei bambini del 2014. E l’ecatombe non sembra arrestarsi, poichè dai dati dei primi mesi del 2015 rischiamo di andare sotto la soglia dell’anno precedente.

L’indice di natalità per donna in età fertile nel nostro Paese è del 1,27%, mentre per un corretto equilibrio della popolazione occorrerebbe una crescita minima del 2,1 %. In rapporto alle nazioni occidentali il nostro Paese ha la fecondità più bassa. E il fenomeno, iniziato negli anni ’70 del secolo scorso, avrà preoccupanti ripercussioni nel futuro intergenerazionale ed economico. Dai calcoli statistici si ipotizza che nel 2020 l’indice di vecchiaia, cioè il rapporto percentuale tra le persone ultrasettantacinquenni ed i giovani sotto i quindici anni, supererà il 120%. Si comprende la gravità del dato esaminando i risultati dei censimenti passati: la percentuale del rapporto nel 1951 era del 40%, nel 1991 del 80% e nel 2001 del 91% e nel 2010 del 99%.

 IL XXI SECOLO SARA’ QUELLO “DELL’INVECCHIAMENTO”

Mentre il secolo XX fu caratterizzato dal “baby boom” nonostante la recessione economica degli anni Trenta e la guerra mondiale, il XXI sarà distinto dell’invecchiamento della popolazione poiché lo standard prevalente delle famiglie è “il figlio unico”, e ciò provocherà una catastrofe nella maggioranza delle famiglie che non riusciranno a soddisfare i bisogni che nasceranno nella stessa; pensiamo, ad esempio, alla gestione dei genitori anziani nelle famiglie mononucleali. Anche il sistema sanitario, faticherà a rispondere efficacemente alle richieste della popolazione anziana, maggiormente soggetta alla malattia e, in molti casi, affetta da polipatologie cronico-degenerative, bisognosa di farmaci, d’indagini diagnostiche e di ricoveri frequenti.

Non parliamo del settore previdenziale e pensionistico che si sfascerà…; e allora “addio” alla pensione cari vent’enni, trentenni, quarantenni e cinquantenni.

La velocità dell’invecchiamento della popolazione, l’ampiezza dei problemi connessi, l’incapacità a livello politico e culturale dell’analisi dei dati e della programmazione delle soluzioni e la rigidità sociale, stanno trasformando l’aspetto demografico in un drammatico problema di cui purtroppo, pochi, si rendono conto. E anche la famosa alta fecondità degli immigrati, su cui si contava, è ormai un mito, considerato che nell’arco di appena cinque anni il numero di figli per donna fra le straniere residenti in Italia è sceso da 2,5% a 2,1%.

CI RENDIAMO CONTO DELLA GRAVITA’ DEL PROBLEMA?

Non si tratta di essere credenti o atei, favorevoli alla Chiesa cattolica che difende la famiglia e la vita nascente o laicisti che la tacciono di ingerenza; qui basta leggere con onestà intelletuale ed obiettività dei dati.

Aveva ragione Benedetto XVI quando affermava: “C’è una strana mancanza di voglia di futuro. I figli, che sono il futuro, vengono visti come una minaccia per il presente. Non vengono sentiti come speranza, bensì come limitazione. Il confronto con l’Impero Romano, al tramonto si impone: esso funzionava ancora come grande cornice storica, ma in pratica viveva già di quei modelli che dovevano dissolverlo, aveva esaurito la sua energia vitale” (M. PERA – J. RATZINGER, Senza radici, Mondadori, Milano 2004, pg. 60).

 E LA POLITICA DOV’E’?

Mentre in Italia continua la politica del “non sostegno alle famiglie con figli”, in altri Stati europei più progettuali di noi, la situazione è totalmente diversa approvando provvedimenti che noi neppure ci sogniamo. Caso emblematico del disinteresse della politica fu l’inserimento nella legge finanziaria presentata dal governo presieduto da R. Prodi nel 2007, di un ticket di 10 euro per le visite specialistiche in gravidanza, tassando pure la maternità.

Ma anche il caro Renzi e la sua maggioranza, affaccendati nello sfasciare le famiglie e nel promuovere leggi inutili e dannose: quella sul divorzio breve, il ddl Cirinnà sulle unioni civili gay equiparate al matrimonio, il ddl Scalfarotto cosiddetto “antiomofobia”, il ddl Fedeli sull’ideologia gender nelle scuole e il ddl di iniziativa popolare del partito radicale sull’eutanasia, scusate il termine “non carino”, se ne “strafottono” della natalità. Così ha twittato il premier: “Il divorzio breve è legge. Un altro impegno mantenuto. Avanti, è #lavoltabuona”. Complimenti!

UNA CONCLUSIONE AMARA

Siamo ad un bivio: invertire questa tendenza affinchè la nostra Nazione abbia un domani,  oppure addentrarci in un crinale di morte senza ritorno. Si chiedevano i Vescovi Italiani nel Messaggio per la 37° Giornata Nazionale della Vita” (1 febbraio 2015): “i bambini che nascono oggi, sempre meno, si ritroveranno ad essere come la punta di una piramide sociale rovesciata, portando su di loro il peso schiacciante delle generazioni precedenti. Incalzante, dunque, diventa la domanda: che mondo lasceremo ai figli, ma anche a quali figli lasceremo il mondo?”.

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