VERSO LE ELEZIONI EUROPEE… COME ORIENTARCI?

Tra pochi giorni saremo chiamati a votare i nostri rappresentanti presso il Parlamento dell’Unione Europea di Strasburgo.

La campagna elettorale non ci è di aiuto nella scelta, infatti molti l’hanno ridotta, puntando sull’incompetenza e sull’ignoranza delle persone, a un referendum “pro” o “contro” l’euro che negli ultimi anni, a seguito della crisi economica mondiale e di congiunture negative, ha esasperato tanti e ridotto in povertà molti anche a causa di sorveglianze omesse e della furbizia di approfittatori. Da un punto di vista economico l’euro ha i suoi benefici e i suoi costi; purtroppo i vari governi non sono riusciti a sfruttare i benefici e a limitarne i costi.

E la crisi economica italiana è imputabile solo in parte all’euro essendo causata in larga misura da decenni di crescita rallentata dovuta anche al fenomeno demografico della scarsa natalità e alla dissennata gestione della finanza pubblica sia da parte di governi a guida centro-destra che centro-sinistra. Non essendo un economista, e continuando a leggere opinioni nettamente opposte tra coloro che sono favorevoli 1che l’euro rimanga la nostra moneta e chi vorrebbero ritornare alla vecchia lira, non esprimo nessun parere anche se è auspicabile l’applicazione di nuove regole che incrementino la crescita economica e diminuiscano o annullino la perdita del nostro potere d’acquisto. Una cosa, però, è certa: scegliere il futuro della “moneta unica” sul quesito “euro sì o euro no” è la metodologia peggiore da utilizzare. (Rimando per un approfondimento della tematica all’articolo “Uscire dall’euro è una proposta impossibile” di Gianfranco Fabi che è posto come allegato di questa Pillola di saggezza”).

Ma limitare l’Unione Europea ad una questione economica è distruggere l’illuminante progetto di “politici lungimiranti” (purtroppo oggi sembrano spariti) che fin dagli anni ’50 del ventesimo secolo avevano progettato al termine di due guerre mondiali che provocarono più di 80mila morti, un Organismo che garantisse la pace, lo sviluppo e la solidarietà tra i Paesi europei.

Per quanto riguarda la pace, l’obiettivo è stato pienamente raggiunto; è da settant’anni che in Europa non ci sono guerre, fatto mai avvenuto nella storia europea dell’epoca moderna. Mentre degli obiettivi dello sviluppo, e soprattutto della solidarietà, si sono quasi perse le tracce avendo voluto puntare prevalentemente sull’aspetto economico che ha messo a dura prova le relazioni tra gli Stati membri. Si è tralasciata la condivisione dei principi e dei valori su tematiche di ampia 1rilevanza sociale: dalla difesa della vita umana dal concepimento alla morte naturale al rafforzamento della famiglia formata da un uomo e una donna e basata sul vincolo del matrimonio; dalla libertà educativa al principio di sussidiarietà. Anzi, in più occasione, il Parlamento Europeo ha tentato di scardinare principi umani e cristiani millenari con “raccomandazioni”, come pure di imporre agli Stati membri stili di vita in netto contrasto con le varie tradizioni storiche, culturali e religiose. E questa Unione, creata per favorire uno spirito europeo comune, sta trasformandosi in una prigione che fomenta l’odio etnico e i peggiori stereotipi anche perché non abbiamo ancora deciso quale Europa vogliamo e come raggiungere determinati risultati. Creare un unità economica, ma anche politica, non significa automaticamente unire dei popoli.

 Da ultimo, non possiamo dimenticare, l’ errore compiuto nel tralasciare nella Carta dell’Unione il riferimento esplicito alle “radici cristiane” e al “patrimonio religioso”. San Giovanni Paolo II, che ben conosceva l’Europa, così si espresse il 3 giugno 1997 a Gniezno (Polonia). “Non ci sarà l’unità dell’Europa fino a quando essa non si fonderà nell’unità dello spirito. Questo fondamento profondissimo dell’unità fu portato all’Europa e fu consolidato lungo i secoli dal cristianesimo con il suo Vangelo, con la sua comprensione dell’uomo e con il suo contributo allo sviluppo della storia dei popoli e delle nazioni. Questo non significa volersi appropriare della storia. La storia 1d’Europa, infatti, è un grande fiume, nel quale sboccano numerosi affluenti, e la varietà delle tradizioni e delle culture che la formano è la sua grande ricchezza. Le fondamenta dell’identità dell’Europa sono costruite sul cristianesimo. E I’attuale mancanza della sua unità spirituale, scaturisce principalmente dalla crisi di questa autocoscienza cristiana. Ripeto il grido dell’inizio del mio pontificato: aprite le porte a Cristo! Il muro che si erge oggi nei cuori non sarà abbattuto senza il ritorno al Vangelo. È stato Gesù Cristo, a rivelare all’uomo la sua dignitàl È lui il garante di questa dignità! (…) Senza Cristo, infatti, non è possibile costruire una durevole unità. Come si può costruire una “casa comune” per tutta l’Europa. se essa non viene edificata con i mattoni delle coscienze degli uomini, cotti nel fuoco del Vangelo, uniti dal vincolo di un solidale amore sociale, frutto dell’amore di Dio?”.

1

Anche rinnegando le radici cristiane dell’Europa, si è costruita una casa “allargata” sulla sabbia e il vangelo ammonisce: “Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande” (Mt. 7,27).

La rovina è il destino che attende l’Unione Europea se non cambia rotta dato che al suo interno aleggia un grande senso di sfiducia. L’Unione Europea è a punto di svolta per questo servirebbero parole chiare ai 400milioni di elettori dei 28 Paesi. Mancando questa chiarezza, e convinti che tutti perderemmo molto da un eventuale 1deragliamento del progetto europeo, dobbiamo essere coscienti che la posta in gioco di queste elezioni è molto grossa e importante per il futuro. Di conseguenza, non possiamo permetterci di votare con superficialità o di essere condizionati da chi “urla di più” o fermarci a un voto di protesta dato che questo ha già provocato seri guai nelle scorse elezioni politiche nazionali. I “nuovi”, a cui molti hanno creduto e purtroppo continuano a credere, che promettevano grandi cambiamenti per il momento sono fermi al palo. Ci auguriamo che questa lezione sia servita perché “errare human est, perseverare autem diabolicum” (Errare è umano, perseverare è diabolico) e l’aforisma si conclude tragicamente: “et tertia non datur “ (e la terza possibilità non è concessa). Forse, nel futuro, non ci sarà la possibilità di rimediare essendo in gioco non unicamente il destino di un Paese ma di un continente.

 A questo punto ci chiediamo: come orientarci nel voto?

Dobbiamo informarci! Non indicheremo ne partiti ne candidati ma solo degli orientamenti, quelli espressi dalla “Federazione Europea delle associazioni famigliari” e dal “Forum delle associazioni famigliari”.

Tutti i candidati possiedono un loro sito internet; è quindi un nostro dovere morale visitarlo e verificare se nel loro programma sono presenti gli orientamenti proposti dalle due associazioni; solo allora meritano il nostro voto e la nostra fiducia.

 Ecco le indicazioni per il confronto.

1. Riconoscere la complementarietà tra uomo e donna

La nozione di “genere” non ha alcun fondamento giuridico nel Trattato dell’Unione Europea (TEU). Serve riconoscere la complementarietà tra uomo e donna e rifiutare l’ideologia di genere che mira a cancellare le differenze sessuali nelle politiche pubbliche.

2. Definire, rispettare e promuovere l’istituzione matrimoniale

La convivenza registrata tra persone dello stesso sesso è una forma di unione differente dal matrimonio tra un uomo e una donna. Serve impegnarsi a rispettare il diritto degli Stati Membri a definire il concetto specifico di convivenza registrata e di matrimonio. In forza del principio di sussidiarietà bisogna opporsi a qualsiasi ingerenza che l’Unione Europea voglia introdurre in quest’ambito attraverso politiche comunitarie.

3. Rispettare la dignità dell’uomo dal concepimento al termine naturale della vita

E’ l’ impegno a rispettare la vita in tutte le sue fasi, compresa quella della gestazione, promuovendo in particolare la realizzazione delle motivazioni contenute nella sentenza della Corte di Giustizia europea C-34/10 sullo “statuto giuridico dell’embrione umano” e l’iniziativa dei cittadini europei “Uno Di Noi”.

4. Padre e madre primi e principali educatori dei propri figli

E’ l’ impegno a fare in modo che l’Unione Europea, nel contesto dei suoi programmi destinati ai giovani e all’educazione, rispetti e promuova il diritto dei genitori a educare i propri figli in conformità con le proprie convinzioni morali e religiose, rispettando le tradizioni culturali della famiglia che promuovono il bene e la dignità del bambino.

5. La famiglia: soggetto di diritti

La famiglia ha diritto ad essere protetta e sostenuta da parte della società. Si richiede impegno a operare per il riconoscimento dei diritti della famiglia, al fine di dotare l’Unione Europea di una strategia complessiva e coerente in favore degli interessi e dei diritti della famiglia.

6. Applicare il “family mainstreaming”

Per realizzare un processo di integrazione comunitaria a misura di persona, l’Unione Europea deve tener conto degli interessi della famiglia in tutte le sue decisioni. Serve l’impegno quindi a promuovere il concetto di “family mainstreaming” in tutte le politiche di settore.

7. Valorizzare la voce delle famiglie

Le associazioni familiari sono i portavoce delle famiglie e ne interpretano fedelmente bisogni e aspirazioni. Serve impegnarsi a riconoscere il contributo e il ruolo delle associazioni familiari nell’elaborazione e nella realizzazione di politiche che hanno un impatto sulla vita familiare.

8. Riconoscere il valore del lavoro familiare e il valore del volontariato

Serve impegnarsi a far riconoscere dall’Unione Europea, nell’ambito delle proprie competenze, il lavoro familiare non retribuito svolto dai padri e dalle madri, per l’importanza che esso riveste per le famiglie e per la società tutta. Inoltre si richiede l’impegno a far riconoscere il valore che ha il volontariato come contributo alla coesione sociale.

9. Equilibrio tra la vita familiare e la vita professionale

Serve impegnarsi a considerare la famiglia come punto di partenza per promuovere condizioni di lavoro che consentano alle famiglie di trascorrere del tempo insieme e che permettano altresì di preservare le dinamiche demografiche e incoraggino la coesione sociale. In concreto di chiede l’impegno anche a promuovere una migliore conciliazione tra lavoro e famiglia per il benessere della famiglia, ivi compresa la tutela della Domenica come giorno di riposo per tutti.

10. Congedo di maternità

Serve impegnarsi a partecipare attivamente allo sblocco dei negoziati sulla direttiva per i congedi di maternità, allo scopo di conseguire un aumento della durata minima di tali congedi.

11. L’economia al servizio della famiglia

Serve impegnarsi a fare in modo che le famiglie beneficino di condizioni economiche tali da assicurare un tenore di vita rispettoso della loro dignità e che consentano il loro pieno sviluppo.

12. Un lavoro dignitoso è necessario per ogni famiglia

Ogni famiglia deve potersi mantenere con i frutti del proprio lavoro. Serve impegnarsi a promuovere politiche del lavoro che non considerino il mercato del lavoro unicamente in chiave economica e finanziaria ma che promuovano, prima di tutto, la partecipazione attiva della persona, attraverso il riconoscimento e lo sviluppo dei propri talenti, alla costruzione del bene comune e alla prevenzione della povertà e della esclusione sociale.

ALLEGATO

Fuga dall’euro, facile panacea di tutti i mali”

di Maurizio Milano pubblicato in Nuova Bussola Quotidiana del 08-05-2014

“Le critiche alla ‘rigidità’ dell’euro, di pari passo con le lamentele per le supposte politiche di “austerità” imposte all’Italia ed ai Paesi periferici dell’area euro dalla “inflessibile” Germania della Merkel, sono oramai un mantra che attraversa l’intero schieramento politico, dai partiti di sinistra ed estrema sinistra fino ai partiti di destra e centro-destra, dai sindacati agli economisti, dagli opinion leader all’uomo della strada. Tentare quindi una difesa dell’euro espone al rischio evidente di impopolarità. Ci proviamo, comunque, confortati anche dalla statistica: le tesi più popolari ed in voga, infatti, difficilmente colgono nel segno e peccano sempre, quanto meno, di semplicismo.

La moneta comune europea è stata introdotta, a livello interbancario, a gennaio 1999, dopo la definizione di cambi bilaterali fissi tra le varie divise europee nel maggio del 1998. A partire dal gennaio 2002 inizia la stampa fisica delle banconote che andranno a sostituire, dopo un periodo di doppia circolazione, le rispettive valute nazionali.

Che cosa accade ai tassi di interesse a partire dalla seconda metà degli anni ’90? Le prospettive di unione monetaria avviano un processo di progressiva convergenza che porta ad un vero e proprio tracollo dei tassi di interesse dei Paesi più indebitati, come ad es. l’Italia, abituata ad avere prima dell’euro una struttura di tassi decisamente più elevati rispetto a Paesi più solidi come la Germania. In altre parole, i mercati finanziari iniziano a guardare all’area euro come ad una vera unione, e per il fatto stesso che i debiti sovrani dei Paesi membri sono denominati in euro, il rischio emittente viene considerato come marginale.

Ad inizio anni ’90 l’Italia ha rischiato un collasso del proprio sistema finanziario: la convergenza verso il basso dei tassi di interesse, resa possibile dall’euro, ha determinato un forte risparmio nella spesa per interessi passivi, dandoci l’occasione storica di porre fine a decenni di politiche di deficit spending, al continuo espandersi della spesa pubblica e del perimetro dello Stato.

L’occasione, tragicamente, è stata gettata via: il risparmio sul servizio del debito reso possibile dall’euro, infatti, non è stato utilizzato per abbattere consistentemente il debito pubblico, ma è servito per aumentare ulteriormente la spesa pubblica. Mentre la Germania ha lavorato per aumentare l’efficienza e la produttività, la classe politica italiana ha ‘venduto’ al Paese il sogno di anni di prosperità senza sacrifici.

Poi, però, nel 2008 è arrivata la crisi finanziaria-economica mondiale e, a partire dalla primavera del 2011, la crisi del debito sovrano dell’area euro. Lo spread tra i titoli di Stato dei Paesi periferici ed i Paesi core, come la Germania, esplode, risalendo sui livelli pre-euro. I mercati finanziari tornano a distinguere il merito di credito, profondamente diverso per i vari Paesi dell’area, dando meno peso al fatto che tutti siano denominati in euro. Perché? Molto semplicemente perché il rischio di default e/o di uscita dall’euro diventa concreto, in particolare per i Paesi più indebitati, come la Grecia, il Portogallo, la Spagna e – ahinoi – anche l’Italia. Il servizio del debito sale, il PIL collassa, il rapporto debito/PIL si spinge a toccare un nuovo record a ridosso del 133%, peggio ancora che ad inizio anni ’90 (eravamo allora sul 100-120%).

Le conseguenze della crisi diventano politiche e sociali: in Europa cadono governi e iniziano le tensioni di piazza, dagli indignados al profilerare di movimenti che propongono l’uscita dall’euro, considerato il responsabile dell’aggravarsi della situazione economica, del fallimento delle imprese e del boom della disoccupazione.

Dai Keynesiani alla Krugman e Stiglitz ai monetaristi la “terapia” proposta è sempre la stessa: aumentare la spesa pubblica ed il deficit, stampare moneta per dare liquidità al sistema e deprezzare il cambio, monetizzare il debito pubblico. Insomma, fare quello che è sempre stato fatto, in varie combinazioni, negli ultimi 40-50 anni. Di riforme strutturali vere si parla meno, perché molto più difficili da adottare per la classe politica: recuperare competitività con un processo deflativo che passa dal taglio della spesa pubblica, dalla riduzione del numero dei dipendenti statali, dalla flessibilizzazione del mercato del lavoro, dalla lotta alle burocrazie e alle lobby, dalla riforma della giustizia, insomma dall’imparare finalmente a fare di più e meglio usando meno risorse, evitando sprechi e ruberie. E, auspicabilmente, abbassando l’imposizione fiscale, sempre più vessatoria.

Paradossalmente l’euro ha evitato la solita, facile scorciatoia sempre seguita dai politici: svalutare, inflazionare, rinviare i problemi al futuro. Se, finalmente, in Italia si è iniziato a parlare di spending review – per i risultati concreti siamo ancora in attesa – è solo perché la classe politica non ha alternative: il male va affrontato alla radice, cure sintomatologiche non sono più possibili.

L’euro non è la causa della febbre ma il termometro che la manifesta, e rompere il termometro non ci farà guarire. Krugman definisce l’Euro una “camicia di forza”: forse è così, una camicia di forza che ha però il pregio di impedirci atti di auto-lesionismo.

Il tema è molto ampio e meriterebbe ben altri approfondimenti. Solo per inciso ricordiamo che il ritorno alla lira porterebbe ad una svalutazione del cambio di ampiezza marcata – si parla di un 20-30% – il che significherebbe l’esplosione dei debiti denominati in euro – dei privati, delle imprese, delle Banche, dello Stato – che in molti casi non potrebbero più essere onorati. I prezzi dell’energia e delle importazioni andrebbero alle stelle, mentre occorrerebbe del tempo per avere un miglioramento della bilancia commerciale grazie alle ricadute positive sul fronte dell’export. Per non parlare poi della distorsione della struttura dei prezzi relativi, con l’effetto di un vero e proprio terremoto, dalle conseguenze difficilmente valutabili. Se altri Paesi seguissero questa strada, la probabile scomparsa dell’euro farebbe poi certamente piacere agli Usa, che non rischierebbero più di vedere minacciata la propria supremazia valutaria: potere stampare a piacere la propria divisa nazionale, che è anche valuta di riserva a livello mondiale, dà agli Usa la possibilità di deprezzare il cambio scaricando sui partner commerciali parte dei propri squilibri interni.

Falsificare il valore della moneta – come avviene con le politiche monetarie ultra-espansive volte a riflazionare il sistema e deprimere il cambio, o con le vere e proprie svalutazioni come accadrebbe con la fuoriuscita dell’Italia dall’euro – ha un effetto deleterio sul sistema economico, perché il valore della moneta – interno ed esterno – è il minimo comune denominatore in tutte le scelte di consumo, risparmio ed investimento. Se il valore viene manipolato saltano tutti i riferimenti ed i calcoli di convenienza, con conseguenze negative anche sul comportamento morale delle persone a causa della variazione continua dell’orizzonte di riferimento e della vanificazione del risparmio. Un nervo scoperto per i tedeschi, che ancora ricordano lo sfacelo non solo economico ma anche morale dell’iper-inflazione dei tempi della Repubblica di Weimar, nel lontano 1923.

Gli argomenti fin qui forniti difficilmente convinceranno i detrattori dell’euro: spero, tuttavia, che contribuiscano a fare emergere dei dubbi. Per ulteriori approfondimenti rinviamo all’ottimo articolo “In difesa dell’euro: una prospettiva austriaca”, di Jesus Huerta de Soto (cfr. www.vonmises.it, del 21.6.2012), dove l’economista austriaco rivendica ai tassi fissi infra-area euro una funzione simile a quella svolta in passato dal sistema monetario “Gold standard”: l’impossibilità di manipolare il cambio costringe i politici a dire la verità ai cittadini e ad affrontare i problemi alla radice (sulla tesi di Huerta de Soto, cfr. anche Roberto Giorni, Non basta Keynes per risolvere la crisi, Studi Cattolici gennaio 2014).

Il giudizio positivo sull’Euro in quanto proxy del Gold standard non comporta di per sé un giudizio positivo sull’operato della Bce (che ha perseguito politiche monetarie ultra-espansive – seppur in misura nettamente inferiore rispetto alla Fed e alla Banca del Giappone – contribuendo ad alimentare bolle e distorsioni, in specie nei Paesi periferici dell’area euro), e neppure sulle politiche economiche o sulle scelte legislative degli organismi comunitari o sulla supremazia tedesca. Occorre però distinguere i vari aspetti, per non cadere in un anti-europeismo altrettanto rozzo e demagogico di un certa visione ideologicamente ottimistica dell’Europa, prevalente anche da noi, prima dello scoppio della crisi.

 Comunque la si pensi, fuggire dall’euro per adottare nuovamente la lira non significherebbe tornare ai “felici” anni ’80, far risalire la produzione industriale e l’occupazione: se la classe politica italiana non avesse avuto la possibilità di indebitarsi a piacere e manipolare il cambio, se l’euro, in altre parole, fosse stato introdotto già a quei tempi, non ci troveremmo ora con l’acqua al collo.

La festa è finita, rifuggiamo una buona volta dai sogni e dalle illusioni: a crisi reali necessitano soluzioni reali, non manipolazioni finanziarie. Una medicina amara, che richiederà anni per produrre risultati. La realtà, anche quella economica e finanziaria, non è mai semplice, o semplicistica, come vorrebbero taluni. Prima di agire occorre capire”.

Don Gian Maria Comolli

www.gianmariacomolli.i

Comments are closed.