“VIETATO VIETARE”: IL CASO DELLE “DROGHE LEGGERE”

Lo slogans “Vietato vietare” da tempo guida alcuni politici nel legiferare. Si pensi alla fecondazione eterologa, al divorzio sprint, ai disegni di legge sulle unioni civili e sull’omofobia… “Vietato vietare” in nome di una “libertà assoluta” ma strabica non prevedendo i danni che alcune leggi procureranno, a lungo termine, alla società.  Ma poi, ipocritamente, ci si meraviglierà di alcuni fenomeni negativi e pericolosi.

1Il “Vietato vietare” sta alla base anche della decisione del Parlamento del 14 maggio 2014 che ha cancellato la cosidetta “legge Fini-Giovanardi”, rintroducendo ai fini delle sanzioni penali, la distinzione tra “droghe leggere” e “droghe pesanti”, distinguendo tra quelle naturali, inserite nella tabella delle droghe “leggere” (cannabilis* inclusa) e quelle chimiche posizionate nell’elenco delle sostanze “pesanti”’.

 Un po’ di storia

-Fino al 1990, il sistema giuridico in vigore in Italia, prevedeva la “non punibilità” della detenzione e dell’uso personale di una “modica quantità” di sostanze tossiche. Questa politica ha prodotto conseguenze devastanti, portando alla capillarizzazione dello spaccio, alla sostanziale rinuncia delle istituzioni e della società a combattere l’uso personale delle sostanze stupefacenti e alla surrettizia formulazione di un “diritto a drogarsi”.

-Nel 1990 con il DPR n. 309 del 31 ottobre abbiamo assistito a una svolta nei confronti di una logica permissiva e di disimpegno che continuava da troppi anni. Nei confronti dell’assuntore di droghe, la legge stabilì con chiarezza il “principio della punibilità” sia per la detenzione che per il consumo, modificando il sistema giuridico in vigore. Si evitava l’applicazione della sanzione se il tossicodipendente avesse accettato di intraprendere un percorso di disintossicazione. Gli obiettivi principali del DPR erano, accanto alla lotta al narcotraffico, la prevenzione e il recupero dei tossicodipendenti.

-Il 21 febbraio 2006 fu approvata la Legge 49 che rinnovò profondamente il DPR n. 309/1990. Il punto di forza della legge definita anche “Fini-Giovanardi”, fu l’equiparazione sotto l’aspetto della pericolosità e delle sanzioni, tra droghe “leggere” e droghe “pesanti”. Detenere, cedere o consumare tali sostanze, non importava in quale quantità, erano comportamenti puniti dalla legge. In particolare, possedendo più di una quantità massima prestabilita, la persona si trasformava in spacciatore rischiando pene da uno a vent’anni di carcere, secondo la gravità della situazione. Comunque, anche in questo caso, il consumo poteva essere punito unicamente con sanzioni amministrative (ritiro della patente, del porto d’armi, del permesso di soggiorno…) revocabili se l’interessato era disponibile a sottoporsi a programmi terapeutici di recupero.

Purtroppo, come è avvenuto per altre leggi, il potere giudiziario è scorrettamente intervenuto per modificare, almeno in parte, una legge approvata dal Parlamento. La Corte di Cassazione nel gennaio 2013 ha ritenuto “penalmente irrilevante” il consumo di gruppo di sostanze stupefacenti sia nell’ipotesi di “mandato all’acquisto” sia in quella del “acquisto comune”. E l’ultima spallata alla legge venne dalla Corte Costituzionale che la dichiarò illegittima nella forma con cui fu approvata.

 Alcune osservazioni

1.Ben consapevoli che le leggi da sole non sono in grado di eliminare il malessere esistenziale diffuso particolarmente tra i giovani, e di conseguenza il fenomeno della tossicodipendenza e che la repressione dei fornitori è insufficiente, le autorità che dovrebbero vegliare sul bene comune, hanno il dovere di proibire ciò che danneggia la vita e la dignità delle persone, sopratutto le più fragili.

2.Il fenomeno droga non si combatte con maggiori aperture alla droga stessa. Concetto affermato anche da san Giovanni Paolo II incontrando la Comunità terapeutica di san Crispino di Viterbo: “ ‘La droga non si vince con la droga’. La droga è un male, e al male non si addicono cedimenti. Le legalizzazioni anche parziali, oltre che essere quanto meno discutibili in rapporto all’indole della legge, non sortiscono gli effetti che si erano prefisse. Un’esperienza ormai comune ne offre la conferma” (21 giugno 1986).

3.Questi passaggi legislativi evidenziano il dibattito tra “proibizionismo” e “anti-proibizionismo” indicando due opposte idee di libertà. Il secondo caso, cioè “l’anti-probizionismo”, assume la caratteristica di un’autorizzazione a divenire schiavi di sostanze tossiche e autodistruttive mediante il messaggio: “drogatevi pure, poi ci sarà qualcuno che si prenderà cura di voi”. In alcuni casi si è giunti anche a distribuire gratuitamente le siringhe presso locali frequentati da giovani. Pur essendo la finalità quella di prevenire il contagio, il messaggio lanciato è alquanto ambiguo.

 Alcune conclusioni

Il fenomeno della tossicodipendenza è la punta di un iceberg, un segno rivelatore che esibisce un profondo malessere esistenziale, un non adattamento alla realtà, una 1forte insoddisfazione e un’immensa solitudine, angoscia e disperazione sopratutto degli adolescenti e dei giovani. Ciò mostra che molti non si amano e non si sentono amati. La droga, quindi, è una risposta alla carenza di ideali e di amore  nei periodo di mutazioni profonde e d’instabilità.

J. Hamburger affermava che “la droga è uno strumento sinistro di misurazione dello smarrimento giovanile”, aggiungendo che “il mondo adolescenziale dei Paesi più ricchi è invaso da desideri di evasioni. La droga è un rifiuto e una fuga. Il rifiuto di un’epoca in cui gli dei sono morti. La fuga da un mondo in cui la speranza si sottrae” (J. Hamburger, Dictionnaire promenade, Editions du Seuil, Paris 1989, pg. 161).

Altra motivazione che indirizza alla tossicodipendenza è lo smarrimento valoriale, cioè il vuoto di senso, presente nella cultura attuale che ha reso opachi il senso del trascendente, il valore della vita e i principi di solidarietà, di responsabilità, di impegno… Si sono smarrite chiare e persuadenti motivazioni per vivere, perciò si sono dissolte le ragioni più profonde della speranza. A tutto ciò contribuiscono anche la sete di consumo e la ricerca immediata e facile del piacere. Sempre Hamburger ricordava: “le strade sembrano portare da nessuna parte. Nessun programma, nessuna speranza. Quando non sappiamo che cosa dobbiamo sperare, anche la speranza non ha senso” (Dictionnaire promenade, op. cit., pg. 369). Dunque, molti, , chiedono alle droghe, un supporto per evadere da una realtà sociale e famigliare non rispondente alle loro attese e per sopravvivere a una serie di disagi e di frustrazioni che la realtà sempre più complessa pone di fronte quotidianamente. La droga, si trasforma in un’inconscia realtà di difesa, un mezzo per colmare vuoti affettivi ed esistenziali e per comunicare agli altri la propria incapacità “a tenere il passo”. Di conseguenza, una delle sfide maggiori che deve affrontare il nostro tempo, è quella di trasmettere valori e certezze, essendo il nostro contesto societario liquido condizionato e strumentalizzato da “una mentalità e da una forma di cultura che portano a dubitare del valore della persona umana, del significato stesso della verità e del bene, in ultima analisi della ‘bontà della vita’ ”(Benedetto XVI, 31 gennaio 2011).

1Ha scritto A. Mantovani su Tempi.it (13/5/2014) “Che prima di tutto arrivi in porto la riforma degli stupefacenti ha un senso logico e storico: il logo dello spinello libero, e di buona qualità, è il simbolo più adeguato per una Nazione che va in fumo”. Purtroppo è difficile non condividere questa visione.

*Cannabilis. La Cannabis è una pianta originaria dell’Asia Meridionale che comporta alterazioni cerebrali, influenza il comportamento trasformando le percezioni, provoca la perdita del controllo di sé, rallenta i riflessi, altera la concentrazione. A lungo termine provoca anche gravi turbe psichiche. (Uso: 21,43%)

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