Il cinismo del mercato dietro le favole di Ikea

Nel favoloso mondo di Ikea, quello degli spazi piccoli ma perfetti, degli oggetti belli anche senza identità, dello shopping divertente e a poco prezzo di chissà quante famiglie, non c’è posto per una mamma in difficoltà. Marica Ricutti, 39 anni, madre separata di due bimbi di 10 e 5 anni, di cui uno disabile, è stata licenziata dalla multinazionale svedese dopo ben 17 anni di lavoro a Corsico, in provincia di Milano. L’azienda l’ha sbattuta fuori perché “non riusciva a rispettare gli orari di lavoro”.

La supermamma Marica lo spiega con chiarezza, senza attenuanti, né per sé né per Ikea: “Sono stata messa alla porta perché non ho accettato il turno delle 7 del mattino. Un orario che per me è complicato, come sanno bene”. Non è difficile immaginare perché a Marica non sempre riesca il miracolo mattutino in cui si cimentano ogni giorno le mamme che, prima di correre al lavoro, devono preoccuparsi dei bimbi da buttare giù dal letto, lavare, vestire, nutrire, accompagnare a scuola. Di mezzo, in questa storia, c’è poi un bambino che chiede un supplemento di tempo, cure e attenzioni ed è per questo motivo, non per altri, che Marica ha più volte chiesto un orario più flessibile. All’inizio la direzione aveva accettato la richiesta, del resto si trattava di una dipendente già da tempo coperta dalla legge 104 per i lavoratori che assistono un familiare disabile. Ma poi è arrivato il licenziamento. Così, categorico, senza alcun margine di mediazione.

Che fine ha fatto, in questo caso, quell’amorevole cura del mondo altrui di cui Ikea va tanto fiera? Possibile che il gigante svedese abbia più a cuore il rispetto della natura, dei single e degli animali (a cui ha appena dedicato una intera linea di arredi) piuttosto che quello dei suoi dipendenti? Per adesso, tutto fa pensare che l’unica risposta possibile sia: ovvio, i lavoratori non valgono quanto i clienti. E’ la dura legge del marketing e del commercio, nulla di più.

Tantissime sono le iniziative di promozione e inclusione sociale a cui è associato il marchio svedese. Una delle più recenti campagne promosse in tutto il mondo direttamente da Ikea Foundation è, guarda caso, dedicata proprio ai bambini che vivono situazioni difficili, disabili compresi. A che serve un’iniziativa planetaria come questa se poi non si riesce a trovare il modo per aiutare Marica e, tramite lei, quel bimbetto “speciale” di suo figlio? Abbiamo diversi buoni motivi per non nutrire più particolare simpatia per gli svedesi e, davvero, vorremmo non dover aggiungere alla lista anche questa brutta storia di ipocrisia e cinismo. Stiamo a vedere come andrà a finire.

Angela Napoletano

L’Occidentale, 29 novembre 2017

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