Archivio bioetica

Neonati abortiti all’insaputa dei genitori. Cartelle cliniche falsate. Assoluta indifferenza e freddezza da parte dei medici aguzzini, di cui quattro arrestati e sette sospesi. Un caso impossibile da censurare, emerso fatalmente dalle intercettazioni avviate all’interno di un’indagine sulla ndrangheta calabrese. Finora, però, chi ne ha parlato lo ha fatto liquidando la notizia come un episodio di malasanità: dal sito di Repubblica, che ieri mattina titolava “Errori medici con referti falsi”, al ministro della Salute Beatrice Lorenzin, che ha richiamato alla verifica delle «anomalie», fino alla guardia di finanza che ha ridotto la vicenda a «una bruttissima storia». Ma i toni dei media, pur indignati, sono fuorvianti e impediscono di fissare l’attenzione su particolari essenziali a comprendere le cause di un fatto che, legato ad altri capitati di recente, non può che interrogare tutto il mondo della sanità. E non solo quello calabrese.

Innanzitutto non uno o due, non tre o quattro, non cinque, ma tutti e undici i medici e gli operatori sanitari del reparto di ginecologia degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria sono coinvolti o comunque hanno accettato che avvenisse quanto descritto nelle telefonate fra primari e vice, provando la mentalità nichilista diffusa: «Eh niente gli è morto un bambino», ha affermato uno degli indagati. «Il bambino è vivo ma qui l’utero si è staccato», spiegava un altro. E, sottolineando che un padre non voleva l’aborto del figlio, emergeva la volontà di procedere comunque: «Perché lo dobbiamo ammazzare». Frasi che non possono che stridere ancor più se accostate a quelle del ministro, che si è limitato a dire che in Calabria «c’è molto lavoro da fare» e che «dobbiamo lavorare sulla maggiore capacità di segnalazione delle anomalie da parte delle direzioni sanitarie».  LEGGI