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 «È un business come un altro, cambia solo il prodotto»

A Pechino non si usano giri di parole: per avere un bambino bastano 500 mila euro ma «basta aggiungere qualche migliaio di yuan e si può anche scegliere il prezzo: possiamo produrre sia bambini che bambine».

«La maternità surrogata è uguale a ogni altro business, è solo che al posto dei prodotti ci sono i bambini». Così un’agenzia cinese che illegalmente garantisce bambini a coppie di genitori ha definito l’utero in affitto. I prezzi variano da 500 mila a un milione di yuan (cioè da 63 mila a 125 mila euro) «ma basta aggiungere qualche migliaio di yuan e si può anche scegliere il prezzo», dichiara il signor Liu, che gestisce un’azienda a Pechino.

COMPRAVENDITA. Queste dichiarazioni e altre sono state riportate da due giornalisti dell’agenzia statale Xinhua, che fingendosi clienti hanno indagato il mondo della maternità surrogata in Cina. I bambini si vendono e si comprano. La legge non è un problema, la polizia viene ben oliata: «Anche la polizia non osa intervenire qui. Possiamo produrre sia bambini che bambine».

PRODURRE BAMBINI. La parola usata è proprio “produrre”: in Cina, dove lo scellerato regime comunista ha fatto tabula rasa dei più comuni valori umani lasciando spazio solo alla corsa al denaro e all’arricchimento, non si preoccupano di nascondere la verità con parole dolci. In Occidente si parla di “maternità surrogata”, “gestazione mediante altri”, “concepimento assistito”. Qui di “produzione”: paga e torna a prendere la merce tra nove mesi.

MADRI SFRUTTATE. Le madri accettano di essere sfruttate per 190 mila yuan, «abortiscono sempre» se il feto è malformato e se a causa di complicazioni rimangono sterili «si sistema tutto con 50 mila yuan». L’agenzia di Liu gestisce 300 contratti ogni anno e tutto viene fatto «in ospedali pubblici con medici e infermiere».

FIGLI VENDUTI. Il reportage non ha fatto molto rumore in Cina, al contrario della notizia della condanna a tre anni di carcere di una coppia del Guangdong, che ha venduto il terzo figlio per 80 mila yuan. La madre è state definita «senza cuore» dai giornali. Lei ha provato a difendersi dicendo che non avevano i soldi per mantenerlo e che la legge del figlio unico, se pur parzialmente allentata, creava loro problemi.

DOV’È LA DIFFERENZA? Il loro caso non è l’unico di questo genere: la Cina è famosa per l’abbandono di bambini. Nell’ottobre del 2013 una coppia di Shanghai ha venduto la figlia per comprare, tra le altre cose, un iPhone della Apple. A febbraio due genitori di Hengyang sono stati arrestati per aver dato via tre dei loro sei bambini negli ultimi cinque anni. A dicembre, un uomo è stato incarcerato a Chengdu per aver ceduto suo figlio di quattro mesi e usato i soldi per partecipare a un talent show. In tutti questi casi il pubblico, in Cina come in Occidente, si è indignato: ma l’unica differenza con la maternità surrogata è il prezzo.

Leone Grotti

Tempi.it, 25 settembre 2014

 

28 settembre 2014

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