La neurologa: “Irreversibile? Parola vietata”

Silvia Marino, ricercatrice del Centro neurolesi di Messina: «Dietro esistenze apparentemente “inutili” grandi storie di dignità».

Il convegno è di quelli che schierano i massimi esperti a livello internazionale, e da mattina a sera il maxischermo manda dal palco le immagini di avveniristiche tecnologie capaci di scandagliare anche i cervelli apparentemente più inattivi, spenti da coma profondi, stati vegetativi, stati di minima coscienza, sindromi Locked-in o tuttora sconosciute e senza nome. Titolo, “Meeting internazionale sui disordini della coscienza – Ricerca, innovazione e nuovi approcci terapeutici”, organizzato dalla Fondazione Irccs Istituto Neurologico Carlo Besta…

«È vero, il cervello resta un grande e affascinante mistero, ma la ricerca fa passi da gigante e le tecnologie permettono ogni giorno nuove applicazioni prima impensabili. Senza però perdere di vista le implicazioni etiche: questi “cervelli” sono persone, non cavie. Il mio obiettivo come scienziato è selezionare quelli che rispondono ai trattamenti, per offrire loro la migliore riabilitazione intensiva. Insomma, il fine ultimo è il bene del mio paziente, non l’esperimento riuscito». La neurologa Silvia Marino, ricercatrice del Centro neurolesi Bonino Pulejo Irccs di Messina, da anni scandaglia i residui più nascosti della coscienza nei suoi pazienti attraverso le tecniche di neuroimaging, ne studia le reazioni del cervello mentre lo stimola attraverso suoni, odori, fotografie, e oggi dichiara senza alcun dubbio: «La parola “irreversibile” applicata ai disturbi della coscienza, stato vegetativo compreso, non è più utilizzabile». Un’evidenza già emersa dagli interventi degli altri neuroscienziati presenti al convegno, che hanno dimostrato l’insondabilità di molte situazioni, i frequenti errori di diagnosi, il possibile passaggio da un presunto stato “vegetativo” a stati di coscienza transitoria o persistente…

Ci spiega in parole più semplici il suo lavoro?
Al paziente apparentemente privo di contatti con il mondo esterno, immobile da mesi o anni nel suo letto, somministriamo stimoli di ogni genere, soprattutto grazie alla fondamentale collaborazione dei familiari. Ad esempio gli facciamo ascoltare le voci della madre, del marito, dei figli, i suoni a lui cari, la musica preferita, la lettura di poesie. Mentre questo avviene, attraverso la risonanza magnetica funzionale possiamo vedere se si attivano le aree del suo cervello, o attraverso una speciale cuffia misuriamo l’attività elettrica cerebrale. In questo modo abbiamo studiato 27 pazienti con diagnosi di minima coscienza e 23 in stato vegetativo, e tra questi ultimi ben dieci si sono convertiti poi in stati di minima coscienza.

L’interrogativo è forte: come può essere successo? Si sono evoluti o era sbagliata la diagnosi iniziale? Fatto sta che dopo sei mesi di metodica imaging qualcosa nel loro cervello faceva già presagire questa conversione.

Dunque può capitare che persone ritenute prive di coscienza abbiano invece una più o meno forte percezione del mondo intorno a loro?
Non è così per tutti, sia chiaro, ma in molti casi l’ascolto di una voce o la fotografia della persona amata accendono le aree del cervello legate alla percezione e all’emotività: nell’imaging le vediamo colorarsi, perché diventano attive. Segno che queste persone “ci sono” ancora.

Da qui a parlare di “risvegli” però ce ne passa.
La ricerca sul campo e le innovazioni tecnologiche stanno aprendo sicuramente scenari fino a pochissimi anni fa inimmaginabili, ma guai a dare false speranze. Diciamo che ormai non è più possibile parlare di irreversibilità, ci sono stati troppi casi di clinici e di ricercatori che, attraverso le diverse metodiche di stimolazione, hanno ottenuto nei loro pazienti risultati incredibili. Oggi in questo convegno abbiamo ascoltato ad esempio l’esperienza di Francesco Piccione, direttore di Neuroabilitazione al San Camillo di Venezia, che con la stimolazione magnetica del paziente ha ottenuto il recupero temporaneo del movimento dietro un ordine semplice (gli è stato chiesto di prendere il bicchiere d’acqua e portarlo alle labbra, cosa che ha fatto dopo anni di stato vegetativo). O l’esperienza di Angela Sirigu, direttore dell’Istituto di Scienze cognitive “Jeannedor” di Lione, che stimolando invece un singolo nervo ha avuto una ripresa dei livelli di coscienza. Insomma, i casi sono diversi e ognuno a se stante, ma visti tutti insieme raccontano di una ricerca italiana che sta offrendo scenari inediti quanto imprescindibili per comprendere che ci troviamo di fronte a vite pienamente umane.

C’è un caso che l’ha sorpresa?
Seguivo una signora che per una grave emorragia cerebrale era entrata prima in coma, poi era rimasta in stato vegetativo. Per capire se avesse ancora aree residue di percezione, l’ho stimolata col laser durante la risonanza magnetica funzionale, scoprendo così che le aree del dolore si attivavano. Significava che un trattamento su di lei avrebbe sortito i suoi effetti. Così a una donna che all’apparenza sembrava del tutto irrecuperabile ho intensificato stimolazioni di tutti i tipi: dopo otto mesi si è svegliata… era notte e ha iniziato a cantare una canzone di Baglioni che le piaceva. Oggi vive a casa sua con il marito e i figli, in sedia a rotelle ma felice. E racconta che durante lo “stato vegetativo” sentiva tutto ciò che le accadeva intorno, ma non riusciva a comunicarci di essere presente.

Se non vi foste accorti di quelle aree ricettive? Quante persone come lei in passato sono state definite “irreversibili” e mai trattate… Impossibile non ripensare a Eluana Englaro.
Non so cosa sarebbe potuto succedere, forse si sarebbe svegliata comunque, prima o poi, forse sarebbe rimasta così tutta la vita. Ma questa vicenda insegna che non si deve mai rinunciare, che bisogna sempre stimolare, combattere, riabilitare. Senza illudere i familiari, ma senza togliere la speranza quando c’è.

Qualcuno dice che queste vite costano troppo. Altri che sono vite meno degne… Vale la pena combattere tanto?
La vita va vissuta al meglio in qualunque condizione essa sia. Anche per chi non ha la fede è un dono, e questi casi ci danno la motivazione per cercare nuove tecnologie, senza mai rinunciare. Altrimenti non avremmo fatto il medico.

Lucia Bellaspiga
Avvenire.it, 4 febbraio 2018