Il caso. Lella, con la sclerosi multipla. «A Lourdes i miei dolori sono scomparsi»

By 25 Agosto 2018Testimoni

ll caso della donna che ha visto svanire i suoi spasmi dopo un bagno nella piscina del Santuario. Riconosciuto dall’Ufficio delle constatazioni mediche. È gelida, l’acqua, nelle piscine di Lourdes. Emanuela Crestani convive da 26 anni con la sclerosi multipla. Lei ne ha 52. È arrivata nel santuario sui Pirenei nel giugno 2016, dopo 13 ore di pullman, con gli amici terziari francescani della Basilica di Santa Maria di Campagna di Piacenza, che frequenta con il marito Paolo Garattini. Non cammina. Si alimenta e idrata tramite peg. È quasi cieca. I dolori disestesici con componente termica legati alla fase terminale della malattia – è allo stadio 8.5 su 10 – sono diventati insopportabili, come la tosse produttiva che rischia di soffocarla. I farmaci non bastano più a controllarli.
Lella – come tutti la chiamano – non è a Lourdes per chiedere la guarigione. Vuole ringraziare per la famiglia che ha formato con Paolo, per i figli Massimiliano e Beatrice, per pregare la Madonna di aiutarli nell’ultimo tratto di calvario. Nell’acqua, si sente avvolta da un abbraccio caldo e da una pace incredibile. Il volto, contratto dagli spasmi, si distende. La sera, in albergo, si rende conto di non sentire più i dolori che la tormentavano. È il 3 giugno, giorno – scoprirà – della prima Comunione di Bernadette.

Nella visita del 29 giugno 2016, il neurologo che l’ha in cura, il dottor Paolo Immovilli, certifica: «I dolori disestesici con componente termica sono scomparsi dopo immersione in acqua fredda, anche la tosse produttiva è scomparsa». Un anno e tre mesi più tardi si pronuncia il «Bureau des constatations médicales», l’Ufficio delle constatazioni mediche del santuario francese: quella ricevuta da Lella è una grazia. Sui referti, dal 26 settembre 2017 in poi, all’espressione è aggiunta la postilla: «in acqua fredda di Lourdes».

I dolori – paragonabili ad avere il nervo di un dente scoperto 24 ore su 24 – a distanza di due anni non si sono ripresentati.
«Quel che ho ricevuto lo restituisco con la preghiera per chi soffre»: Lella ha sempre ritenuto quanto ha vissuto a Lourdes – ci confida dalla sua casa di Calendasco, alle porte di Piacenza – «un dono che la Madonna mi ha fatto per poter continuare ad essere testimone di speranza e di gioia». Il vero miracolo, per lei, è la storia che l’ha condotta con il marito fino alla grotta di Massabielle. La storia di una ragazza dell’Aosta-bene e di un aspirante calciatore di Piacenza che si incontrano a 19 anni, a 20 si sposano e affrontano gioie e difficoltà mano nella mano. A partire dalla diagnosi di toxoplasmosi quando è incinta di Beatrice. «Ero al quarto mese e mi avevano suggerito l’aborto terapeutico. Ma io e Paolo desideravamo tanto un secondo figlio. Quella vita ce l’aveva donata il Signore e l’avremmo portata avanti». Massimiliano, allora 9 anni, era stato a Lourdes con la nonna a pregare per un fratellino e una sorellina. La Madonna lo aveva ascoltato.

Alla nascita Beatrice presenta una grave forma di ipercalciuria, che viene risolta con due anni di cure. Ma la pace dura poco. Nel ’97, mentre Lella è alla guida, ha l’impressione che le auto le vengano contro. Da anni aveva degli scompensi, si pensava fossero dovuti ad una familiarità con il Parkinson. «Quando ho saputo che era sclerosi multipla, ho preso l’enciclopedia: “malattia che porta alla morte”. Devastante. L’idea di lasciare Paolo solo con due bambini mi straziava. Ma non potevo cambiare le cose. Mi sono buttata nella preghiera: è stata la forza che mi ha permesso, da subito, di accettare la malattia».

Man mano che peggiora, fino a finire in carrozzina, Paolo si vergona della sua disabilità. «Ero sempre in giro per lavoro, sempre più legato all’apparire. Così ho creato il deserto attorno a me», non esita a riconoscere. «Condividevamo valori forti, non potevano essere perduti», gli fa eco Lella. È la sua preghiera caparbia a smuovergli il cuore, complice l’incontro con il carisma di san Francesco d’Assisi. Paolo lascia tutto. Ricomincia da capo con il lavoro, ricomincia da capo con Lella. «Qualcuno può pensare che resto accanto a mia moglie per un senso di colpa – riflette – non è così. Ci resto perché ho capito cosa vuol dire amare. Me l’ha insegnato lei, con il suo esempio umile, silenzioso, eppure dirompente». «Tutti abbiamo paura nella prova. Bisogna solo lasciarsi andare, fidarsi – ribadisce Lella –. Dio ha tempo, siamo noi che non ne abbiamo. Lui è sempre lì, con la mano tesa: attende solo che la afferriamo».

Barbara Sartori

Avvenire.it, 31 luglio 2018