EDITORIALE – Utero in affitto. Contro le donne e donne contro donne

Ho incontrato in questi giorni un mio amico con il quale ho frequentato un tratto di seminario, poi lui ha seguito il Signore Gesù divenendo missionario del Pime. Da quasi dieci anni esercita il suo ministero sacerdotale in India, in una vasta missione, in una delle regioni più povere del Paese. E parlandomi delle “miserie” di questi infelici, mi ha raccontato del fenomeno della “maternità surrogata”, poiché una delle cliniche dove si attua questa atroce crudeltà e la residenza dove alcune donne alloggiano durante la gravidanza è poco lontana dal centro della missione. Mi raccontava di uno spettacolo straziante, dove ricconi occidentali (anche molti italiani) o americani, arrivano con lussuose macchine per “scegliere la donna” che realizzerà la loro avidità. E, queste povere creature, si fanno fecondare, rendendo disponibile il proprio utero per il tempo della gravidanza con l’impegno di consegnare alla coppia committente il bambino nel momento della nascita.

Il diffondersi di questo “mostruoso fenomeno” in un periodo storico in cui continuamente si dibatte sulla tutela della donna (si pensi nel nostro Paese alla legge contro la violenza sulle donne o a quella sullo Stoelting) è un evidente “schiaffo sociale” alla dignità e all’onorabilità del sesso femminile. Come abbiamo affermato, le donne che accettano di “affittare il proprio utero” sono prevalentemente analfabeta e molto povere, e  per ricavare un minimo profitto per la propria famiglia, tollerano vincoli gravosi, umiliando il loro corpo e ignorando i loro diritti, in particolare quello di accudire il bimbo partorito, poiché la separazione dalla nuova creatura accudita per nove mesi costituendo con lei un intenso legame intimo fisico e psicologico, procura immense sofferenze. E, inoltre, come scordare il futuro del bambino, “il prodotto” di un accordo tra le parti, che potrebbe vivere in futuro il dramma dell’essere privo di storia e di radici genetiche e affettive, e per lui essere alquanto difficoltoso percepire i suoi genitori legali e in alcune situazioni anche la sua cittadinanza. Infine, un destino incerto, lo attenderebbe se fosse portatore di imperfezioni, poiché i committenti potrebbero non accettarlo ed egli sarebbe condannato ad essere abortito o abbandonato.

In Italia, la pratica è “illegale”, come affermato dalla legge 40/2004 all’articolo 5 (“Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”), dall’articolo 269 del Codice Civile (secondo cui madre è colei che partorisce) e dall’articolo 567 del Codice Penale (che sotto il titolo di “alterazione di stato di minore” sanziona chi dichiara all’anagrafe come proprio un figlio altrui). Però, negli ultimi anni, si è avviato un “turismo procreativo”, e alcuni italiani prevalentemente uomini che hanno usufruito dell’unione civile, ritornano in patria con bambini nati con questa prassi all’estero, bypassando il divieto, e supportati da giudici o sindaci trascrivono nelle anagrafi comunali l’atto di nascita. E, qui mi domando: come possono due uomini essere “significativi” genitori per un bambino? Come mai per adottare un bambino una coppia eterosessuale deve seguire una complessa pratica, mentre questi divengono genitori “sul campo”. Inoltre, mi stupisce assai, che l’illegalità di questo atto sia approvato anche da donne: da Virginia Raggi (Roma) a Chiara Appendino (Torino) per ricordare le più famose. O che “politiche” come Laura Boldrini proponga di regolarizzare l’utero in affitto (febbraio 2018) o Monica Cirinnà si sia subito mobilitata per far rimuovere dalla Raggi, nello scorso ottobre, i cartelloni di Pro Vita  e Generazione Famiglia che avevano lanciato la campagna #stoputeroinaffitto.

L’“Utero in affitto” o  “Maternità su commissione” o “Maternità sostitutiva” o “Maternità surrogata” è una schiavitù del XXI secolo contro la donna per questo non possiamo né accettarlo né patteggiare ma solo denunciarlo.

Don Gian Maria Comolli