Per l’Ue l’Italia deve recuperare l’Ici non pagata. Ma non è solo un problema della Chiesa

By 19 Novembre 2018Attualità

Secondo la Corte di Lussemburgo il governo deve riscuotere le somme relative al periodo 2006-2011. Coinvolti tutti gli enti non commerciali. Regolari le esenzioni riguardanti l’Imu

Anzitutto una nota metodologica. Nel comunicato della Corte di giustizia dell’Unione europea la parola “chiesa” non compare mai. Si parla piuttosto “dell’esenzione dall’imposta comunale sugli immobili (Ici) concessa dall’Italia agli enti non commerciali (come gli istituti scolastici o religiosi) che svolgevano, negli immobili in loro possesso, determinate attività (quali le attivista scolastiche o alberghiere)”.

Insomma il tema è sempre lo stesso e da anni nel nostro paese se ne discute. È giusto che attività commerciali svolte in immobili di possesso di enti non commerciali siano esentate dal pagamento dell’Ici?

Tutto nasce da una legge del 1992. Quella che, introducendo l’Imposta comunale sugli immobili, stabiliva anche l’esenzione per “gli immobili utilizzati da enti non commerciali destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché attività di religione e di culto”. Nel 2009 una circolare del Dipartimento delle Finanze ricordava la definizione degli enti non commerciali: “Enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali”. E specificava che nell’ambito degli enti non commerciali “possono essere compresi: gli organi e le amministrazioni dello Stato; gli enti territoriali (comuni, consorzi tra enti locali, comunità montane, province, regioni, associazioni e enti gestori del demanio collettivo, camere di commercio); le aziende sanitarie e gli enti pubblici istituiti esclusivamente per lo svolgimento di attività previdenziali, assistenziali e sanitarie; gli enti pubblici non economici; gli istituti previdenziali e assistenziali; le Università ed enti di ricerca; le aziende pubbliche di servizi alla persona (ex IPAB); le organizzazioni di volontariato; le organizzazioni non governative; le associazioni dì promozione sociale; le associazioni sportive dilettantistiche; le fondazioni risultanti dalla trasformazione degli enti autonomi lirici e delle istituzioni concertistiche assimilate; le ex IPAB privatizzate; gli enti che acquisiscono la qualifica fiscale di Onlus; gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti secondo le previsioni dell’Accordo modificativo del Concordato Lateranense e delle intese tra lo Stato italiano e le altre confessioni religiose”.

Insomma, basterebbe questo per far capire che, quello dell’Ici, non è un problema della “Chiesa”. O almeno non solo. 

Ma andiamo per ordine. Nel 2012 il governo italiano introdusse l’Imu modificando anche quanto previsto per le esenzioni per gli enti non commerciali. Quello stesso anno la Commissione, “a seguito delle denunce ricevute”, decise di andare al fondo della questione e stabilì due cose: l’esenzione dell’Ici per coloro che svolgevano nei loro immobili attività commerciali “costituiva un aiuto di Stato illegale”, ciò nonostante l’Italia non poteva recuperare quelle somme perché era “assolutamente impossibile”.Una scuola privata (la scuola elementare Maria Montessori) e il signor Pietro Ferracci (proprietario di un bed and breakfast) decisero di ricorrere contro quella decisione al tribunale dell’Ue perché annullasse l’atto della Commissione. I ricorsi vennero dichiarati ricevibili ma respinti in quanto “infondati”. La Scuola Montessori e la Commissione hanno proposto l’impugnazione delle sentenze. Ed eccoci arrivati al 6 novembre 2018 giorno in cui la Corte di giustizia ha esaminato la questione ed emesso la propria decisione.

In sintesi, la Corte ha riconosciuto che la Commissione ha giustamente certificato l’esistenza di “un aiuto di Stato illegale”, ma che ha sbagliato a non recuperare quelle somme. Detto questo i giudici hanno anche stabilito che l’esenzione dell’Imu, proprio perché non si riferiva ad attività commerciali, è legittima. Insomma, nulla di particolarmente nuovo sotto il sole. Anche se ovviamente c’è chi esulta.

Anzitutto la scuola che, come riporta Repubblica, rivendica la propria battaglia: “Alla fine Davide ha battuto Golia. Abbiamo fatto questa battaglia rappresentando l’imprenditoria laica e democratica che voleva contrastare i privilegi che distorcono la vita economica del Paese”. “Una sentenza storica e ora, se l’Italia non dovesse recuperare gli aiuti, si aprirebbe la via della procedura di infrazione, con altri costi a carico dei cittadini”, dice all’Ansa l’avvocato Edoardo Gambaro che, assieme all’avvocato Francesco Mazzocchi, ha presentato il ricorso. E il Partito Radicale, che ha sostenuto la scuola nella sua battaglia, non è da meno.

“Dopo 13 anni la Corte Europea di Giustizia ha condannato l’Italia a recuperare l’Ici per il periodo 2006-2011 da quei soggetti che erano stati esentati sin dal 1992 – commenta il responsabile legale del Partito Radicale, Maurizio Turco – È questa la conclusione della lotta del Partito Radicale per l’affermazione del diritto contro la violenza del potere che lo vìola. Lotta che con la Rosa nel Pugno abbiamo portato nelle aule parlamentari sin dal 2016 grazie allo straordinario lavoro del tributarista e militante del Partito Carlo Pontesilli e dell’avvocato Edoardo Gambaro che si è assunto l’onere di difendere il primato del diritto e della legge anche di fronte ad agguerriti oppositori quali la Repubblica Italiana e la Commissione Europea. Sarà nostra premura e cura chiedere che il recupero parta dal 1992, e non appena la sentenza sarà notificata alla Repubblica Italiana che la Corte dei Conti vigili sull’effettivo recupero e, visti i precedenti, prevenga un eventuale ma non impossibile danno erariale”.

Non a caso dalla Conferenza episcopale italiana arriva un commento tutt’altro che allarmato. “Le attività sociali svolte dalla Chiesa cattolica trovano anche in questa sentenza un adeguato riconoscimento da parte della Corte di Giustizia Europea – sottolinea monsignor Stefano Russo, segretario generale della Cei – che, infatti, conferma la legittimità dell’Imu introdotta nel 2012 dall’Italia la quale prevede l’esenzione dell’imposta, quando le attività sono svolte in modalità non commerciale, quindi senza lucro. La sentenza odierna rileva che la Commissione avrebbe dovuto condurre una verifica più minuziosa circa l’effettiva impossibilità dello Stato italiano di recuperare le somme eventualmente dovute nel periodo 2006-2011. Le attività potenzialmente coinvolte sono numerose e spaziano da quelle assistenziali e sanitarie a quelle culturali e formative; attività, tra l’altro, che non riguardano semplicemente gli enti della Chiesa”.

“Abbiamo ripetuto più volte in questi anni – conclude Russo – che chi svolge un’attività in forma commerciale, ad esempio di tipo alberghiero, è tenuto come tutti a pagare i tributi, senza eccezione e senza sconti. Detto questo, è necessario distinguere la natura e le modalità con cui le attività sono condotte. Una diversa interpretazione, oltre che essere sbagliata, comprometterebbe tutta una serie di servizi, che vanno a favore dell’intera collettività”.

Il Foglio, 6 Novembre 2018

https://www.ilfoglio.it/chiesa/2018/11/06/news/per-l-ue-l-italia-deve-recuperare-l-ici-non-pagata-ma-non-e-solo-un-problema-della-chiesa-222961/