Eutanasia, la resistenza dei medici: «Anche noi abbiamo una coscienza. E una missione»

La presa di posizione di Filippo Anelli, presidente della Federazione degli Ordini dei medici: «Esistono alternative al dare la morte, e noi siamo i custodi della vita».

Al radicale Marco Cappato proprio non è andata giù di trovarsi come ostacolo lungo la sua marcia trionfale verso la legalizzazione dell’eutanasia (su un’autostrada allestita appositamente dalla Corte costituzionale) niente meno che Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici, dei chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo).

Nei giorni scorsi il dottor Anelli – uno che in virtù del suo incarico, ottenuto un anno fa con l’84,4 per cento dei consensi, può ben ritenere di parlare a nome de “i medici” – ha inviato una comunicazione a tutti i colleghi, trasmessa formalmente anche al Consiglio nazionale di bioetica, per ricordare semplicemente che, anche qualora la dolce morte un giorno diventasse legge in Italia, esisterebbe ancora un codice deontologico da rispettare. Il quale codice, ispirato all’antico ma ancora attuale giuramento di Ippocrate, impone ai medici di adoperarsi per la vita, non per la sua negazione.

«NON SAREMO ATTORI PASSIVI»

I termini “tecnici” utilizzati nella lettera di Anelli sono ben sintetizzati dal post risentito scritto lunedì 15 aprile dallo stesso Cappato per il suo blog ospitato dal sito del Fatto quotidiano, dove il pasdaran dei “nuovi diritti” descrive la netta presa di posizione del medico come un «delirio di onnipotenza politica». Quanto alle ragioni di quest’ultimo, sono ottimamente esposte in una intervista pubblicata nell’edizione di oggi del quotidiano la Verità, a firma di Giorgio Gandola.

La sostanza è chiara: «La legge non può imporci di andare contro una deontologia che esiste da più di duemila anni», in virtù della quale «i medici sono sempre stati custodi della vita», dice Anelli. L’intervista è notevole perché ricorda ai fautori dell’eutanasia che è vero che «la società è cambiata», e i medici non intendono «affrontare il problema sotto il profilo ideologico», ma neppure è giusto obbligare i medici a «rimanere attori passivi di un passaggio epocale». Insomma, oltre all’autodeterminazione dell’individuo occorre fare i conti anche con l’altra persona coinvolta nel rapporto di cura, e i radicali dovranno farsene una ragione. Anelli la mette giù così:

«Accanto alla libertà di un cittadino deve esserci anche quella dell’altro cittadino, che in questo caso è un medico, nel rispetto delle sue convinzioni più profonde. Il primato della libertà non può valere solo a senso unico. E dare la morte a una persona è esattamente il contrario del motivo per il quale il 100 per cento dei medici ha scelto questa missione o professione che sia».

«PROGRESSO NON È SOLO CAMBIARE»

La coscienza «non può essere violata», continua Anelli, rispolverando una verità molto “radicale” che i radicali sembrano dimenticarsi spesso. E a chi spera di prevalere nel dibattito politico sull’eutanasia contrapponendo al primato della coscienza dei medici il dolore delle «650 persone pronte ad andare a morire in Svizzera», come fa l’associazione Luca Coscioni, il presidente di Fnomceo risponde che «il progresso non è semplicemente cambiare, ma migliorare la vita degli esseri umani».

A questo proposito, nel colloquio con la Verità Anelli espone una visione molto chiara anche rispetto alla sofferenza e al dovere dei medici rispetto ai malati senza speranza di guarigione.

«Noi non facciamo politica. Ma abbiamo l’obbligo di chiedere che la dignità dell’uomo, anche nel momento supremo della sofferenza, continui ad avere un significato. La soluzione non è mai la morte, piuttosto bisogna mettere in atto quegli strumenti che leniscano la sofferenza del malato. […] Ci sono alternative al suicidio assistito».

I PALETTI ALLA FUTURA LEGGE

Rispetto alla Corte costituzionale, che interpellata proprio sul caso Cappato-Dj Fabo ha deciso di imporre al Parlamento di fare una legge sul suicidio assistito entro settembre, Anelli ricorda che «la Consulta ha anche ravvisato ancoraggi normativi precisi». In base a questi, la futura norma «deve riferirsi a una persona affetta da una patologia irreversibile e fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili. Questa persona deve essere tenuta in vita per mezzo di trattamenti di sostegno vitali; deve essere in grado di prendere decisioni libere e consapevoli». Detto questo, il legislatore dovrà ricordarsi che anche i medici hanno dei diritti: «Sul primato della coscienza non ho alcun dubbio».

17 aprile 2019

Eutanasia, la resistenza dei medici: «Anche noi abbiamo una coscienza. E una missione»