Non esiste “una teoria” del gender ma “tante teorie”: i sofismi di una pensatrice Lgbt

By 19 Giugno 2019Gender

L’ideologia del gender ha indubbiamente una genesi complessa ed eterogenea e attinge a una pluralità di fonti multidisciplinari. È anche per questo che la maggior parte dei suoi sostenitori ha gioco facile nel dissimulare la sua esistenza. La vulgata più diffusa negli ultimi anni afferma, sì, l’esistenza di una teoria del gender ma, a parere degli attivisti Lgbt, si tratterebbe un’impalcatura ideologica creata ad arte dalla Chiesa Cattolica, spalleggiata da think tank di estrema destra, costantemente alla ricerca di un nemico al fine di giustificare le proprie battaglie politico-culturali.

Lungo questo solco si collocano le posizioni di intellettuali liberal come Sara Garbagnoli, dottoranda presso l’Università della Sorbona di Parigi, e autrice di saggi dai titoli assai eloquenti, come Le crociate antigender: dal Vaticano alla Manif Pour Tous, Non si nasce donna. Il femminismo materialista in Francia, La fabbrica dell’orgoglio. Una genealogia dei movimenti Lgbt. Intervenuta poco più di un anno fa al dibattito Questioni di gender, presso l’Università di Bari Aldo Moro, nell’esporre le sue teorie la Garbagnoli rispecchia tutti i crismi della comunicazione Lgbt, a partire dall’utilizzo degli asterischi (si autodefinisce “autor*” e dice “buonasera a tutt*”). In occasione della tavola rotonda pugliese dello scorso anno, era stato affrontato, in tutte le sue sfaccettature, il tema delle “frontiere”: le frontiere tra uomini e donne, quelle tra italiani e stranieri, tra bianchi e altre etnie, tra omosessuali ed eterosessuali. In ognuna di queste accezioni, le frontiere erano sempre viste come delle «gerarchie non naturali ma naturalizzate», quindi, sostanzialmente, come degli ostacoli da superare.

Al fondo dell’approccio di Sara Garbagnoli e di altri intellettuali della sua area, vi è l’idea che il «concetto di genere» sia diventato un ‘nemico immaginario’ del «Vaticano» e di tutti quei «gruppi, associazioni e partiti» ad esso contigui che ne «hanno adottato e adattato il discorso: antiabortisti, neocatecumenali, tradizionalisti, neofascisti». Con il risultato che oggi, anche i sostenitori delle cause Lgbt sono soliti parlare di «teoria del gender» o di «ideologia gender», a puro titolo esemplificativo, quindi prendendo le distanze da quelle che ritengono «categorie farlocche e funeste dal punto di vista politico».

La Garbagnoli fa notare un aspetto a suo avviso significativo: in particolare, a partire dalla metà degli anni ’90, in risposta ai messaggi e agli obiettivi della Conferenza Internazionale sulla Popolazione (Il Cairo, 1994) e della Conferenza Internazionale sulle Donne (Pechino, 1995), la Chiesa Cattolica e le altre istituzioni ‘reazionarie’ hanno iniziato a bersagliare di critiche la vera o presunta teoria del gender, appoggiandosi non tanto alla fede o alla metafisica quanto alla scientificità e alla ragionevolezza delle proprie argomentazioni. Un assunto che le femministe e gli Lgbt rifiutano in blocco. «Il genere», spiega dunque la Garbagnoli «è un concetto elaborato da alcune femministe a partire dagli anni ’70, che permette di mostrare che le cosiddette ‘differenze’ constatate sui sessi, sono disuguaglianze, discriminazione, non sono l’espressione di un ordine naturale, intangibile, eterno ma di un prodotto di un sistema di oppressione socialmente determinato». Inoltre, aggiunge la studiosa, «la scienza non dimostra affatto l’esistenza di un determinismo biologico che produrrebbe due nature sessuali, due cervelli, due corpi, due anime, due geni differenti e complementari».

Il pensiero cattolico e conservatore avrebbe quindi proceduto secondo due «movimenti retorici», il primo dei quali è l’«eufemizzazione», ovvero la riproposizione delle teorie di sempre sull’uomo e la donna, secondo una «visione essenzialista e gerarchica», senza però usare più le «categorie precedenti»: non si parla più, quindi, ad esempio, di «sottomissione degli uomini alle donne» ma di «uguaglianza nella differenza» o di «complementarità naturale», arrivando addirittura, come fece Papa Giovanni Paolo II, a proporre un «nuovo femminismo» compatibile con la dottrina della Chiesa, a differenza del femminismo radicale. L’altro «movimento retorico» è quello che la Garbagnoli chiama la «diabolizzazione», la demonizzazione del gender, additato come «vettore di una vera e propria rivoluzione» destinato a «distruggere la civiltà umana».

Per quale motivo, tuttavia, la teoria del gender sarebbe semplicemente un mito, esistente solo nella mente di alcuni pazzi fanatici clerical-reazionari? La Garbagnoli risponde – cadendo però in contraddizione – che è «falso» affermare che vi sia «una sola teoria del genere», in quanto «vi sono diverse teorie del genere che non utilizzano il concetto di genere sulla natura e lo statuto dei gruppi sessuali». Queste teorie, oltretutto, non avrebbero nulla di «ideologico» ma, al contrario, sarebbero «scientifiche», in quanto i recenti «studi su genere e sessualità ormai sono patrimonio comune del sapere».

L’argomentazione della Garbagnoli punta dunque a confutare il pensiero cattolico e conservatore sulle differenze sessuali, etichettandolo come non scientifico. Omette però di indicare le opere e gli autori che, al contrario, conferirebbero scientificità alle posizioni Lgbt, propense all’annullamento o al livellamento delle differenze sessuali e di genere, limitandosi a riconoscerle come «patrimonio comune». Inoltre, la Garbagnoli fa slittare il discorso verso il nominalismo: anche se, come lei ammette, non esiste una teoria del gender organica ma esistono una pluralità di teorie che vanno in quella direzione, è ciò sufficiente per giustificare l’invalidità tout court delle posizioni contrarie (quelle “cattoliche” e “conservatrici”, per l’appunto) e neutralizzare a priori qualunque forma di dibattito?

Luca Marcolivio

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