SPY FINANZA/ Ecco i nuovi segnali di un altro 2008 in arrivo

By 20 Novembre 2019Attualità

Ci sono nuovi indizi di una crisi in arrivo, simile a quella del 2008, di un Lehman moment potenzialmente in arrivo.

Non so voi, ma io trovo quasi rassicurante il fatto che, giorno dopo giorno, il dipanarsi degli avvenimenti ci mostri in controluce come esista una regia e un disegno. A noi sembrano accadimenti slegati fra loro, reazioni più o meno spontanee a situazioni a sé stanti: non è così. Tantomeno in questo momento storico. E non sto parlando più, utilizzando questo riferimento temporale, al grande inganno della guerra fra sovranismo ed élites, bensì proprio ai mesi che stiamo vivendo e a quelli che ci dividono dalla prossima primavera, quando negli Usa si sarà deciso chi sfiderà Donald Trump alle presidenziali di novembre. E, soprattutto, si capirà se il processo di impeachment nei confronti del Presidente sarà stato l’ennesimo ballon d’essai o qualcosa di più concreto. E l’Italia non fa eccezione al grande reset, state tranquilli. Anzi, potrebbe essere – esattamente come nel triennio fra il 1992 e il 1994 – proprio uno degli epicentri.

Partiamo da quella che doveva essere la notizia della settimana, quantomeno: Al-Baghdadi, il principe nero del Califfato, la guida religiosa e politica dell’Isis, è stato ucciso in un raid. Per la quarta volta negli ultimi quattro anni. Intendiamoci, fosse vero ci sarebbe da festeggiare: senza un personaggio simile, il mondo sarebbe certamente un posto migliore. Però, il fatto stesso che uno dei presunti alleati di Washington nell’impresa – la Russia di Vladimir Putin – abbia messo in discussione l’intera operazione, chiedendone delle prove concrete e limitandosi a parlare per ora di “propaganda”, la dice lunga su quanto stia accadendo. E, a voler essere sinceri, ci fa rileggere anche sotto un’altra luce l’intera narrativa dell’offensiva turca in Siria del Nord.

Già, perché oltre a Mosca, Donald Trump ha ringraziato per l’appoggio logistico offerto allo squadrone della Delta Force anche turchi e curdi. Ora, volete dirmi che in un contesto di tregua tutta da gestire e di tensione alle stelle nell’area, si è riusciti a dare vita a un’operazione che mettesse al tavolo degli interessati anche nemici giurati che stavano sparandosi addosso, operando in spirito di segretezza e collaborazione massima? Sarà. Ripeto, a me non interessa nemmeno sapere se sia vero o meno che al-Baghdadi sia stato ucciso: magari è morto già da tempo e la voce che sentiamo nei proclami di guerra all’Occidente è di chissà chi o creata artificialmente al computer. Non è nemmeno più questo il punto: il problema è la strumentalità pacchiana e un po’ disperata della mossa. Quasi una versione 2.0 dell’uccisione di Osama Bin Laden in un blitz simile nel 2013, con tanto di foto di Barack Obama, Hillary Clinton e altri ministri chiusi in una stanza della Casa Bianca a osservare la scena in diretta. Stesso copione, stessa finalità: distogliere l’opinione pubblica dai veri nodi che stanno arrivando al pettine. E che nel caso di Donald Trump non sono rappresentati dall’iter di impeachment, bensì da questi due grafici: il déjà vu che l’America sta vivendo non riguarda solo la lotta al terrorismo, bensì anche la crisi del 2008.

Il primo grafico ci mostra come alla fine del terzo trimestre di quest’anno, il numero di downgrades all’interno di quella pentola a pressione di rischio di controparte che è il mercato statunitense dei leveraged loans sia salito del 106% su base annua. Insomma, quei prestiti che sono l’assicurazione su cui si basano le cartolarizzazioni di massa stanno scadendo di qualità. Rapidamente. E in massa. Quindi, il rischio crescente è quello di un evento di credito che attenda solo il detonatore per accadere. E se parte la palla di neve nel reddito fisso, la valanga ci metterà poco ad arrivare a valle. Contagio assicurato e a tempo di record.

Il secondo grafico ci mostra invece come il tasso di default per la clientela subprime del credito al consumo per l’acquisto di automobili stia accelerando a un livello che non si vedeva appunto dal 2008: all’epoca furono i mutui immobiliari impacchettati a creare il disastro, ora potrebbero essere le rete non pagate oltre i 90 giorni delle autovetture che non si vendono più. Certo, in prospettiva il controvalore è molto più basso e il grado di esposizione bancaria meno sistemico, ma l’intero settore è anche più debole ed esposto a leva e squilibri di quanto non fosse 11 anni fa: insomma, la fiera del detonatore. Oltretutto, con un ricasco politico grave almeno quanto quello finanziario: come spiegare all’americano medio che, al netto di una narrativa che vuole gli Usa in salute economica da record, non solo Wall Street ha continuato a giocare con l’azzardo morale, ma, molto peggio, un numero sempre maggiore di cittadini non è in grado nemmeno di onorare 120 dollari di rata dell’automobile? Vita reale, non propaganda dei media.

E queste dinamiche stanno emergendo tutte insieme, quasi fossero gnocchi gettati nell’acqua bollente e che salgono in superficie: puoi ributtarne uno o due in fondo alla pentola ma non tutti. Qualcosa di visibile, più passano i giorni, ci sarà sempre. Nel contempo, questa epidemia di realismo contagerà a breve anche le periferie dell’impero Usa. Come spiegare, altrimenti, l’aumento esponenziale di rivolte in America Latina? L’ultima delle quali si è consumata nel weekend e questa volta per via democratica: l’Argentina ha scelto il ritorno al peronismo, portando al trionfo alle presidenziali Alberto Fernandez. E come è stata salutata la sua vittoria? Così, l’imposizione di controlli sul capitale draconiani.

La Banca centrale ha deciso di limitare gli acquisti in dollari da parte dei risparmiatori che potranno acquistare solo 200 dollari al mese per le transazioni bancarie e 100 in contanti rispetto ai 10mila dollari al mese precedenti. Il tutto, ovviamente, per cercare di frenare la fuga di capitali rappresentata nel grafico, un qualcosa che potrebbe far precipitare i già traballanti conti del Paese nel caos più totale a tempo di record. Dalle primarie dell’11 agosto, le riserve valutarie di Buenos Aires si sono infatti letteralmente inabissate per il timore, paradossale, di un epilogo politico che è stato reso possibile proprio dal voto delle medesime persone che sono corse in banca a ritirare tutto il possibile. Ovvero, siamo alla follia collettiva della legittimazione democratica di massa a favore di soggetti che, si sa fin da principio, con la loro vittoria porteranno a un aggravamento tale della situazione da richiedere mosse estreme preventive, come appunto svuotare i conti correnti e acquistare dollari e sterline, scaricando l’inutile cartaccia (ancorché sovrana) rappresentata dal peso. Il trionfo totale e assoluto delle élites. Le quali sanno che la bufera – quella vera – è in arrivo e fanno di tutto per mandare alla guida dei soccorsi la “protezione civile” della pancia del popolo, ovvero i sovranisti.

Nessuno, infatti, ha voglia di assistere in prima fila al crollo dell’edificio. Diverso è invece dover gestire, con mani pressoché libere, la sua ricostruzione. Vale per il messaggio in arrivo dall’Argentina, come per quello arrivato dall’Umbria. Con coté, non certo casuale, di contemporaneo siluro del Financial Times contro Giuseppe Conte. Altro capolavoro, se avete notato: costringere i leader del sovranismo più estremo e intransigente a citare, quasi fosse la Bibbia, il quotidiano simbolo dell’establishment, come supporto alla bontà delle loro tesi. Nemesi totale, eterogenesi dei fini, cortocircuito. Qualcuno, nel frattempo, attende nell’ombra. Senza fretta. Anzi, il più defilato possibile.

Avete sentito cosa ha dichiarato sabato scorso Giulio Tremonti a SkyTg24, intervistato da Maria Latella? “Metterei anche in conto una crisi come quella iniziata nel 2008. Non essendo state corrette le cause, è molto probabile che torni peggio di prima. Ovviamente ci si augura che non avvenga ma bisogna porsi il problema di cosa può succedere di drammatico”. Un bel Lehman moment potenzialmente in arrivo, insomma. Volete una riprova, fra tante? Stando a dati ufficiali diffusi la scorsa settimana dal Fmi, in settembre la Bundesbank è tornata ad aumentare le sue riserve auree (già le seconde al mondo), comprando oro fisico sul mercato dopo 21 anni di digiuno. Ovvero, dai tempi dell’ancora onnipotente marco tedesco. Come mai, a vostro avviso? Solo un messaggio in codice a Christine Lagarde o c’è dell’altro? Se invece per voi, al riguardo, la notizia importante è quella dell’ennesima sconfitta elettorale alle amministrative della Cdu di Angela Merkel (senza che il governo centrale di Berlino mostrasse un plissé di crisi al riguardo), questa volta in Turingia, allora state pure tranquilli. Nulla è come appare. E nulla accade a caso.

Mauro Bottarelli

29 ottobre 2019

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