I nodi della procreazione artificiale . Accanto a Giovannino e nel cuore delle domande

By 23 Novembre 2019Articoli Bioetica 2018

Ha un nome tanto giocoso per quanto è terribile la malattia che Giovannino ha ereditato, la ittiosi Arlecchino. Di solito vivono poco questi bambini con la pelle fragilissima, che si spacca al primo movimento, formando placche che ricordano il costume pezzato carnevalesco, e che espongono chi è malato a problemi respiratori e infezioni letali. Ma Giovannino è speciale: è sopravvissuto alle fasi critiche iniziali, adesso cresce e potrà uscire dall’ospedale quando si troverà una famiglia disposta ad accoglierlo e a prendersi cura di lui, dopo che i suoi genitori vi hanno rinunciato. Ed è commovente e scalda il cuore l’ondata di tenerezza che lo ha avvolto, una volta che la sua storia è stata raccontata.

A parte poche tristi eccezioni, a parte le assurde dichiarazioni di un medico, niente tifoserie contrapposte a urlarsi addosso, ma tutti con Giovannino che per il semplice fatto di esserci, con la sua fragilità inerme e immensa, ha già fatto tantissimo per la nostra comunità, risvegliando un’umana solidarietà che a volte sembra smarrita. La sua storia ha acceso i riflettori anche sui cambiamenti che genitorialità e filiazione stanno attraversando: la stampa ha riferito che Giovannino è stato concepito con la fecondazione assistita, e in diversi hanno parlato di eterologa, cioè con gameti di un donatore o una donatrice, esterni alla coppia che cerca di avere un figlio. Non ci sono certezze.

Ma comunque, a prescindere dal suo caso, torna il tema della ‘sicurezza’ della fecondazione assistita, e delle malattie rare ereditarie. La sua patologia è classificata come autosomica recessiva, cioè i suoi due genitori biologici ne sono entrambi portatori sani, e i due insieme avevano il 25% di probabilità di generare un bambino con la malattia espressa. In altre parole: ciascuno dei due genitori ha la probabilità del 50% di trasmettere la mutazione ai discendenti, che ne sono colpiti solo se la ereditano da padre e madre. La probabilità che ha un bambino di ereditarla dipende quindi dalla frequenza con cui questa mutazione è presente nella popolazione, e quella di Giovannino è ultrarara, cioè ha una frequenza inferiore a uno su un milione. Ovviamente non è mai possibile fare uno screening genetico completo di tutte le mutazioni rilevabili a carico dei genitori, a maggior ragione quando sono tanto rare.

Ma è diversa la diffusione di eventuali patologie se si tratta di fecondazione assistita eterologa rispetto a una naturale o omologa: se nasce un figlio da un rapporto fisico, i due che lo hanno concepito si conoscono, sanno subito se ci sono problemi di salute del piccolo e si regolano di conseguenza. Se uno dei due è un donatore, invece, difficilmente avrà notizie dei nati, e se non funziona un sistema di monitoraggio da parte del Servizio Sanitario continuerà a cedere i propri gameti, facendo nascere altri bambini con la stessa mutazione, ed aumentando la probabilità di farne venire al mondo di malati. Il donatore deve quindi essere sempre rintracciabile, per motivi di salute pubblica: sarà il genetista, poi, a esaminarlo e valutarne la situazione, avvisarlo di essere portatore sano di una patologia ereditabile e eventualmente escluderlo dalle donazioni, fermo restando la necessità per i riceventi di essere messi a conoscenza delle condizioni di salute del donatore.

Problemi di questo tipo sono sorti, in passato, come bene sanno i lettori di ‘Avvenire’, che hanno potuto leggere del donatore 7042 della danese Nordic Cryobank, portatore di neurofibromatosi, con 100 nati in tutto il mondo, e della dozzina di bambini con autismo, nati dallo stesso donatore, in Usa. Il punto è che la fecondazione eterologa non si può semplicemente considerare una variante tecnica di quella omologa, percentualmente meno praticata.

Introduce invece una mutazione antropologica profonda, con dilemmi nuovi e non previsti dalle nostre prassi e normative, basate su un modello antropologico naturale di genitorialità e filiazione dove per esempio è scontato che i genitori biologici abbiano generato fisicamente un figlio e si siano quindi incontrati, mentre nella fecondazione assistita possono essere anche due perfetti sconosciuti l’uno all’altro: al momento del concepimento, paradossalmente, i due genitori sono assenti.

Una separazione perfetta di sessualità e procreazione, dove il consenso informato travalica le informazioni mediche e diventa un vero e proprio contratto, nel quale si stabilisce chi diventa genitore legale e chi vi rinuncia, fra tutti coloro che contribuiscono biologicamente a un figlio che deve ancora essere concepito. La nostra legge 40 voleva mantenere una genitorialità naturale, e per questo consentiva solo la fecondazione omologa.

Nonostante le sentenze che l’hanno modificata, l’articolo 9 ancora esclude la possibilità di rifiutare il figlio disconoscendolo, o partorendo in anonimato: lo scopo è quello di tutelare un bambino rispetto a chi si è impegnato a esserne genitore legale. Un articolo ancora valido ma, nei fatti, superabile e superato, e su cui abbiamo ancora tanto da riflettere.

Assuntina Morresi

9 novembre 2019

https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/accanto-a-giovannino-e-nel-cuore-delle-domande