Fra Piergiacomo, angelo col saio: “In ospedale per curare anime”

By 6 Aprile 2020Coronavirus

Il frate cappuccino, insieme a quattro suoi confratelli, non smette di percorrere i reparti per regalare speranza ai malati e al personale medico ed infermieristico. “Preghiamo e portiamo l’unzione degli infermi. Non manchiamo mai di benedire le salme nella camera mortuaria. E’ un gesto d’amore”

Nell’ospedale ‘Papa Giovanni XXIII’ di Bergamo, gli angeli hanno il volto dei medici, degli infermieri e dei frati cappuccini che ogni giorno portano sollievo e speranza ai malati di coronavirus mettendo a rischio la propria vita. Fra’ Piergiacomo è uno di loro e, insieme ai suoi quattro confratelli, gira in tutti i reparti per regalare una parola di conforto, una preghiera: “Non lo facciamo solo con i malati ma con tutti gli impiegati della struttura: dagli infermieri al personale delle pulizie. La nostra presenza vuole davvero essere una vicinanza orante”.

Molto spesso sono proprio i sanitari che vi cercano, è vero?

R.- Sì. A volte sono proprio le caposala che ci chiamano per andare dai loro colleghi: così ci ritroviamo insieme qualche minuto per recitare un Ave Maria o un Padre Nostro. In questo periodo di pandemia, purtroppo, possiamo accedere poche volte alle terapie intensive e ai reparti che ospitano contagiati a causa della scarsità dei dispositivi di protezione. Però siamo sempre pronti per le urgenze: portare l’olio santo ai moribondi.

Non mancate mai neanche dalla camera mortuaria dove nessun familiare delle vittime può andare per l’ultimo saluto…

R.- C’è sempre un frate che tutti i giorni offre una preghiera e una benedizione alle salme che transitano da lì. E se non ci sono i congiunti a piangere i propri cari defunti, spesso lo fanno i medici e gli infermieri: ne ho visti molti struggersi dal dolore, gli stessi che hanno accompagnato alla morte chi non ce l’ha fatta a resistere alla pandemia.

Come reagiscono i malati ai quali portare sollievo?

R.- Prima di tutto c’è un po’ di stupore, perché dopo molti giorni di ricovero vedono una persona che non è né medico né infermiere. Sono contenti quando scoprono che sotto il camice e dietro la mascherina si cela un religioso, li vedo anche un po’ risollevati e capiscono che la nostra presenza rappresenta il fatto che Dio è con loro ed è vicino alla loro sofferenza come il buon samaritano. Quando posso gli chiedo anche la possibilità di conferirgli l’unzione degli infermi, che rappresenta una consolazione nel momento della prova.

Qualcuno riesce a fare anche la confessione?

R.- No, perché manca la riservatezza. Di solito diciamo loro di fare un atto di profonda contrizione e una preghiera di pentimento col proposito, quando l’emergenza sarà terminata, di andare a confessarsi da un sacerdote. Speriamo accada presto.

Federico Piana-

6 aprile 2020

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