IL SUSSIDIARIO – CAOS VACCINI/ Tutto quello che le punture delle vaccinazioni non ci dicono

By 1 Marzo 2021Coronavirus

Il successo o meno dei vaccini lo sapremo osservando direttamente la gente. Come? Bisogna svolgere indagini sierologiche periodiche su campioni di vaccinati

Per altri mesi a venire saremo perseguitati da notizie su casse di vaccini che non arrivano, su varianti locali del virus, su come colorare le regioni, su curve di contagio che non calano come imporrebbero gli editti del ministro della Salute, su altri fatti che rendono ancor più evidente che siamo in balia del virus e che stiamo girando attorno a un palo. Peggio ancora, siamo tra Scilla e Cariddi, ossia tra due pericoli a cui è difficile scampare: se ci avviciniamo troppo al virus, ci rimettiamo la salute; se andiamo dall’altra parte, rischiamo il risucchio verso una crisi economica e sociale di proporzioni neppure immaginabili. Non ci consola il fatto che quasi tutte le nazioni del pianeta stiano in mezzo agli stessi scogli, perché il mal comune è mezzo gaudio solo per i disperati. Dobbiamo trovare quel passaggio stretto che ci porti a recuperare l’altro mezzo gaudio. Per questo è necessaria una regia sovranazionale.

La solo speranza di limitare gli effetti del virus sta nel vaccino. E allora vacciniamoci e speriamo di creare la “immunità di gregge”. Purtroppo, sappiamo che, tra oggi e la vaccinazione, il virus sarà mutato tante volte e riusciremo a vedere solo alla fine se i vaccini sono stati efficaci, se uno vale l’altro, se sono privi di effetti collaterali, se su certe persone hanno avuto effetti particolari. Avendo puntato tutto sui vaccini, rimarremmo senza speranza se non funzionassero, o funzionassero poco, o funzionassero solo su alcune persone.

La colpa primaria è nostra: ci siamo consegnati mani e piedi legati alle case farmaceutiche, le quali sono interessate esclusivamente a vendere i loro vaccini e, se questi non funzionano, a farne degli altri, ogni volta un po’ diversi, all’infinito. Inoltre, le case – che d’ora in avanti chiameremo Big Pharma – hanno condotto solo gli esperimenti minimali imposti dai protocolli fissati dalle agenzie internazionali per i farmaci (Ema, Fda), escludendo dalla sperimentazione proprio le categorie più a rischio di effetti indesiderati. Occorre ribadire che ciò è ammesso dai protocolli ufficiali. Quindi, la colpa non è (solo) di Big Pharma, bensì, e in misura maggiore, considerato il mandato sociale che hanno, delle agenzie per il farmaco. Qualunque sia l’esito della vaccinazione, dovremo porre mano ai regolamenti sulla sperimentazione dei vaccini e inserire nelle agenzie persone più avvedute.

Fatta la seconda puntura, dopo poco, dovremo farne un’altra per rinforzare gli anticorpi. A quel punto ci accorgeremo che non sappiamo né quanto duri l’effetto protettivo del vaccino, né se l’effetto è lo stesso su ogni persona, né se l’effetto varia in funzione del tipo di vaccino. È necessario precisare che, a tutt’oggi, la sperimentazione è incompleta per tutti i vaccini: quella del Moderna finirà a ottobre 2022 e quella dello Pfizer a gennaio 2023, tutti gli altri completeranno la sperimentazione tra il 2022 e il 2023 (il lettore interessato può consultare: Oms – The COVID-19 candidate vaccine landscape). A quelle date, verosimilmente, tutta la popolazione del pianeta sarà inoculata e il successo o meno dei vaccini lo sapremo osservando direttamente la gente.

Per capire quando fare la dose di rinforzo bisogna svolgere indagini sierologiche periodiche su campioni di vaccinati. In altre parole, bisogna creare un sistema informativo-statistico nazionale sulla vaccinazione che non sia la storia delle punture, ma che racconti, persona per persona, a chi e quando il vaccino è stato inoculato, di quale vaccino si trattava (ci sono sei tipi di vaccini, con tre diverse tecnologie di produzione), quali sono le peculiarità che caratterizzano la persona vaccinata (evidenziando le categorie a rischio), quali sono stati gli esiti vaccinali, sia in termini di efficacia (ossia: se il vaccino ha protetto contro il virus), sia in termini di efficienza (ossia: se ha avuto effetti collaterali). Non solo, ma il sistema deve stare in funzione a lungo, forse per sempre. L’attuale sistema di contract tracing sta a un sistema informativo strutturato come le buone intenzioni stanno alla scienza.

L’Istat, che saprebbe come fare statistiche ufficiali, e il ministero della Salute, competente per materia, dovrebbero sentirsi coinvolti in questa progettualità, altrimenti, sia durante che dopo l’epidemia, conosceremo solo quante siringhe sono state scagliate contro il virus, senza sapere come sta il popolo. Se l’Istat si tira fuori o tira per le lunghe, e il ministero vuole fare proprie rilevazioni, recluti degli esperti d’indagini statistiche. È troppo viva la memoria del flop nell’indagine Istat-Istituto Superiore di Sanità sulla prevalenza sierologica per tollerare altri errori tecnici.

Il sistema informativo-statistico ci informerà su chi, come, ogni quanto tempo vaccinare. Che sia illusorio aspettare queste informazioni da Big Pharma ce lo fa capire il seguente episodio. Nella corsa a produrre i vaccini che interessavano l’Unione Europea, la casa farmaceutica americana Moderna-Niaid era in leggero vantaggio. Eravamo a novembre del 2020. Il protocollo di Moderna prevedeva due iniezioni distanziate di 28 giorni, quindi la casa inoculò il secondo vaccino a distanza di 28 giorni dal primo e poi aspettò 14 giorni per valutarne l’efficacia confrontando l’esito con un campione di controllo.

Anche la casa Pfizer-BioNTech-Fosun avrebbe dovuto fare lo stesso (così era scritto nel protocollo documentato dall’Oms – Organizzazione mondiale della sanità), però era un po’ in ritardo rispetto a Moderna. Allora Pfizer decise di ridurre i tempi tra le due iniezioni a 21 giorni e verificò l’efficacia del vaccino dopo soli 7 giorni. In totale, 28 giorni dalla prima iniezione. Fu così che Pfizer riuscì ad auto-certificare l’efficacia del proprio vaccino appena dopo Moderna, però prima della fine del 2020. Il lettore decida se questo è un modo di fare sperimentazione credibile, e non solo quello di Pfizer.

Se le istituzioni italiane continueranno ad ignorare le nostre necessità dovremo sperare nelle istituzioni sovranazionali. Analizziamole per cerchi concentrici. Cominciamo con l’Ue. Dopo la prima ondata epidemica, sembrò conveniente a molti che fosse l’Ue a contrattare con le case farmaceutiche prezzi d’acquisto e quantità di vaccini da consegnare a tutti i Paesi europei. E così fu. Purtroppo, i ritardi nelle consegne dei vaccini hanno evidenziato un grosso pasticcio nei contratti di fornitura che ha messo in discussione la leadership della Commissione e la competenza dei tecnici a supporto. È meglio lasciare, per ora, sullo sfondo il pasticcio dei contratti. Può convenire che sia l’Ue a fare i contratti anche nel futuro, se si considera che chi è stato scottato una volta diventa molto più guardingo nel toccare la pentola sul fuoco. Poi, in modo soffice, l’Ue trovi la migliore capacità di comando e riprenda con lena il ruolo trainante che le spetta.

Siccome ogni Paese ha gli stessi problemi informativi che abbiamo in Italia, la Commissione europea potrebbe stimolare l’Eurostat, l’ufficio statistico comunitario, a promuovere un sistema informativo armonizzato che faccia sapere come va l’epidemia in Europa. I fatti del passato ci portano a dire che la stimolazione dell’Eurostat, un ente statistico che vive di luce-statistica riflessa, potrebbe portare, nella migliore delle ipotesi, a creare un sistema informativo per la prossima pandemia. Conviene, pertanto, contare sulle capacità dell’ente statistico di casa nostra. Dall’Eurostat ci si può, invece, aspettare che stimoli gli Stati affinché sperimentino sistemi informativi nazionali che potrebbero, un giorno, confluire in un sistema europeo armonico di controllo delle epidemie.

Spetta, inoltre, alla Ue sia dare gli input corretti alla propria agenzia per i medicinali (Ema) affinché aggiusti il tiro sui protocolli per la sperimentazione dei vaccini, sia promuovere la ricerca su come combattere le varianti del virus.

L’altro ente internazionale che ha un ruolo nella pandemia è l’Oms. L’Oms è il braccio operativo delle Nazioni Unite per la tutela della salute. Ciò che dice è, quindi, norma in materia di sanità nel mondo. In questa pandemia ha avuto esitazioni iniziali che hanno favorito il diffondersi dell’epidemia in tutto il mondo. Tuttavia, ha gestito le informazioni ufficiali sull’epidemia con diligenza: pur senza strafare, ha registrato ciò che arrivava a sua conoscenza e l’ha messo a disposizione di tutti. Ci si aspetta che dica la sua sui protocolli sperimentali.

L’Oms – questo fatto è curioso – ha provato a scoprire l’origine della malattia. Qualcuno ha detto che il virus ci è stato trasmesso dai pipistrelli. Altri hanno insinuato che si trattava del prodotto di esperimenti biologici usciti per errore da un laboratorio di Wuhan, in Cina. Nessuno si è alzato in difesa dei pipistrelli, neppure un avvocato d’ufficio. Il Governo cinese, invece, si è subito risentito per l’insinuazione sul laboratorio, ammettendo unicamente che il virus era partito da Wuhan. Pensando che era inutile indagare sui pipistrelli di Wuhan, l’Oms ha voluto andare, ad oltre un anno dall’antefatto, in Cina per visitare direttamente il laboratorio incriminato e chiedere certe fiale di siero, per provare non-si-sa-cosa. Arrivati in Cina, gli esperti dell’Oms non sono stati autorizzati a mettere piede nel laboratorio, né hanno avuto le fiale, però hanno diffuso dei comunicati in cui affermavano: a) che avevano il sospetto che i dati sull’epidemia diffusi dai cinesi erano sottostimati; b) che l’ispezione non era, tutto sommato, importante; c) che il coronavirus è stato trasmesso all’uomo dal pangolino.

Il pangolino è un animaletto dalla forma allungata ricoperto da scaglie durissime, somigliante al formichiere, e la cui carne, in alcuni paesi africani e asiatici, è considerata prelibata. Non solo, ma le sue scaglie in polvere hanno un ruolo importante nella medicina tradizionale cinese. Per questo è braccato, tanto che si teme che si possa estinguere. Inoltre, come hanno scritto anche alcuni studiosi cinesi (Lam et al., 2020, Identifying Sars-CoV-2-related coronaviruses in Malayan pangolins, Nature, 583), sembra che possa ospitare il coronavirus senza danni per sé. Se gli esperti dell’Oms sono andati in Cina per leggere articoli sulla possibile relazione tra coronavirus e pangolino, articoli che chiunque può scaricare da internet, è segno che hanno problemi. Inoltre, i tempi della rivelazione della peculiarità sanitaria del pangolino potrebbero far nascere il sospetto di una qualche relazione con la non-visita del laboratorio. Si noti che il Governo cinese aveva già negato ad ogni ente, da sempre, il permesso di ispezionare il laboratorio, quindi gli esperti dell’Oms sapevano molto prima di partire che sarebbe stato impossibile entrarvi.

Non ce l’abbiamo con il Governo cinese. Hanno detto che ci si deve fidare della loro parola e hanno il diritto ad essere creduti. È un governo serio di un popolo di cultura millenaria. Hanno ben altri problemi che soddisfare i pruriti degli amanti del giallo. Tra l’altro, cosa potrebbero trovare degli stranieri che, a distanza di oltre un anno dall’eventuale fatto, perquisissero il laboratorio? I cinesi sono stati i primi nel mondo a creare vaccini anti-Covid; se anche ci fossero dei segni, sarebbe per loro un’inezia ripulire il laboratorio. Hanno ammesso di essere stati il primo focolaio, ma non la causa della pandemia, tanto è vero che non ci sono in Cina segni evidenti d’infezione. Insomma, il problema non sono i cinesi. Lo saranno un giorno, quando tenteranno di dominarci economicamente e forse politicamente, ma questo è tutto un altro discorso.

Torniamo agli esperti dell’Oms. Vincendo l’avversione per le centinaia di migliaia di dollari sprecate nella “spedizione cinese” (soldi che noi avremmo investito in ricerca sulle varianti del virus), ci siamo immedesimati in questo nutrito gruppo di esperti per cercare di capire cosa avremmo fatto se, andati in Cina per fare una certa verifica, fossimo sulla via del ritorno senza un briciolo di giustificazione. Avremmo così ragionato: il pangolino è in via di estinzione e la diffidenza nei confronti della sua carne potrebbe portare ad un recupero numerico della specie, e allora diventeremmo gli alfieri di schiere di animalisti, vegani, appassionati di pet-therapy eccetera. Poi renderemmo giustizia ai pipistrelli ingiustamente sospettati. Insomma, il pangolino, come si dice, è caduto a fagiolo.

Invece, non riusciamo a nascondere il disagio se tentano di prenderci in giro. E la storia del pangolino somiglia tanto a una presa in giro. Si rispettino i pangolini, ma anche l’intelligenza umana. Pure dentro l’Oms, quanto prima, senza fare clamore, dovrebbero operare nel senso del rinnovamento, sia ai livelli alti che a quello degli “esperti”. A chi esce, va data una giusta pensione (se dovuta) e una medaglia alla carriera. Gli americani hanno già cominciato ad arrabbiarsi con l’Oms; se si arrabbiano altri Stati non si trovano nel bilancio dell’Oms neppure i soldi per le medaglie. È meglio fare presto col rinnovamento.

Luigi Fabbris

Il Sussidiario

22 Febbraio 2021