DOMANI – Le elezioni non bastano a scegliere buoni governi
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- Dottrina Sociale della Chiesa (4) – Chiesa e società: “interferenza” o “collaborazione”? Un’obiezione che potrebbe sorgere in alcuni lettori dopo ciò che abbiamo affermato in precedenza, e che rileviamo in vari dibattiti è la seguente: che autorità possiede la Chiesa per occuparsi delle tematiche sociali, politiche ed economiche? Per alcuni, la Chiesa dovrebbe limitare il proprio ambito di azione all’orizzonte spirituale, poiché secondo loro, Gesù Cristo non si lasciò coinvolgere in prospettive o interpretazioni politiche, sia nella sua persona, sia nella sua azione. Ciò è veritiero solo parzialmente, vale a dire se interpretiamo il termine “politica” nell’accezione restrittiva di fenomeno partitico-governativo. Non è così se la rapportiamo al termine greco πόλις che indica la “città” e, di conseguenza, il suo rapporto con l’uomo che l’abita, fondato sul modello civico, prevalentemente ateniese, che includeva una comunanza d’intenti politici, economici, sociali e culturali. Ebbene, la politica, nella sua forma limpida e virtuosa consiste nell’«attività mirante a determinare i criteri o i valori base di regolamentazione della vita globale del gruppo, le finalità primarie e intermedie da perseguire, gli strumenti per il loro conseguimento»( E. Chiavacci, Politica, in F. Compagnoni, G. Piana, S. Privitera – a cura di – Nuovo dizionario di teologia morale, Edizioni San Paolo, 952) al fine di costruire, come affermò Giuseppe Lazzati (1909-1986), «la città dell’uomo a misura d’uomo»( Cfr. Città dell’uomo (la). Costruire, da cristiani, la città dell’uomo a misura d’uomo, Ave 1984, 21). A sua volta, il venerabile Giorgio La Pira, in una lettera a Pio XII del 25 maggio1958, scriveva: «La politica è l’attività religiosa più alta, dopo quella dell’unione con Dio, poiché è la guida dei popoli…; una responsabilità immensa, un severissimo e durissimo impegno che si assume di fronte al popolo. La politica è guidata non dal basso, ma dall’alto: nasce da una virtù di Dio e si alimenta di essa: altrimenti fallisce: cade, come cade e rovina la casa costruita sulla sabbia»( Beatissimo Padre. Lettere a Pio XII, Mondadori 2004, 41). Il Signore Gesù, nella sinagoga di Cafarnao, presentando le finalità della sua missione e della sua persona, affermò: «Il tempo è compiuto. Il regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete al Vangelo» (Mc. 1.15). In questo annuncio è presente l’espressione “Regno di Dio”, e il Cristo indica l’azione da intraprendere per la sua costruzione: la “conversione”. Ne consegue che il Regno di Dio non è unicamente escatologico ma una realtà in divenire nella storia come confermato più volte dall’apostolo Paolo con le espressioni “già” e “non ancora” (cfr. Rm. 5,9; 8,18-30; Col. 3,1-4; Ef. 2,1-10; 1Ts. 3,12-14; 5,23-24). In questi brani l’Apostolo evidenzia la prospettiva escatologia del cristiano che vive “già” della salvezza ma tuttavia attende il compimento in base al “non ancora”. Ebbene, se è Dio che guida la storia, se il Regno di Dio è un “già” e un “non ancora” presente nella storia in attesa dell’epilogo del mondo che concluderà la vicenda umana con la nascita di “nuovi cieli e nuova terra”, non può esserci settore societario dove l’annuncio del Vangelo sia carente, poiché solo così si realizzerà la “conversione” verso rinnovate condotte e comportamenti pienamente attinenti alla vita individuale e societaria. Da ultimo dobbiamo scrostare il termine “salvezza” che frequentemente è imprigionato nell’aspetto religioso o spirituale, reputandolo riguardante unicamente l’anima. Anche in questo caso, san Paolo, è di opinione contraria: «Tutto quello che fate, parole o azioni, tutto sia fatto nel nome di Gesù, nostro Signore e per mezzo di Lui, ringraziate Dio nostro Padre» (Col. 3,17). L’Apostolo delle genti rammenta che le nostre azioni non esprimono unicamente dei contenuti temporali ma sono pure opere di salvezza. Di conseguenza, dobbiamo valutare ogni azione nella sua prioritaria relazione con il Trascendente, superando l’errore di reputare la persona una giustapposizione di due dimensioni, quella del corpo e quella dello spirito, scordando che questi elementi sono intimamente fusi, essendo l’unità anima e corpo non accidentale ma sostanziale. Quando differenziamo la vita del corpo interpretata come fisica, e quella dell’anima concepita come spirituale, o se valutiamo i sentimenti a sé stanti, smarriamo l’unità dell’uomo. Ecco perché è pieno diritto della Chiesa con la sua Dottrina Sociale operare nel sociale. Don Gian Maria Comolli
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