Antidolorifici e oppiodi: fra le prime cause di morte

By 9 Settembre 2018Salute

Nuovi studi dicono che l’ecatombe continua: nel 2010 fu dato l’allarme dal governo americano perché la prima causa di morte era la dipendenza dai “painkiller”. Il problema è l’incapacità di tollerare il dolore, il tempo che passa o una vita meno performante, ma ad osteggiare la prevenzione sono anche le case farmaceutiche. Una deriva che potrebbe colpire anche l’Italia.

Sono anni che l’America deve fare i conti con la nuova “droga” della società del benessere e dell’uomo performante. Non si tratta della cocaina o di altre sostanze illegali ma dei cosiddetti “painkiller”, gli antidolorifici e oppiacei (si va dalla Tachipirina, all’Aulin, al Brufen, fino agli oppiacei come il Vicodin, per reggere lo stress lavorativo, l’Ossicodone, per dolori cronici, l’Opana e l’Ossimorfone e persino il Fentanyl) prescritti per sedare le ansie, le depressioni e calmare i dolori fisici (anche minimi o semplicemente dovuti a vite iperattive).

L’allarme maggiore fu dato nel 2010 dal “Center for disease control and preventinon” (Cdc) del governo americano, quando la prima causa di morte divenne proprio l’abuso di questi farmaci prescritti massicciamente agli adulti ma anche ai bambini per ogni minimo dolore e fastidio, anziché ricercarne le cause o chiedere un cambiamento al paziente nel suo stile di vita frenetico spesso dovuto all’ansia di prestazione o alle aspettative mondane. In quell’anno le morti certe (molte erano probabili) furono 23 mila, mentre nel 2013 si calcolava che in 10 anni erano morte 48 mila donne (una media di 18 morti femminili al giorno).

Oggi un nuovo studio, pubblicato sul British Medical Journal e uscito settimana scorsa, spiega che nonostante i tentativi di arginare il fenomeno l’aspettativa di vita in diversi paesi anglosassoni si sta abbassando proprio a causa dell’abuso di antidolorifici e oppiacei. A rincarare la dose i dati dello studio pubblicato dall’American Journal of Public Health, che spiega che nel prossimo decennio moriranno circa 500.000 persone per via degli stessi farmaci assunti compulsivamente, anche se il bilancio «potrebbe essere ancora più pensante». Perché se da una parte alcuni medici hanno ridotto la prescrizione di farmaci, dall’altra la modalità non è stata quella esatta.

Infatti, negli anni successivi al 2010, il Cdc aveva chiesto ai medici di diminuire drasticamente le prescrizioni del farmaco ma senza una politica e un’educazione necessarie a scoprire le cause dei dolori e ad educare la gente non solo a gestirli ma a combattere ciò che li provocava. Inoltre, sottolineano gli autori dello studio, non si può non tener conto della fetta di popolazione passata dagli oppioidi all’assunzione di droghe più pesanti. Anche perché queste sostanze, oltre che coprire il problema senza risolverlo e a produrre dipendenza, provocavano un’assuefazione che abbassava sempre di più la soglia del dolore e della sopportazione, bloccando persino i meccanismi naturali di difesa dal dolore.

Ma nel 2016 il Wall Street Journal aveva fatto notare che le linee guida proposte dal Cdc non erano piaciute alla case farmaceutiche che hanno continuato a sponsorizzare le pillole attraverso normali spot pubblicitari (persino nelle serie televisive americane ci sono personaggi che fanno notoriamente uso di alcuni di questi farmaci). E anche se nel 2015 l’American Medical Association chiese il divieto di pubblicità per i farmaci con obbligo di prescrizione medica, l’appello cadde nel vuoto: tre mesi dopo gli oppiodi furono pubblicizzati durante il Superbowl. Il governo degli Stati Uniti ha poi pubblicato le somme versate da aziende farmaceutiche agli ospedali universitari, per un totale superiore a 8 miliardi di dollari nel solo 2016 e con oltre 630.000 fatture di pagamenti ai medici (sola la Purdue Pharma – che ha reso l’Ossicodone un antidolorifico oppiaceo popolare – versò denaro a oltre 80.000 singoli per 7 milioni di dollari, fra cui si contavano viaggi, ricerche, regali, pasti). Così, anche anni dopo il primo allarme, il fatturato delle case farmaceutiche per la vendita dei painkiller si aggirava intorno ai 20 miliardi di dollari.

Ecco perché uno degli autori dello studio pubblicato dall’American Journal of Public Health, Allison Pitt, afferma che da una parte è «necessaria una strategia per ridurre le pillole prescritte», dall’altra le persone che ne facevano uso «vanno monitorate», ma ancor più importante è salvare i giovani e quindi «impedire alle nuove generazioni di accedere e di abusare degli oppioidi, altrimenti ci sarà un flusso costante di nuove persone dipendenti». In sintesi, non bisogna solo intervenire d’urgenza ma fare «prevenzione». In un contesto attuale, sottolineano gli studiosi, gli Stati Uniti avrebbero dovuto destinare decine di miliardi di dollari in più alla riduzione del danno e alla prevenzione, perché se il Congresso ha fatto qualche sforzo economico in più non è però arrivato ad aiutare se non un paziente su dieci.

Purtroppo però per fare una reale prevenzione è necessaria una vera e propria rivoluzione culturale, con campagne di sensibilizzazione che non piacciono alle case farmaceutiche e con proposte di stili di vita che non fanno comodo al consumismo. Come ammise nel 2013 il Nyt intervistando alcune donne (la maggioranza delle dipendenti da oppioidi sono bianche e benestanti tra i 45 e i 65 anni che cominciano a prendere farmaci a 25 anni circa) «sopraffatte dalle responsabilità» che vogliono «anestetizzarsi», come spiegò una di loro, o sentirsi più «forti, produttive». Il fenomeno, però, sta colpendo anche la Gran Bretagna dove le prescrizioni aumentano e sempre più fanno uso di “painkiller” per riuscire a mantenere una certa produttività, come accaduto all’ex giornalista Cathryn Kemp, che ora ha fondato un’associazione per aiutare le persone a liberarsi della dipendenza.

La donna abusava del Fentanyl che inizialmente gli venne prescritto dal medico (il cui uso sta crescendo sempre di più negli ultimi anni). Solo quando capì che rischiava di morire la donna decise di accettare il dolore necessario per salvarsi, perché smettendo «sono dovuta passare attraverso un muro di dolore. Il corpo, infatti, smette di produrre endorfine, gli antidolorifici naturali del corpo, perché sta ricevendo oppiacei». Ma tanti non vogliono accettare né il sacrificio né una vita meno performante. Kemp ha spiegato che «la maggioranza sono donne» che «dicono di non poter permettersi di provare dolore» perché devono occuparsi dei figli (con attività extra scolastiche multiple) e delle loro carriere.

Il professor Keith Humphreys della Stanford University ha infatti spiegato alla Bbc che la gente è abituata a credere che «tutto sia risolvibile» e che non esistano più limiti alla scienza, tanto che se «ho 51 anni vado da un medico americano e gli dico “Hey ho corso la maratona che correvo quando avevo 30 anni, ora sono pieno di dolori, mi rimetta a posto”», ma se «lo faccio con un medico francese mi dice che così è la vita…c’è una volontà, un abitudine a dare oppioidi e antidolorifici…altri paesi trattano invece il dolore diversamente».

Ma ora anche in Italia con la legalizzazione degli oppiodi, la cultura dei “painkiler” è destinata a crescere, nonostante i dati americani siano drammatici persino sui più piccoli, come rivelò lo stesso Cdc nel 2013, con 2 milioni di americani di età pari o superiore a 12 anni che avevano abusato o erano dipendenti da analgesici oppioidi (in uno studio sull’uso di droghe illecite tra gli adolescenti, gli oppioidi rappresentavano il 100 per cento delle morti). Complice anche il fatto che nel 2015 l’Fda (corrispondente all’Aifa italiana) ha approvato l’uso dell’ossicodone dai 6 anni in su.

Il dottor Artee Gandhi, direttore medico del Cook Children’s Pain Management Program, ha spiegato che «ora sappiamo che il rischio di morte per overdose è aumentato. Sappiamo anche che l’uso di prescrizioni di oppioidi porta ad una maggiore incidenza di ansia e depressione». Ed è interessante notare che anche ai bambini a cui vengono somministrati oppiacei a lungo, senza cercare terapie alternative e rimuovere le cause del male, «tenderanno a fare un cattivo uso e ad abusare di droghe».

Benedetta Frigerio

La Nuova Bussola Quotidiana, 28 agosto 2018